Cap. V

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IV VI
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V.


Il domani, appena Alberto aprì la finestra e appoggiò i gomiti al davanzale, colla sua bella pipa di schiuma in bocca, udì chiamarsi per nome.

Volse gli occhi sotto il pergolato, e vide un fresco visetto e due begli occhi che gli sorridevano; la cuginetta stava cogliendo dei fiori da un arbusto alquanto più alto di lei, e rizzavasi sulla punta dei piedi per far piegare i ramoscelli restii; le maniche del vestito le cadevano lungo le braccia un po’ troppo delicate, ma bianche come alabastro; il più gaio raggio di sole indorava quelle braccia e quel viso gentile.

— Buon dì, cugino!

— Buon dì, cuginetta!

— Son le nove, sa!

— Lo so.

— E non si vergogna?

— O che fa lei costà, così mattiniera?

— Lo vede, faccio dei mazzolini. [p. 28 modifica]

— Per chi?

— Pel babbo.

— E poi?

— Per Velleda.

— E poi?

— E poi... per chi se li merita.

Egli alzò il naso in aria, mandò un grosso buffo di fumo, e disse: — È una bella giornata.

— Sì: rispose la fanciulla asciutto asciutto.

Adele andava e veniva fra gli alberi, chinandosi ad ogni istante sulle aiuole con una vivacità infantile e graziosa ch’era tutta sua. Alberto la guardava in silenzio. Di tanto in tanto ella pure guardava lui senza che glielo facesse scorgere, con una tal cera dispettosetta.

— Ha dormito bene? domandò finalmente.

— Benissimo, grazie.

— E vuol dormire ancora?

— No.... perchè?

— Vieni ad aiutarmi dunque!

— Vengo subito, cuginetta.

Vedendolo venire ella si diede un gran da fare per assortire i fiori, e il giovane sentì sfumare in un attimo la grande audacia con la quale le avea quasi chiesto un mazzolino.

— Il babbo è andato lassù, alla Sassosa, per la vendemmia.

— Oh davvero?

— Quest’anno avremo una famosa vendemmia!

— Sì?

— L’ha detto il fattore!

— Lui può saperlo. [p. 29 modifica]

— E il babbo è contento. — Ti piace cotesto fiore? riprese poscia l’Adele saltando da un discorso ad un altro.

— Bellino! come si chiama?

— Non rammento; è un nome forestiero.

— Dev’essere un fior raro!

Ella stava per rispondere, ma vide che il cugino guardava più la mano che il fior raro, e arrossì.

— Che bella aiuola! diss’egli per non farsi scorgere.

— Sai cosa c’era qui prima? la piazzetta dove noi si giocava a voláno! Ti ricordi?

— Com’è cambiata!

— Anche tu sei cambiato, rispose ella senza alzare gli occhi.

Ei rispose dopo un istante: — E anche tu.

E sorrisero entrambi.

— Andiamo a svegliare Velleda, la pigra! disse Adele tutta rossa in viso.

Le finestre del pianterreno non erano molto alte dal suolo, ma la povera fanciulla si rizzò invano sulla punta dei puoi piedini: — Bussa tu, disse ad Alberto. Egli picchiò due colpetti timidi.

— Chi è? si udì rispondere da una voce la quale aveva tuttora alcunchè d’addormentato e di voluttuoso.

— Sono i miei fiori, che vengono a darti il buongiorno, dormigliona!

Le stecche della persiana si schiusero alquanto; i raggi del sole vi s’insinuarono con una certa avidità, e si disegnarono in strisce luminose su di una bella figura bianca, sul braccio roseo che si appoggiava al [p. 30 modifica]davanzale, sui capelli color d’oro, leggermente ondati, che cadevano mollemente sull’accappatoio. Velleda accostò il viso alla persiana, e si videro luccicare i suoi begli occhi; ma scorgendo Alberto, si tirò indietro bruscamente, e chiuse del tutto, dicendo:

— Vengo subito.

— Non lo vuoi? domandò un po’ crucciata l’Adele ad Alberto che rimaneva cogli occhi fissi sulla persiana chiusa, senza accorgersi del mazzolino che gli dava la cugina.

— Dunque me lo merito anch’io? diss’egli sorridendo.

— Presuntuoso!

Passando sotto la finestra del cugino, Adele alzò gli occhi, e stette a guardarla.

— Vedi com’è bello quel gelsomino che s’arrampica sino al tuo davanzale?

— Perchè fai così tardi alla sera? riprese dopo breve pausa.

— Come lo sai?

Ella arrossì.

— ... Me l’hanno detto; rispose.

Quel rossore fece dileguare in un lampo dalla mente di Alberto la leggiadra apparizione ch’egli avea scorto dietro la persiana, e che luccicava ancora nel suo pensiero, come un raggio di sole irradiasi, anche dopo chiusa, nella pupilla che abbagliò. Egli levò gli occhi a quella finestra di faccia alla sua, dove la sera innanzi gli era sembrato di veder del lume, esitò un istante, ma non aprì bocca. Sembravagli sentir tremare il braccio di lei, [p. 31 modifica]e che vaghi rossori fuggitivi le passassero, con una trasparenza alabastrina, sul bel viso che teneva chino, e sul collo delicato.

S’erano seduti sotto il pergolato. Ella gli parlava con quella dolce favella della fanciulla toscana che somiglia a cinguettio d’uccelletto; sorrideva, arrossiva, giocherellava cogli sgonfietti del suo vestito e colle foglie del pergolato; era tutta festante, e si voltava ad ogni momento per veder comparire Velleda che non veniva mai. Le ombre delle frondi sembravano accarezzarla alternando la luce sul suo viso; il venticello, di tanto in tanto, faceva strisciare leggermente il lembo della sua veste sui piedi di lui. Egli respirò con forza, quasi con voluttà, e sorrise; ella respirò del pari e sorrise. — O perchè? gli domandò ancora sorridente.

— Sento allargarmisi i polmoni.

— È l’aria montanina.

— Come fa bene!

— Non è vero? e si tacquero.

— Ti piace la campagna? riprese ella poco dopo.

— Sì.

— Ci starai volentieri?

— Volentierissimo.

— A me piace tanto! esclamò ella battendo le mani tutta sorriso.

— Ti piace stare a guardare la luna dalla finestra? domandò tutt’a un tratto e bruscamente il cugino, come rispondendo ad un pensiero insistente.

— Sì.... [p. 32 modifica]

— Anche a me! e divenne pensieroso.

— Non ti par di volere amare la luna? riprese quindi con certi occhi che luccicavano singolarmente; e che quella dolce luce ti piova sul viso come rugiada, e ti rinfreschi il sangue, e ti accarezzi le chiome, e che le stelle scintillino come occhi innamorati, e che il venticello notturno baci mormorando le foglie e i fiori, e che i fili d’erba si agitino in leggiadri abbracciamenti, e che i tuoi sguardi cerchino lassù, in quella pallida luce, gli sguardi della donna.... cioè, tu, dell’uomo....

S’imbrogliò, balbettò, l’enfasi sbollì, e tacque arrossendo; ella non rispose; dapprima avea spalancato tanto d’occhi a quella sfuriata; poi avea chinato il capo, col viso di fiamma; s’era tirata un po’ in là, e s’era sentito il cuore grosso di non so che sospiri.

— Andiamo a trovar Velleda? disse dopo qualche momento, levando su di lui i begli occhi imbarazzati.

Ei la seguì. — Oh, il bel fiorellino! esclamò la giovinetta; il cugino lo raccolse e glielo diede.

— Grazie! diss’ella, ma anche il mio mazzolino è bello, non è vero? e si mise a ridere. In quel momento erano giunti sotto la finestra di lei. — È quella la tua finestra? domandò Alberto con un lieve tremito nella voce.

— .... Sì.... rispose Adele. — Ecco Velleda, finalmente!

E le si buttò fra le braccia, coprendola di baci; la prese per mano, e si mise a correre con lei.

— Perchè corri così? le domandò Velleda.

— Mi sento le ali, diss’ella, e vorrei volare!