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zale, sui capelli color d’oro, leggermente ondati, che cadevano mollemente sull’accappatoio. Velleda accostò il viso alla persiana, e si videro luccicare i suoi begli occhi; ma scorgendo Alberto, si tirò indietro bruscamente, e chiuse del tutto, dicendo:
— Vengo subito.
— Non lo vuoi? domandò un po’ crucciata l’Adele ad Alberto che rimaneva cogli occhi fissi sulla persiana chiusa, senza accorgersi del mazzolino che gli dava la cugina.
— Dunque me lo merito anch’io? diss’egli sorridendo.
— Presuntuoso!
Passando sotto la finestra del cugino, Adele alzò gli occhi, e stette a guardarla.
— Vedi com’è bello quel gelsomino che s’arrampica sino al tuo davanzale?
— Perchè fai così tardi alla sera? riprese dopo breve pausa.
— Come lo sai?
Ella arrossì.
— ... Me l’hanno detto; rispose.
Quel rossore fece dileguare in un lampo dalla mente di Alberto la leggiadra apparizione ch’egli avea scorto dietro la persiana, e che luccicava ancora nel suo pensiero, come un raggio di sole irradiasi, anche dopo chiusa, nella pupilla che abbagliò. Egli levò gli occhi a quella finestra di faccia alla sua, dove la sera innanzi gli era sembrato di veder del lume, esitò un istante, ma non aprì bocca. Sembravagli sentir tremare il braccio di lei,