Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 78

Lettera 77 Lettera 79

[p. 220 modifica]220 A FRATE NICCOLO DI GHIDA 1 ’ » dell’ordine di monte oliveto fatta in AST1UZI0NE (A).

J. L’esorta ad abitare nella cella mentale del cojinosciraento di sè stesso e dello bontà di Dio in sè, dimostrando come da ciò s acquistano le fere virtù, e speci.duiente dell’umiltà, della carità, della pazienza cd obedienza al proprio prelato.

II. Della cella attuale e quanto sia pericoloso l’uscirne per cercare le vane conversazioni, e qua li lo sia utile il trattenervi si; onde lo consiglia a non volere abbandonare la cella fuor di quello cbe richiede l’obedienza dell’Ordine.

Al nome di Jesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

I. Ilarissimo figliuolo in Crislo dolce Jesù. Io Catarina, serva e schiava de’servi di Jesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi abitatore della cella dello cognoscimento di voi e della bontà di Dio in voi, la quale cella è una abitazione che T uomo porta con seco dovunque va. In questa culla s’ acquistano le vere e reali virtù, e singularmente la virtù dell’ umiltà e della ardentissima carità; perocché nel cognoscimento di noi l’anima si umilia, cognoscendo la sua imperfezione, e sè non essale, ma Tesser suo il vede avere avuto da Dio. Poi dunque che cognosce la bontà del suo Creatore in sè, retribuisce a lui T essere ed ogni grazia che è posta [p. 221 modifica]I 22 1 sopra 1’ essere, e così acquieta vera e perfetta carila, amando Dio con tutto il cuore, e con tutto l’-aRblto, e con tutta l’annua sua, e-come-elli ama, così concipe uno odio verso la propria sensualità, intaiitocliè per odio di sè è contento che Dio voglia e sappia punirlo per qualunque modo si vuole delle sue iniquità.

Questi è fatto subito paziente in ogni tribolazione, o dentro o di fuore che l’abbi; unde se elli 1‘ ha dentro per diverse cogitazioni, elli le porta volontariamente, reputandosi indegno della pace e quiete della mente, la quale hanno gli altri servi di Dio, e reputasi degno della pena ed indegno del Irutto cli

seguita dopo la pena. Questo d’onde li procede? dal cognoscimento di sè santo: colui che coc;noscR sè, cognosee Dio e la bontà di Dio in sè, e però l’aina; di che si diletta allora quella anima ? dilettasi di portare senza colpa per Cristo crocifisso, e non cura le persecuzioni del mondo, nè le detraitazioni delli uomini, ma il suo diletto è di portare i difetti del suo prossimo, e cerca di portare in verità le fatiche dell’Ordine, e innanzi morire che trapassare il giogo dell’obedienzia, ma sempre è suddito, non tanto che al prelato, ma al più minimo che n’ è; perocché non presume di sè medesimo, reputandosi alcuna cosa, e però si fa veramente suddito ad ogni persona per Cristo crocifisso, non in sobiezione di piacere, nè di peccato, ma con umilila e per amore della virtù: elli fugge la conversazione del secolo e de’secolari, e fugge il ricordamento de’ parenti, non tanto che d’avere loro conversazione, siccome serpenti velenosi.


II. Elh è fatto amatore della cella, e dilettasi del salmeggiare con umile e continua orazione, ed bassi fatto della cella uno cielo, e più tosto vorrà stare in cella con pene e con molte battaglie del (limonio, ch

fuore della cella in pace ed in quiete. Unde ha questo cognoscimento e desiderio ? hallo avuto ed acquistato nella cella del cognoscimento di sè, perocché, se prima non avesse avuta questa abitazione della

[p. 222 modifica]cella mentale, nè averebbe avuto desiderio, nè ama* rebbe la cella attuale, ma perchè vide e cognobbe in sè quanto era pericoloso il discorrere e star fuore di cella, però l’ama: e veramente il monaco fuore della cella muore, siccome il pesce fuore dell’acqua.

O quanto è pericolosa cosa al monaco l’andare a torno!

quante colonne abbiamo veduto essere date a terra per lo discorrere e stare fuore della cella sua, di fuore del tempo debito ed ordinato, o quando il mandasse 1’ obedienzia, o una stretta espressa carità, per questo l’anima danno non riceverebbe, ma per leggierezza di cuore, e per la semplice carità, la quale alcuna volta lo ignorante per illusione del dimonio per farlo stare fuore della cella elli adopera nel prossimo suo; ma elli non vede che la carità si debba prima muovare di sè, cioè, che a sè non debba fare male di colpa, nè cosa che gli abbia impedire la sua perfezione, per neuna utilità che possa fare al prossimo suo. Perchè gli addiviene, che per lo stare fuore della cella attuale gli è tanto nocivo? perchè prima che elli esca dalla cella attuale è uscito dalla cella mentale (2?) del cognoscimento di sè, perocché se non fusse escito, averebbe cognosciuta la sua fragilità, per la quale fragilità non faceva per lui d’andar fuore, ma di star dentro. Sapete che frutto n’esce per l’andar fuore? frutto di morte, perocché la mente se ne svagola, pigliando la conversazione degli uomini cd abbandonando quella degli angeli. Votasi la mente de’santi pensieri di Dio, cd empiesi del piacimento delle creature: con molte varie e malvage cogitazioni diminuisce la sollicitudin

c la devozione dell’offkio, e raffredda il desiderio ncH’amma; unde apre le porle dei sentimenti suoi, cioè l’occhio a vedere quello che non debbe, e le orecchie a udire quello clic è fuore della volontà di Dio e salute del prossimo: la lingua a parlare parole oziose, c scordasi del parlare di Dio, linde fa danno a sè ed al prossimo suo, lollcndoh l’orazione, perocché nel tempo che debba orare per

[p. 223 modifica]223 lui, elli va discorrendo, e tolleli anco la edificazione!

nnde la lingua non sarebbe sufficiente a narrare quanti mali 11 escono; e non se n’avvedrà se non s’ha cura, che a poco a poco sdrucciolarebbe lauto, che si partirebbe dall’ ovile della sanla religione; e però colui che cognosce sè, vede que.slo pericolo, e però fugge in cella, ed ine empie la mente sua, abbracciandosi con la croce, con la compagnia de’ santi dottori, i quali col lume soprannaturale, come ebbri parlavano della larghezza della bontà di Dìo e della viltà loro, ed innamoravansi delle virtù, prendendo d cibo dell’onore di Dio e della salute dell’anime in su la mensa della santissima croce, sostenendo pena con vera perseveranzia infino alla morte. Or di questa compagnia si dilella; e quando 1’obedienzia il mandasse fuore, duro gli pare, ma stando di fuore, sta- deutro per santo e vero desiderio, ed in cella si notrica di sangue, ed unisce col sommo ed eterno Bene per af-* fetto d’amore; elli non fugge, nè rifiuta labore, ma come vero cavaliero sta in sella in sul campo della battaglia, difendendosi da’ nemici col coltello dell’odio e dell’amore, e collo scudo della santissima fede, e mai non volle il capo indietro, ma con speranza

col lume della fede persevera infino che con la perseveranzia riceve la corona della gloria. Costui acquista la ricchezza delle virtù, ma non l’acquista, nè compra questa mercanzia in altra bottiga, che nel cognoscimento di sè, della bontà di Dio in sè. Per lo quale cognoscimento è fatto abitatore ‘ della cella mentale e attuale, perocché in altro modo mai non laverebbe acquistate. Unde considerando me, che altro modo non ci ha, dissi, che io desideravo di vedervi abitatore della cella del cognoscimento di voi e ideila bontà di Dio in voi, ma sapete’ che fuora della cella non l’acquistarete mai. E però voglio che voi slrettamente torniate a voi medesimo, stando in cella, e lo star fuori della cella vi venga a tedio, di fuore da quello che vi pone Tobedienzia e la estrema

[p. 224 modifica]224 necessità. E l’andare alla terra, vi paja andare a uno fuoco, e la conversazione de’secolari vi paja veleno; ma fuggite a voi. medesimo, e non vogliate essere fatto crudele all’anima vostra. Figliuolo carissimo, io non voglio che dormiamo più, ma destianci nel cognoscimenio di noi, dove trovaremo il sangue dell’umile ed immaculato Agnello. Altro non vi dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Strettamente ci raccomandate al priore ed a tutti gli altri.

Jesù dolce, Jesù amore. [p. 225 modifica]

Annotazioni alla Lettera 78.


(A) Sì questa lettera a Fra Niccolò di Ghida, sì la precedente a Fra Filippo di Vannuccio ed a Fra Niccolò di Piero fu per la santa dettata, allorchè stavasi astratta da’ sentimenti. Questo Fra Niccolò di Ghida fu di bontà di vita non ordinaria, ond’è tra gli uomini illustri in santità, de’ quali è stata madre feconda la città di Siena e nutrice industriosa la religione olivetana. Egli di prima fu medico di professione, ed espertissimo in quella facolta: stanco del mondo vestì l’abito d Mont’Oliveto, essendo già discepolo nello spirito di questa serafica maestra. Oltre a questa lettera n’ebbe egli due altre della santa, comuni però ad altri de’ suoi compagni in questa religione, se l’aggiunto di Ghida è lo stesso con quello di Ghita, giacché trovasi di tal maniera variato questo nome, e probabilmente per abbaglio, dovendosi sempre leggere Ghida e non Ghita.

(B) È uscito dalla cella mentale. Assai volte esorta la santa non pure i monaci, ma gli altri religiosi ancora ad essere amanti della cella che essa dice attuale, cioè dire materiale; ma più ancora li vuole tutti amatori della cella che appella mentale, e noi diremmo interiore; della mentale od interiore cella assai ragionano i santi o devoti che scrissero d' ascetica, e s. Ambrogio ne insegna esser questo ritiramento a tutti necessario. Ma sovrana maestra ne fa certamente questa serafica vergine che appresa l’avea dal Padre-dei lami, e meglio ch’altri mai potè addottrinarne altrni, come fece nel suo Libro del Dialogo ed in molte di sue Epistole. Il P. f).

Carlo Tornasi chierico regolare ed uomo insigne in dottrina, prudenza e pietà di cui die’breve si, ma illastre testimonio il cardinale Sforza Pallavicino, nel dedicare che a lui fa il terzo Libro delTArle della perfezion cristiana, e più a disleso l’autore che ne; scrisse la vita poco dopo che fa morto, tutti gli ammaestramenti di questa santa maestra intorno a questa cella delPanima, ha diligentemente raccolti e divulgati colla stampa l’anno’1668. dedicandoli al pontefice Clemente IX, con questo titolo. La Cella interna di santa Caterina di Siena, delincata denotisi imamente e minutisiimamente dalla penna seràfica dell* stessa santa.

S. Caterina. Opere. T. IV. i5 I