Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 72
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ALL’ABBATE MAGGIORE DELL’ ORDINE DI MONTE OLIVETO NEL CONTADO DI SIENA (A).
1. Della virtù della carità e condizioni di essa.
If. Dell’umiltà sua nutrice, mostrando come questa, col lume della fede e col couoscimeuto di sè stesso, s’augumenta, e col conosciménto della divina bontà, ed amore di Cnsto nostro redentore Terso di noi; che tutte l’altre virtù sono cong nule alla carità, con che esorta l’abbate a vestirsi di questa virtù, che specialmente conviene a chi ha da governare anime, e Pesorta in particolare a rallegraci per lo intorno imminente di frate P alla sua obedicnza, dalla quale s’ era partito.
- lUilcr» 72» Al nome di Jesù Cristo croci/isso e di Maria dolce.
I. viìarissirao padre in Cristo dolce Jesù. lo Catarina, serva e schiava de’servi di Jesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi in perfettissima carità, la quale carità non cerca le cose sue. Ella è libera e non è serva della propria sensualità, è larga, che dilata d cuore nell’amore di Dio e dilezione del prossimo suo, e però sa portare e sopportare i difetti delle creature per amore del Creatore: ella è pietosa e non crudele, perchè ha tolto da sè quello che fa l’uomo crudele, cioè l’amore pròprio di sè, e però riceve caritativamente con grande pietà il prossimo suo per Dio; ella è benevola, pacifica e non iraconda: ella cerca le cose giuste e sante, e non le ingiuste, e come le cerca, così He serva in sè, e però riluce la margarita della giustizia nel petto suo; la carità, se ella lusinga, non inganna, e se riprende, non ha odio nè ira, ma caritativamente ama lutti come figliuoli, o lusingando, o riprendendo, in qualunque modo si sia, ella è una madre che concipe nell’anima i figliuoli delle virtù, e parturisceli per onore di Dio nel prossimo suo.
II. La sua balia è la profonda umilità. E che cibo li dà questa sua nutrice? cibo del lume e del cognoscimento di sè, col quale lume ha cognosciuta la miseria sua e la fragile sensualità cagione d’ogni miseria.
Con questo cognoscimento s’umilia e concipe odio verso sè medesima, e con questo notrica in sè il fuoco della divina carità, cognoscendo la ineffabile bontà di Dio, la quale bontà è principio e fine d’ogni suo cognoscimento.
Dopo questo lume e cognoscimento si diletta di questo cibo che Dio più ama, cioè della sua creatura, la quale creò alla imagine e similitudine sua, e tanto l’amò, che egli diede a morte il suo figliuolo unigenito, perchè placasse 1* ira sua, e trassela dalla longa guerra, nella quale era stata per la colpa d’Adain, ed acciocché nel suo dolcissimo sangue lavasse la faccia dell’anima, che per la colpa era tutta lorda; egli fu nostra pace e nostro tramezzatore tra Dio e noi, ricevendo i colpi della giustizia sopra di sè, Elli fu nostro medico, che venne a sanare l’umana generazione, la quale giacca inferma, siccome dice ih glorioso apostolo Paulo. Egli è il nostro conforto, perocché ci «’ è dato in cibo. Questo verbo dolce, per compire l’obedienzia e volonti; del Padre suo nella creatura, corse come innamorato alla mensa della santissima croce, ine mangiò il cibo dell’anime sostenendo pene, obbrobrj e villanie, e nell’ultimo l’obbrobriosa morte, aprendo il corpo suo,’che da ogni parte veri 83 sava sangue. Tutto questo manifesta l’amore che Dio ha all* uomo, unde l’anima che sta in carità si diletta di questo medesimo cibo dell’anime, nè già il vuole pigliare per altro modo, che’l pigliasse Cristo dolce e buono Jesù, cioè che ella vuole con lui insieme sostenere, e però con allegrezza patisce fame e sete; scherni e villanie, molestie dagli uomini e dalle dimonia.
Qnesto agnello sopportò la nostra ingratitudine non ritraendo a dietro però di compire la nostra salute, dico che in questo ed in ogni altra cosa, l’anima che è in carità, quanto li è possibile si vuole conformare con lui, e seguitare le vestigia sue. Ella riceve con benignità sotto 1’ ale della misericordia sua chi l’avesse offeso, perchè vede che la bontà di Dio ha fatto a lei quello medesimo. Quanto è dolce dunque questa madre della carità. E veruna virtù che non sia in lei? No: ella none tenebrosa, perchè è la guida sua il lume della santissima fede, la quale è la pupilla dell’occhio dell’intelletto, che mena 1 affetto in quello che debba amare, ponendoli per obietto l’amore che Dio gli ha, e la dottrina di Cristo crocifìsso; unde 1’ affetto che col lume ha veduto sè essere amato, è costretto ad amare il suo Creatore, in verità mostrandolo con seguitare la dottrina della verità. Bene è adunque da levarsi dal sonno della negligenzia ed ignoranzia, e con sollicitudine cercarla nel sangue di Cristo crocifìsso, perchè nel sangue ci rappresenta questo dolce ed amoroso fuoco: per questo modo acquistarono la vita della grazia, per altro modo no. E però vi dissi, ch’io desideravo di vedervi in perfettissima carità, la quale ogni creatura ragionevole debba avere in sè, se vuole gustare Dìo nella vita durabile. Ma molto maggiormente ne sono obligati, ed è necessaria a quelli che hanno a reggere ed a governare anime, perocché è sì grande peso, che se fussero privati della carità, non portarebbero questo giogo senza offesa di Dio; non vuole essere tiepida, nè imperfetta la carità del prelato, ma perfetta con grandissimo caldo d’ a184. .
more e desiderio della salute de’ sudditi suoi, e col lume di discrezione „ sapere dare ad ogni uno, secondo che è atto a ricevere, caritativamente correggere, facendosi infermo con loro, insieme lusingando e corre gendo secondo che vuole la giustizia e la misericordia, cercando la pecorella smarrita, e poiché l’ha ritrovata, ponersela in su la spalla, portando i pesi suoi sopra di sé. e rallegrarsi, e fare festa della pecorella ritrovata all ovile. A questa allegrezza v’invito, carissimo padre, inverso la vostra pecorella, che tanto tempo stette nella gregge con l’altre, cioè frate P. (B), il quale è oggi monaco di santo Lorenzo, e pare che umiliata a ricevere la verga della giustizia si voglia, tornare al suo ovile aU’obedienzia dell’Ordine e vostra.
Non dico più. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Jesù dolce, Jesù amore. i85 Annotazioni alla Lettera 72.
(A) L abbate maggiore del monistero di mont’Oliveto nei contado’ di Siena è quegli, cui sta commesso il governo di tutto l’Ordine, ed ’n oggi appellasi abbate generale. Quest’illustre religr ine, detta de’ Monaci Bianchi, dal colore dell’abito, che costumano qnei religiosi, ebbe a fondatore il beato Bernardo Tolomei chiaro per nobiltà di natali, e più ancora per santità di vita. Il nome poi di Monte Uliveto vuoisi veneto dalla Reioa degli Angioli, datasi a vedere in soguo a Guido Tarlali da IVelramala, vescovo e siguore d Arezzo. (Ved. D. Sue. Lane. Hist. OliveL, lib. I, pag. 9).
(B) Frale P. Chi fosse queslo frate P. non consta: potrebbesi per congettura crederlo il celebre Pietro Tartari, che di monaco Oliretano era passato ad altro istituto, e di qne’ tempi dimorava uel monistero di s. Lorenzo fnor. delle inora di Roma.