Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 51

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[p. 58 modifica]58 AL PRIORE DI CERVAJA PRESSO GENOVA (A).

’ / » I. L’ esorta ad infiammarsi d’amore di Dio, ripensando all’amore di Gesù Cristo verso di noi, nell* abbracciare Ja croce.

II. Che l’amore di Dio è medicina alle nostre infirmila che ci fa risorgere dalla negligenza, riguardando noi la croce, e per mezzo d’ un odio santo di noi medesimi.

III. Che l’anima innamorata di Dio e piena d’odio di st medesima, sopporta con molta pazienzia le tentazioni e confusione di mente, ed ogni tribolazione, riflettendo tutto venirci dalle mani di Dio per nostro amore.

. , I J | ì Al nome di Jesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

I. voi, dilettissimo e carissimo padre, per reverenzia di quello dolcissimo sacramento e figliuolo, dico per vero e santo desiderio, il quale desiderio parturisce 1’ anima vostra, nel cospetto di Dio per santissima orazione, siccome la madre parturisce il figliuolo.

Io Catarina, misera, miserabile serva e schiava dei servi di Jesù Cristo, scrivo

vi conforto, e raccomandomivi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi il cuore c V afi’otlo consumato nel consumato ardentissimo suo amore; il quale suo amore consumò ed arse, c destrusse lutto le nostre iniquitadi in su il legno della santissima o venerabile croce; e non (

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finì, nè finisce mai questo dolce fuoco; perocché se finisse l’affetto suo in noi verremmo meno, perocché finirebbe quello che ci die’l’essere, che solo il fuoco dell’amore il mosse a trarre noi di sè. Anco pare che provvedesse la inestimabile carità di Dio alla fragilità e miseria dell’uomo; perocché essendo sempre atto e«l inchinevole ad offendere il suo creatore Dio, provide a conservarlo la medicina contra la sua in firmi là.

II. La medicina contra le infirmitadi nostre, non è altro che esso fuoco d’amore, il quale amore è amore, che non è mai spento da te: questo riceve 1’ anima per medicina, quando raguarda in sè piantato il gonfalone delia santissima croce, perocché noi fummo quella pietra dove fu fìtta, e che tenne questa croce, perocché nò chiovo, nè legno era sufficiente a tenere questo dolce Agnello immacolato, se 1 amore e l’affetto non l’avesse tenuto. Quando dunque l’anima raguarda tanto dolce e cara medicina, non die’ cadere in negli„enzia, ma debbasi levare con 1’ affetto e col desiderio suo, e distendere le mani con uno odio e dispiacimento di sè medesimo; e fare come fa l’infermo che odia la infirmila ed ama la medicina che gli è data per lo medico. III.

O figliuolo e padre in Cristo Jesù, levianci col fuoco dell’ardentissimo amore, con odio e profonda umiltà, conoscendo noi non essere, e ponendo le infirmitadi nostre dinanzi al medico Cristo Jesù: distendasi la mano vostra a ricevere l’amare medicine che sono date a noi: queste sono l’amaritudini che spesse volte l’uomo riceve, cioè molte tenebre, e tentazioni, e confusione di mente, o altre tribolazioni che venissero di fuore, le quali allora mollo ci pajono amare, ma se faremo come il savio infermo, saranno a noi di grandissima dolcezza, cioè che noi raguardiamo all’affetto del dolce Jesù che ce le dà, vedendo che noi fa per odio, ma per singolare amore, perocché non può volere altro che la nostra santificazione. Veduta la sua bontà, e noi vediamo poi la nostra necessità, peroci [p. 60 modifica]60 .

che grande necessità è a noi averle, perocché senza esse caderemo in ruina; ma elle ci fanno conoscere noi medesimi, e levanci dal sonno della negligenzia, e tollonci la ignoranzia, perocché n’ha fatto vomitare l’atto della superbia, onde per questo nasce una giustizia, con una santa e dolce pazienzia in volere sostenere ogni pena e tormento, e reputarsi indegno della pace è quiete della mente. Or questo fa l’anima innamorata di Dio, che ha conceputo in sè perfettissimo odio. Aperto dunque l’occhio dello intendimento, e raguardato in sè la inestimabile bontà e carità di Dio, a costui le pene gli pajono tanto dolci e soavi, che non pare che d’altro si possa dilettare, e sempre pensa in che modo possa sostenere pena per amore dell’odio suo. A questo dunque vuole e desidera l’anima mia di vedervi andare: che, se Dio ti conduce e concede grazia d’afì’aticarsi, e dare la vita per lui, se bisognerà, sia fornita la navicella dell’ anima nostra di sangue, e del fuoco della divina carità, cercandolo ed acquistandolo per lo modo detto di sopra.

Altro non dico: abbiate l’occhio sopra i sudditi vostri, e mai non si serri per niuna cosa. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Jesù dolce, Jesù amore. [p. 61 modifica]Annotazione alla Lettera 51, (A) Il mouistero detto di Cervaja, che per alcuno dicesi di t. Girolamo al diserto, situato ira la terra di Porto fino a quella di santa Margarita al Golfo di Rapallo, è distante di Genova venti miglia in verso il levante. Spetta ai religiosi del sagro Ordine di s. Benedetto, detti, monaci neri, a differenza d’altri religiosi, i quali tengono pure la regola di. questo gran patriarca, ma d’abiti di colore differente sì vestono. E dedicalo, ad onore del santo dottore della chiesa Girolamo; ed in esso posò Gregorio XI, il primo giorno di novembre dal travaglioso suo viaggio d’Italia. Per lasciarvi eterna memoria e di sua dimora e di sua gratitudine inverso questi buoni religiosi, consentì a quella chiesa piena indulgenza in tal giorno per tutti gli anni avvenire. Se la santa ancora nel suo andare o nel suo tornare d’ Avignone facesse capo a questo monistero, non ve n’ha memoria veruna.