Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 176
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i5G A MONNA ALESSIA E A MONNA CECCA (A).
I. Della perseveranza, e come in due modi questa si perde e si torna indietro dalla perfezione, e prima con amare le delizie del inondo, cbe uno ha lasciato, secondo con ritornare attualmente alle delle delizie.
II. Come per fuggire un tal male conviene spogliarsi della propria volontà. , III. Si duole d’alcuni che non avevano perseverato uella strada delle virtù. r 1Y.
Le prega a raccomandarla ad un tal Teopento, ed a mostrargli la presente, acciò si prevaglia di tali documenti, e perseveri nella virtù.
Al nome di Jesù Cristo crocifissodi Maria dolce.
quando la persona è uscita dal fracidumc del mondo, e poi volle il capo col diletto della propria volontà, ponendo l’occhio dell’intelletto sopra di loro. Costui non va innanzi, anco torna indietro verso il vomito, mangiando quello che puma aveva vomitato; e però disse Cristo, che neuno si debba vollare indietro a mirare l’aralo, cioò non voltarsi a mirare le prime delizie, nò rag*
iS’j guardare alcuna operazione fatta par se medesimo; ma ricognosciarla dalla divina bontà. Sicché dunque debba andare innanzi con la perseveranzia delle virtù, e debba non vallarsi in dietro, ma dentro nel cognoscimento di sè medesimo, dove trova la larghezza della bontà di Dio, il quale cognoscimento spoglia 1* anima dei proprio amore e vestela d’ odio santo e d’un amore divino, cercando solo Cristo crocifisso, e non le creature, nè le cose create, nè sè medesimo sensitivamente, ma solo Cristo crocifisso, amando e desiderando li obbrobri suoi. . « II. Se questo cotale è esercitato ed ha dibarbicata la radice dell’amore proprio, va innanzi, e non volle il capo indietro. Ma se al tutto non fusse dibarbicata spiritualmente e temporaimente, cadarebbe nel secondo vollare del capo; e sai quando si volle questa seconda volta, non alle delizie del mondo; ma quando l’anima avesse cominciato a metter mano ad arare la grande perfezione, la quale perfezione principalmente sta in tutto in annegare ed in uccidere la volontà sua, e più nelle cose spirituali che nelle temporali, perocché le temporali, l’ha già gittate da sè, ma abbisi cura delle spirituali. In questa perfezione ama l’anima in verità d Creatore suo, e le creature per lui più e meno, secondo la misura con che essi amano. Dico dunque, che se la radice non è al tutto divelta dell’amore proprio di sè, che vollarà la seconda volta il capo indietro ed offendarà la sua perfezione, perocché o elli l’offende, amando la creatura senza modo, e non con modo, il quale amore senza modo e senza misura si debba dare solamente a Dio, ma la creatura amarla con modo e con la misura del suo Creatore; o elli si volle ad allentare l’amore verso la creatura, la quale esso amò di singulare amore, il quale allentare, non essendovi la cagione della colpa verso la cosa amala, non può essare che non allenti quello di Dio, ma movendosi per mormorazioni, o scandali, o per dilongaS.
Caterina. Opere T. VI. . it i5S mento della presenzia, di cui elli ama, o per mancamento di propria consolazione, non è senza difetto.
Questi cotali vollono il capo in dietro allentando la carità verso del prossimo suo.
III. Non è dunque questa la via, ma la perseveranzia; e però dissi ch’io desideravo di vedervi costanti e perseveranti nelle virtù, considerando me, che voi eravate andate tra lupi delle molte mormorazioni, e perchè pare che non sia veruno clisia sì forte, che non indebilisca; perocché io ho veduto voltare in dietro quelli, del quale io pensava, che elli avesse fatti sì fatti ripari contra ogni vento, che neuno il potesse nuocere infino alla morte; non credevo che puntò voliesse la faccia, e non tanto la faccia, ma la miratura dell’occhio. Veramente questo è segno, che la radice non è divelta, perocché se ella fusse divelta, faremmo quello che debbono fare i veri servi di Pio, i quali nè per per spine, nè per triboli, nè per mormorazioni, nè per consigli delle creature, nè per minaocie, nè per timore de’ parenti si vollono mai indietro; ma in verità seguitaremmo Cristo crocifisso in carcere ed in morte, e seguitaremmo le vestigie sue non senza il ^iogo della vera e sanla obbedienzia delT Ordine; di questo non dico, perocché se elli volesse, io non vorrei, ma di fuore da questo me ne doglio non per me, ma per l’offesa che è fatta alla perfezione dell’anima, perchè verso di me fanno bene; perocché mi dà egh, e gli altri materia di cognosciare la mia ignoranzia e ingratitudine di non avere cognosciuto, nè cognosca il tempo mio e le grazie ricevute dal mio creatore, sicchè a me fanno aumentare la virtù; ma non ho voluto tacere, perocché la madre è obligata di dire a’figliuoli quello lo’bisogna: pa liu ri to è stalo egli e gli altri con molte lagrime e sudori, e parturirò infino alla morte, secondo che Dio mi darà la grazia in questo tempo dolce della solitudine dala a me, e a questa povera famigliola dalla prima dolce Verità; e pare che di nuovo voglia che si fornisca la
cognosciare la dolce Verità con continue mugghia ed orazioni nel cospetto di Dio per la salute di tutto quanto il mondo. Dio ci dia grazia a voi ed a me, ed ad ogni persona di farlo con grande sollicitudine.
IV. Raccomandateci a Teopento (B) che preghi Dio per noi, ora che elli ha il tempo della cella, perocché siamo peregrini e viandanti in questa vita, e posti a gustare il latte e le spine di Cristo crocifisso; e ditegli, che legga questa lettera, e chi ha orecchie si oda, e chi ha occhi si veda, e chi ha piedi si vada, non vollendo il capo indietro; anco vada innanzi, seguitando Cristo crocifisso, e con le mani adoperi sante e vere e buone operazioni, fondate in Cristo crocifisso.
Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Jesù dolce, Jesù amore. Annotazioni alla Lettera 176.
(A) Questa Alessa, cui scrisse più leftere la santa, fu sanese «li patria e della nobile famiglia de’ Saracini. Rimasta vedova dispose de’suoi beni ia opere di pietà; e vestito l’abito della penitenza di san Domenico, fecesi discepola nello spirito di questa vergine, cui fu fedelissima compagna. Ebbela essa iu altissima stima per le sue gran virtù, onde in vita solea conferirle le grazie più segrete’ cbe il cielo le comunicava, ed in morte le diè in cura la stia picciola e cara famiglinola, acciocché le fosse madre e maestra nella via della perfezione. Di questa buona signora favella eoo molta laude il B. Raimondo nella leggenda della santa. L’altra donna, cui è scritta questa lettera, è Francesca detta Cecca, vedova di Clemente Gori nobile sauese, di cui pure fa nobile encomio il beato Raimondo nel luogo citato. De’ figliuoli che ebbe, fece generoso sagrificio ni Signore, poiché i tre maschi vestir«»no l’abito dell’Ordine de’predicatori, e santamente morirono nel fiore degli anni, come narrasi dallo stesso beato; e la figliuola Giustina fecesi religiosa pure di s. Domenico a Monte P«iIciano, «» rimase erede della madre, come di sopra fu detto. Mori In Francesca in Roma, ove fece il suo testamento a i5 «li febhrnjo 1383, lasciando d’ essere sepolta nella chiesa de’ Padri di s. Domenico detto della Minerva. Fece erede del suo la figliuola monaca, «liè nn grosso legato al convento di questi religiosi «li Siena, e quattro fiorini d’oro a Fra Tommaso della Fonte. Il testamento conservasi nell’ archivio di questo convento di s. Domenico. Se P aggiunto «li Gori sia secondo caso del nome del padre di «piesto Clemente marito di questa Francesca, o pure sia cognome è incerto.
Certissimo però si è, che da Goro, nome di persona, ma guasto da quello «li Gregorio è nata in Si«na la famiglia Gori, cbe di più secoli fiorisce Ira le prime «li essa sì in is|len«Ioie, sì pe’meriti, e degli antenati, e de’signori che ora vivono.
(li) Raccomandateci n Teopcnto. I iii fos-e «piesto religioso, non in’è noto. Il nome è greco, ma non ha significato che monti a nulla, tìssendo lo stesso che dire cinque Dei. Sono di verità anche in oggi iu Siena de’ nomi strani, e che sentono non poco dell’ antico gentilesimo, e più assai ci erano a tempi di santa Caterina; ma di questo Teopento 11011 trovo altra memoria in questa città. Nelle Vite de’ Padri antichi trovasi un monaco del nome stesso di Tcopento, il quale dalla savia «rarità di s. Macario, fu rimesso nella strada di salute, onde avea traviato.