Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 174
Questo testo è incompleto. |
◄ | Lettera 173 | Lettera 175 | ► |
i/jG A CATARINA DELLO SPEDALUCCIO (A) ED A GIOVANNA DI CAPO J. Le prega a sopportare le persecuzioni e mormorazioni degli uomini con santa pazienta ed umiltà, seguitando la dottrina di Jesù Cristo per gloria di Dio e per salute dell’anime; dipo, deplorando le persecuzioni e miserie della Chiesa, le invita ad ofìerire continue orazioni per la medesima.
II. Rivolta ad Andrea la prega ad esser perseverante nel servizio di Dio per non abusarsi della sua misericordia usata verso di lei nel liberarla dallo stato del peccalo, e colla croce di Gesù Cristo esercitar l’obbedienza ed ojroi altra virtù.
o Al noma di Jesu Cristo crocifisso e di Maria dolce.
I. ilarissime figliuole in Cristo dolce Jesù. Io Catarina, serva e schiava de* servi di. Jesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo con desiderio di vedervi fondate in vera pazienzia e profonda umilità, acciocché potiate seguitare il dolce ed immaculato Agnello, perocché in altro modo non potreste seguitarlo. Ora ò il tempo, figliuole mie, di mostrare, se noi abbiamo virtù, e se sete figliuole o no: con pazienzia vi conviene portare le persecuzioni e le detrazioni, infamie e mormorazioni delle creature con umilità vera e non ’ con scandalo, nè con impazienzia, nò levare il capo per superbia contra ad alcuna persona. Sapete bene, che questa é la dottrina che n’ è stata data cioè, che in su la croce ci conviene pigliare il cibo dell’onore di Dio e della salute deh anime, e con vera e santa pazienzia. Oimè, figliuole dolcissime, io v’ invito da parte della prima dolce verità, che voi vi destiate dal sonno della negligenzia ed amore proprio di voi, ed ofterite umili e continue orazioni con molta vigilia e cognoscimento di voi medesime, perocché ’l mondo perisce per la moltitudine di molte iniquità (/?), ed irriverenzia che si fa alla dolce Sposa di Cristo. Or diamo dunque 1 onore a Dio e la fadiga al prossimo.
Oimè, non vogliate nè voi, nè l’altre serve di Dio, che termini la vita nostra altro che in pianto ed in sospiri; perocché con altro mezzo non si può placare l’ira di Dio, la quale manifestamente si vede venire sopra di noi. O disavventurata me, figliuole mie: io credo essare quella miserabile, che so’cagione di tanti mali per la molta ingratitudine ed altri difetti che io ho commessi contra il mio Creatore. Oimè, oimè: chi è Dio, che è offeso dalle sue creature? è colui che e somma ed eterna bontà, il quale per la carità sua creò 1’ uomo alla immagine e similitudine sua,ncreollo a grazia dopo il peccato nel sangue dello imraaculato ed amoroso Agnello unigenito suo figliuolo. E chi è l’uomo mercenuajo ed ignorante che offende il suo Creatore ?
Siamo coloro che non siamo noi per noi, se non quanto siamo fatti da Dio; ma per noi siamo pieni d’ogni miseria, e non pare che si cerchi, se non in che modo si possa offendare Dio, e l’una creatura l’altra, indispregio del Creatore: vediamo con miserabili occhi nostri perseguitare il sangue nella santa Chiesa di Dio, il quale sangue ci ha dato la vita. Scoppino dunque 1 cuori nostri per ansietato e penoso desiderio: non stia più la vita nel corpo, ma innanzi morire che vedere tanto vituperio di Dio. Io muo)o vivendo, e dimando la morte al- mio Creatore, e non la posso avere!
meglio mi sarebbe a morire, che a vivere innanzi che vedere tanta ruina, quanta è venuta ed è per venire nel popolo cristiano. Trajamo fuore l’arme della santa 148 orazione, perocché altro rimedio io non ci veggo: venuto è quello tempo della persecuzione de’ servi di Dio, i quali si conviene che si nascondino per le caverne del cognoscimento di loro e di Dio, chiamando a lui misericordia per li meriti del sangue del suo Figliuolo.
Io non voglio dire più, perocché se io andasse alla voglia, figliuole mie, io non mi reslarei mai infino che Dio mi trarrebbe di questa vita. ’ II. A te dico ora, Andrea (C), che colui che comincia non riceve mai la corona della gloria, ma colui che persevera infino alla morte. O figliuola mia, tu hai cominciato a mettere mano all’arato delle virtù, partendoli dal vomito del peccalo mortale; convienti dunque perseverare a ricevare il frutto della tua fadiga, la qual porta l’anima, volendo raffrenare la sua gioventudine, che non corra ad essare membro del dimoino. Oimè, figliuola mia, e non hai tu considerazione, che tu eri membro del dimonio, dormendo nel fracidume della immondizia, e Dio per la sua misericordia ti trasse di tanta miseria l’anima, il corpo, nella quale tu eri ?
INon ti conviene dunque essare ingrata, nè sconoscente, perocché male te ne pigliarebbe; e lornarebbe il dimonio con sette compagui più forte che di prima.
Allora dunque mostrarai la grazia clihai ricevuta d’ essar grata e cognoscente, quando sarai forte contra le battaglie del dimonio, contra il mondo e la carne tua, che ti dà molestia, sarai perseverante nella virtù.
Attaccati, figliuola mia, se vuoi campare da tante molestie all1 arbore della santissima croce con l’astinenzia del corpo tuo, con la vigilia e con l’orazione, bagnandoti per santo desiderio nel sangue di Cristo crocifisso; e così acquistarai la vita della grazia e farai la volontà di Dio ed adempirai il desiderio mio, il quale desidera che tu.sia vera serva di Cristo crocifisso; unde io ti prego, che tu non sia più fanciulla, e che tu vogli per sposo Cristo, che-t’ha ricomperata del sangue suo; e se tu vorrai pure il mondo, convienti aspettare tanto, che si possa avere il modo di dartelo ’ per modo, che sia onore di Dio e bene di te: sia suddita ed obbediente infino alta morte, e non escile dalla volontà di Catarina e di Giovanna, che so che elle non ti consigìiaranno, nè diranno cosa che sia allro che onore di Dio e salute dell’anima e del corpo tuo; e se tu noi farai, farammi grandissimo dispiacere, e a te poca il LÌ lì ili. Spero nella bontà di Dio, che tu farai sì che elli n averà onore e tu n’averai il frutto, ed a me darai grande consolazione. A te dico, Catarina e Giovanna, che per l’onore di Dio e salute sua adoperiate infino alla morte. Figliuole dolci, ora è il tempo di fadighe, le quali ci debbano essare consolazioni per Cristo crocifisso. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Jesù dolce, Jesù amore. ilniiotunioni ulia Lettera 17M.
(A) A Caterina dello Spedaluccio. Lo Spedatacelo dicessi no luogo presso il convento de’ Padri di s. Domenico io Campo Regio,, ove credesi essere oggi le case che stanno dirimpetto all’abitnzione de’ signori Spannocchi. Fu cosi detto, perchè già ne’ primi anni che i religiosi di s. Domenico vennero a Siena, abitando malamente, quivi aveano come uno spedale, quando ammalavano; onde anche al presente quelle case sono del loro convento. Forse di poi scr*ì alle inferme terziarie, giacché altra uotizia più distinta di ciò non si trova, anzi nelle memorie antiche vedesi una di queste suore appellarsi vestita dello Spedaluccio. Così ancora questa stessa Caterina dal B. Tommaso Caffarini ne! processo formatosi a Venezia del 141 i l’appèlla Domina Catarina de Ilospitali, mostrando anche con ciò essere ella stata nobile di condizione.
Era ella di quell’anno ancora in vita, ed è addotta in testimonio dell’eccelsa virtù della nostra santa, con cui avea ella conversato infino dai primi anni, come diceti in quel processo.
(B) Per la moltitudine di molle iniquità, ec. Sembra favellare la santa de’ mali gravissimi venuti alla Toscana per la guerra col pontefice; e compiangere i danni più gravi, che, come ella dice, erano per venire sopra il popolo cristiano, accennando tacitamente il futuro scisma, come più chiaramente avea palesato al B.
Raimondo.
(C) A te dico ora, Andrea. Il nome d’Andrei era a quei tempi usato a darsi ancora alle donne, trovandosi nella Leggenda della santa, com’ella cuu invitta pazienza vinse gii l’ingratitudine di una delle suore nomata similmente Andrea. Questa però noo può esser quella cui la santa favella io questa lettera, giacché l’una era d’antica età e l’altra fresca d’anni; ed essendo donna di mondo erasi di novello condotta a stato d’onestà per opera della santa, per quaDto si può comprendere dal tenore delle parole. Avendo gli antichi a’ nomi ebraici masculini di Andre**, Thomas, Satana* e simiglinoti dato terminazione italiana, dicendoli Andreasso, Tomasso, Satanasso, dettero alle donne quei di Andrea e di Toma, accorciandoli all’ uso d’Itulia, oe i più de’ nomi femiuili tengono per lettera ultima VA.