Enea nel Lazio/Nota storica
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NOTA STORICA
Nell’estate del 1759, come abbiamo visto, il Goldoni, tornandosene da Roma, pensava di preparare pel nuovo anno comico nel teatro di San Luca ben nove tra commedie e tragicommedie, ciascuna dedicata a una musa (v. Nota storica degli Amori di Alessandro). Sotto gli auspici di Calliope meditava un’azione eroica in”versi eroici ad imitazione dei latini esametri tolta dal bellissimo Poema epico di Virgilio“(lettera al Vendramin, da Bologna, 21 agosto: v. Mantovani, C. Goldoni è il Teatro di S. Luca a Venezia, Milano, 1885, pag. 125). La medesima promessa ripeteva al pubblico veneziano la sera dell’8 ottobre nella Introduzione poetica alle recite, intitolata Il Monte Parnaso (Venezia, Pitteri. 1759, pag. 12):
Calliope all’eloquenza
E all’eroico Poema epico accinta,
Dal Mantovan, ch’è il Prence
D’epici Vati, l’argomento aspira
Trar d’eroico lavoro, e amori ed armi
Con novelli trattar sonori Carmi;
Carmi eroici chiamati,
Al latin metro esametro conformi.
Nuovo stil sulle Scene.
Stil parcamente da taluni usato,
Reso più dolce e grato,
Or che Calliope a dilettare intenta,
Novella rima al grave metro inventa.
Ma in quello stesso autunno (17 ottobre: v. Notatorj Gradenigo presso il Museo Civico) l’abate Chiari faceva recitare sul teatro di Sant’Angelo una sua Elena rapita, che doveva servire di preludio a una specie di Eneide sconciata in scene popolari e divisa in tre rappresentazioni”: la Rovina di Troja, la Navigazione d’Enea ed Enea nel Lazio, la prima delle quali apparve nell’anno medesimo, la seconda nell’autunno del ’60 a S. Gio. Grisostomo e finalmente la terza nel gennaio del 1761. “Aeternas cacat Iliadas” sentenziò latinamente dell’abate bresciano il nobile Farsetti.
Il Goldoni forse esitò; poi l’anno dopo (1760) si decise a scrivere l’Enea nel Lazio, non già in versi esametri, bensi nei soliti modesti endecasillabi, attingendo il soggetto dal III libro dei Fasti di Ovidio (suggeritogli dal Metastasio nell’Argomento della Didone): non più da Virgilio. Nella Introduzione alle recite dell’autunno 1760, la sera del 6 ottobre, così l’attrice Caterina Bresciani ne diede l’annuncio in versi martelliani (v. Malamani, Di un documento goldoniano, in Nuovi appunti e curiosità goldoniane, Venezia, 1887, pag. 174):
...La quarta si allontana dal stil della commedia.
L’autore non ardisce di dir: sarà tragedia.
Chè dopo l’Artimisia (sic), per lui sì fortunata ( ? ).
L’impresa alle sue forze gli par sproporzionata.
Sarà quel che sarà. Enea nel Lazio è questa:
Ovidio ne’ suoi Fasti la favola gli appresta.
Ovidio che di Roma le feste ha registrate,
Narra ad Anna Perenne le cerimonie usate,
E quest’Anna Perenne, per quanto egli ci espone,
Era la sventurata sorella di Didone.
Dopo che di Cartagine arser le nuove mura,
Di salvar sè medesima ebbe talento e cura,
E abbandonata al mare, nel Lazio ebbe riposo,
Dove Enea di Lavinia era consorte è sposo.
E come d’Anna il nome cambiato in sulle scene
Piacque a celebre Vate, noi la direm Selene.
Piacciavi alla memoria mandar l’avvertimento,
Che serviravvi un giorno di prologo e argomento.
Un dramma con lo stesso titolo, e d’origine virgiliana, aveva stampato a Foligno nel 1755 il pastor arcade Simonide Acheloio, cioè il dottor Morando Morandi del Finale; e nel medesimo anno a Roma una tragedia il pastore Locresio Tegeo, ossia Flaminio Scarselli di Bologna (v. su questa ultima Amos Parducci. La Tragedia Classica Italiana del secolo XVIII, Rocca S. Casciano, 1902, pag. 163). Tre altri drammi musicali, col titolo di Enea in Italia, si ricordano nella seconda metà del Seicento (v. Drammaturgia Allacci), l’uno del canonico Bussani veneziano, il secondo del conte Minato bergamasco e il terzo del Moniglia; per tacere l’Enea e Lavinia del Fontenelle, in Francia (musicato e recitato nel 1690: nel secondo atto compare a Lavinia l’ombra di Didone).
Il Goldoni volle almeno cercare altrove la sua fonte e fece approdare sulle rive del Lazio, profuga da Cartagine, la sorella dell’infelice Didone (Selene, come la chiamò il "celebre Vate ", cioè il Metastasio, nella sua Didone abbandonata: nella tradizione Anna Perenna), mentre Enea porge la mano di sposo a Lavinia. Le gelosie di Lavinia e i rimorsi di Enea cessano, dopo un breve dramma, col matrimonio di Ascanio e di Selene. La sera del 24 ottobre 1760 si rappresentò per la prima volta l’Enea goldoniano, dopo le recite fortunate del Curioso accidente; e ne parlò Gasparo Gozzi il 29 nella sua Gazzetta Veneta, prendendo occasione a rammaricarsi che il genere tragico fosse a Venezia "abbandonato quasi del tutto". L’argomento scelto dal Goldoni "era capace di tutte le situazioni della Medea, e con minore atrocità ", ma l’autore, temendo a torto che il pubblico rifuggisse dalla tragedia, guastò e scemò l’effetto. "L’apertura però della scena" osa scrivere il conte Gasparo "ha non minore magnificenza dell’Ifigenia in Aulide di Racine, per modo che in Enea sembra di vedere Agamennone e Arcadio in Acate" (G. Gozzi, La Gazzetta Veneta ecc. per cura di A. Zardo, Firenze, 1915. pp. 325-6). - Peccato che la poesia questa volta manchi e quindi il paragone non regga. Non esprime il Gozzi più chiaramente il proprio giudizio sull’opera del Goldoni, ma il silenzio stesso è condanna. Nemmeno dice quali accoglienze facesse il pubblico alla "rappresentazione" goldoniana: certo non furono calorose.
A breve distanza seguì la recita dell’Enea nel Lazio dell’abate Chiari, dove si ammirano tra i personaggi Eurialo e Niso, e il vecchio Evandro col figlio Pallante, e il feroce Mesenzio e la vergine Camilla, e perfino Vulcano "co’ suoi tre Ciclopi ". L’azione finisce virgilianamente col duello fra Enea e Turno. Anche questa rappresentazione "fu per più sere ricevuta sulle Venete scene niente meno benignamente dell’altre" (v. Osservazioni in testa al tomo VIII delle Commedie in versi dell’abate P. Chiari, Venezia, 1761, pag. 7). L’anno dopo apparve a stampa nel tomo VIII della Biblioteca Teatrale scelta da Ottaviano Diodati, patrizio di Lucca, un altro Enea nel Lazio, misero dramma per musica di Vittorio Amedeo Cigna torinese, che "nella tessitura della Favola" più che Virgilio ebbe "in mira lo storico Dionigi di Alicarnasso": forse quello stesso che fu musicato dal Traetta a Torino nel 1760. E quasi non bastasse, il 15 novembre del 1765 recitavasi nel teatro di via della Pergola in Firenze l’Arrivo di Enea nel Lazio, componimento drammatico del marchese Vincenzo Alamanni, musicato da Baldassare Galuppi (v. Franc. Piovano, in Rivista Musicale Italiana, XIV, 1907, f.° 2, pag. 364); e nel ’72 ancora un Enea nel Lazio osava presentare certo Ubaldo De-Mari al famoso concorso di Parma (E. Bocchia, La drammatica a Parma, Parma, 1913, pag. 180).
Così il pubblico del Settecento vide più volte l’eroe troiano, il pio figliuolo d’Anchise e di Venere, scendere sulle rive alme del Tevere. Come ai più fortunati romanzi solevasi aggiungere qualche volume di nuove avventure, così molti scrittori parvero provare desiderio di far seguito alla Didone del Metastasio. Ma l’abate Chiari con quel suo cervellaccio riscaldato interpretò, più o meno rozzamente, il sentimento eroico popolare, e mescolò nel suo bizzarro intruglio leggende mitologiche e storiche, ricordando la futura potenza romana: il Goldoni no. Egli non sa descrivere le passioni che non ha potuto conoscere nè fuori nè dentro di sè; egli smarrisce tutto il suo spirito e la sua vivacità nelle fila letterarie della tragedia del Settecento. Anche qui, come nell’Artemisia, sbandito ogni elemento comico (appena rimane un sorriso nel personaggio di Perennio). ricadde nei miseri esercizi di scuola, diluì l’azione eroica in pettegolezzi d’amore e affogò i personaggi nella chiacchiera scialba e monotona. Quella povera Lavinia, più di tutti, diventa nel quarto e nel quinto atto d’una loquacità desolante; la voce calda e appassionata di Caterina Bresciani potè a malapena tener desti gli uditori: ma quante distrazioni nei palchetti semibui del teatro di San Luca! A torto il Goldoni si lusingava di poter stendere in pochi giorni una tragedia in versi italiani, così come improvvisava le argute scene d’una commedia nel dialetto delle lagune. I suoi poveri endecasillabi meritano di affondare nella colluvie arcadica del settecento; il linguaggio suona falso e ridicolo.
Di questo Enea insulso e puerile l’autore stesso non fece parola nelle Memorie; lo menzionò nell’elenco delle opere teatrali, ma per errore lo mise accanto al Nerone e lo disse rappresentato nel teatro di Sant’Angelo. Mandò poi nell’estrema età il manoscritto da Parigi a Venezia, allo Zatta, che lo stampò nel tomo XXXII (XI della 3ª classe) della grande edizione del teatro goldoniano, l’anno 1793: a Bologna fu subito ristampato dal Lucchesini. Nessun biografo, nessun critico ne ha mai parlato; di rado se ne trova il titolo fra quelli delle altre condannate opere tragiche o tragicomiche, così lontane dall’arte luminosa di Carlo Goldoni!
G. O.