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Di un documento goldoniano, in Nuovi appunti e curiosità goldoniane, Venezia, 1887, pag. 174):
...La quarta si allontana dal stil della commedia.
L’autore non ardisce di dir: sarà tragedia.
Chè dopo l’Artimisia (sic), per lui sì fortunata ( ? ).
L’impresa alle sue forze gli par sproporzionata.
Sarà quel che sarà. Enea nel Lazio è questa:
Ovidio ne’ suoi Fasti la favola gli appresta.
Ovidio che di Roma le feste ha registrate,
Narra ad Anna Perenne le cerimonie usate,
E quest’Anna Perenne, per quanto egli ci espone,
Era la sventurata sorella di Didone.
Dopo che di Cartagine arser le nuove mura,
Di salvar sè medesima ebbe talento e cura,
E abbandonata al mare, nel Lazio ebbe riposo,
Dove Enea di Lavinia era consorte è sposo.
E come d’Anna il nome cambiato in sulle scene
Piacque a celebre Vate, noi la direm Selene.
Piacciavi alla memoria mandar l’avvertimento,
Che serviravvi un giorno di prologo e argomento.
Un dramma con lo stesso titolo, e d’origine virgiliana, aveva stampato a Foligno nel 1755 il pastor arcade Simonide Acheloio, cioè il dottor Morando Morandi del Finale; e nel medesimo anno a Roma una tragedia il pastore Locresio Tegeo, ossia Flaminio Scarselli di Bologna (v. su questa ultima Amos Parducci. La Tragedia Classica Italiana del secolo XVIII, Rocca S. Casciano, 1902, pag. 163). Tre altri drammi musicali, col titolo di Enea in Italia, si ricordano nella seconda metà del Seicento (v. Drammaturgia Allacci), l’uno del canonico Bussani veneziano, il secondo del conte Minato bergamasco e il terzo del Moniglia; per tacere l’Enea e Lavinia del Fontenelle, in Francia (musicato e recitato nel 1690: nel secondo atto compare a Lavinia l’ombra di Didone).
Il Goldoni volle almeno cercare altrove la sua fonte e fece approdare sulle rive del Lazio, profuga da Cartagine, la sorella dell’infelice Didone (Selene, come la chiamò il "celebre Vate ", cioè il Metastasio, nella sua Didone abbandonata: nella tradizione Anna Perenna), mentre Enea porge la mano di sposo a Lavinia. Le gelosie di Lavinia e i rimorsi di Enea cessano, dopo un breve dramma, col matrimonio di Ascanio e di Selene. La sera del 24 ottobre 1760 si rappresentò per la prima volta l’Enea goldoniano, dopo le recite fortunate del Curioso accidente; e ne parlò Gasparo Gozzi il 29 nella sua Gazzetta Veneta, prendendo occasione a rammaricarsi che il genere tragico fosse a Venezia "abbandonato quasi del tutto". L’argomento scelto dal Goldoni "era capace di tutte le situazioni della Medea, e con minore atrocità ", ma l’autore, temendo a torto che il pubblico rifuggisse dalla tragedia, guastò e scemò l’effetto. "L’apertura però della scena" osa scrivere il conte Gasparo "ha non minore magnificenza dell’Ifigenia in Aulide di Racine, per modo che in Enea sembra di vedere Agamennone e Arcadio in Acate" (G. Gozzi, La Gazzetta Veneta ecc. per cura di A. Zardo, Firenze, 1915.