Emma Walder/Parte seconda/III
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III.
si arrestò un
momento come
stordita.
Vinse però quasi subito il momentaneo stordimento, e si rimise in cammino affrettando il passo.
— Purchè non incontri dei conoscenti che mi fermino! —
L’incubo adesso era questo.
Andava innanzi, quasi come una macchina. Traversò via S. Martino incontrando soltanto qualche popolana, che la salutò.
Quando svoltò in via Roma, ebbe la sensazione che il suolo mancasse improvvisamente sotto ai suoi piedi.
Un nuovo terrore colpiva il suo spirito. L’immagine di Paolo si affacciava nitida, viva, alla sua fantasia. Egli cedeva alle sue preghiere: ritornava.... a patto che ella pure cedesse alle preghiere di lui. Promessa per promessa.
Orribile!
Restò un momento a guardare l’acqua del Lambro; incerta sgominata. Se quella visione era un avvertimento, se Paolo era abbastanza cattivo e prepotente da imporle quel patto infame, cosa avrebbe fatto lei? Come gli avrebbe risposto? Avrebbe ella avuto la forza di nascondere la propria indignazione e blandire il nemico con belle parole? No. Non erano quelle arti sue....
Il tramway a vapore, di ritorno da Lodi e diretto per Milano, passava sul ponte con gran rumore e accompagnamento di trombette e campane. L’idea di fuggire le balenò. Montare in un carozzone e andare...
La miglior soluzione, forse.
Qualcuno la chiamò. Era così assorta che non riconobbe la voce di Marco Fabbi, e trasalì.
— Ti ho fatto paura?... Male, quando le belle ragazze sognano a occhi aperti! E l’Annetta?
Emma non rispose subito; tanto era confusa e agitata che le mancavano le parole.
— Ti senti male?
— No...
— Siete tutti pazzi laggiù- È quella pettegola che vi fa perder la testa. Come sta dunque?... Sempre lo stesso, eh?
— Questa notte è stata male. Abbiamo vegliato. Per questo sono un po’ stanca. Adesso va assai meglio.
— Uhm! So io cosa ci vorrebbe per lei.
Ghignò e masticò qualche parola.
— Vada a trovarla, zio.
Essa lo chiamava zio, come Annetta.
— Andrò stasera. Adesso devo andar qui; ci ho un affare. E tu?... Buona passeggiata.
— A rivederci.
Emma riprese il cammino col suo solito passo leggiero e rapido, mentre il vedovo si voltava a guardarle dietro, brontolando tra sè.
Quest’incontro fece bene a lei. Non tremò, non esitò più. Il giudizio libero, grossolano, ma sincero di quell’uomo, aveva rinfrancato il suo coraggio. La convinzione che Annetta non sarebbe morta, che il suo male sarebbe presto o tardi passato, qualunque cosa accadesse, che in fondo erano capricci, penetrò nel suo spirito come se Marco Fabbi gliel’avesse imposta.
Rasserenata subitamente concluse:
— Se il signor Brussieri si lascia commuovere, se dà retta alle mie parole e promette di ritornare, bene; se no.... vada al diavolo!.... E se mi manca di rispetto, mi sentirà. E proverà anche le mie unghie, se occorre!...
Era quasi gaia, animata, vibrante.
Il nuovo punto di vista da cui guardava ora le cose, le dava un enorme sollievo.
Aveva ragione lo zio Marco, era una follia che spirava laggiù sulla villa e tutti subivano il contagio dell’ambiente. Assurdo! Quell’orgasmo, quelle paure, erano fissazioni. Una birichina che aveva un’idea fissa in capo e sperava di vincere il suo punto dicendo che moriva. Non aveva sempre fatto così, fin da piccolina? Com’era brava di farsi venir la febbre, o il mal di gola, o il mal di testa, quando non aveva imparata la lezione e non voleva andare a scuola!...
Strano che nessuno se ne ricordasse, e che tutti le credessero, adesso come allora... Mah! effetto di essere figlia unica di gente ricca.
Rideva.
Al signor Brussieri però bisognava dirgli che era un affare serio, un pericolo vero! Bisognava spaventarlo. Certo lui non credeva un bel niente. Perciò restava tranquillo a casa sua. Aspettava che andassero a cercarlo. E lei andava difatti. Ma gliela voleva far pagar cara quella visita. Tutti i rimorsi dell’inferno voleva mettergli in cuore. In fondo, la povera Annetta, anche se esagerava i suoi mali, era abbastanza infelice... Oh! voleva essere eloquente! E sarebbe riescita, perchè si sentiva libera, padrona di sè...
Traversò piazza Castello quasi deserta; passò il ponte e entrò nel palazzo di un passo fermo.
La vista dello scalone a cordonata, poderoso e sinistro, sotto l’altissimo soffitto nero, con gli enormi ragnateli pendenti e la polvere ammucchiata da per tutto, la respinse indietro, ridestando tutti i suoi terrori.
La voce interna le gridava di fuggite.
Sentì un rumore di passi e di parole, che venivano dalla porta aperta dell’ufficio, in capo alla scala. L’usciere scendeva con un fascio di fogli in mano e il cancelliere si sporgeva sul pianerottolo per ripetere e spiegare alcuni ordini.
— O, signorina Mandelli — fece l’usciere scorgendola. — Cerca la Teresa, eh?... Mi dispiace, ma è fuori per tutto il giorno: è andata in campagna: anche il portiere è fuori.
— Signorina Emma! — esclamava a sua volta il Brussieri.
— Non vada via, la prego; ho urgente bisogno di parlarle; volevo appunto scriverle.... Abbia la bontà di salire un momento.
Ella titubò. Ma non osò mostrarsi paurosa e diffidente agli occhi dell’usciere che se ne andava tranquillo, salutandola.
Si decise a salire.
— Che cosa voleva scrivermi, signor Brussieri?
— Desideravo sapere da lei la verità vera sullo stato si Annetta. Se ne dicono tante!... Il dottore èarrivato fino a insolentirmi sulla faccia; e il signor Mandelli l’altro giorno finse di non vedermi. Io non sono tipo da far morire la mia fidanzata per un puntiglio; ma d’altra parte con le brutte non otterranno nulla da me.
— Malintesi, signor Brussieri; puntigli senza fondamento. Annetta è molto afflitta... è malata davvero...
Intanto erano saliti, e la fanciulla accennava a voler rimanere sul pianerottolo, presso alla grande finestra dove pendeva l’albo polveroso e mezzo sconquassato della misera pretura.
— Entriamo, signorina; non è conveniente star qui a discorrere di cose di famiglia, quei ragazzacci che fanno il chiasso sotto il portico salgono spesso fin qui.
— Che importa?... Io voglio dirle soltanto che Annetta soffre molto e che se lei ritorna e la sposa, non avrà a pentirsene, perchè...
— Sì, sì... credo anch’io... Ma salga... Altrimenti il signor pretore verrà a vedere cosa faccio.
Questa affermazione sulla presenza del pretore, che ella conosceva del resto, la rassicurò. Ma una commozione violenta s’impadronì di lei quando Paolo le prese una mano per farla entrare.
Salendo i due scalini che precedevano l’uscio della pretura, inciampò e quasi cadde.
— Oh! signorina, per carità... non si faccia male!
Spinse la sua premura fino a cingerle la vita, alzandola quasi di peso.
Varcarono la soglia insieme.
Emma tremava tutta.
La voce del Brussieri le pareva stranamente armoniosa, e si smarriva ad ascoltare quella voce, perdendo il senso delle parole. Appena entrata si riebbe. Si scostò dal giovine che le stava troppo vicino e ritirò la mano che egli stringeva.
— Si accomodi, signorina; si accomodi....
E le indicava una sedia presso alla finestra, imbarazzato visibilmente, spiccicando le parole, pensando di dirle tutt’altro.
Il desiderio ardente che lo aveva sempre spinto verso di lei, diveniva parossismo.
Al solo vederla, la fiamma della passione sensuale, che lo bruciava da tanto tempo, si era scatenata con inaudita violenza nel suo corpo giovane e robusto. Ora che l’aveva là, chiusa con lui in una camera, la sua ragione si offuscava. Rimaneva immobile, mezzo intontito, a divorarla con gli occhi, accorgendosi di essere goffo, rodendosi di non poterle dire le belle paroline che gli avevano giovato in altre somiglianti occasioni.
Quel silenzio, quell’imbarazzo, quegli occhi umidi, bramosi, sfolgoranti, potevano invece più di qualunque discorso sul cuore di Emma. Si sentiva ardentemente desiderata, e la sua inesperienza della vita non le permetteva alcun dubbio, alcuna sottile distinzione fra un desiderio così violento e l’amore vero. Le sue istintive diffidenze di prima, svanivano come ombre: ora le pareva di essere veramente amata. E il suo cuore amante, serrato e compresso fino a quel momento, sbocciava come un fiore al caldo bacio del sole.
Ella non dimenticava tuttavia il motivo della sua visita: la sua naturale rettitudine la teneva attaccata al pensiero di Annetta. E di Annetta discorreva narrandone le sofferenze, gli strazi, ripetendo le note cose, cercando di rammentarsi le frasi preparate; appassionandosi per convincere Paolo; lottando con tutta la generosità di cui era capace. Diveniva eloquente, persuasiva, incalzante.
Ma Paolo non l’ascoltava.
E lei stessa cominciò a distrarsi; non pensò più a quello che diceva, e continuò a parlare come in un sogno, lamento assorbita dalla passione di quell’uomo, gli occhi abbagliati dagli occhi ardenti che non le davano riposo un momento.
A un tratto ammutolì.
Egli le si era fatto tanto vicino che sentiva il suo alito.
Si scosse, spaventata da quello che provava.
Balzò in piedi, barcollò. Si rimise.
— Devo andare — disse con un filo di voce. — È tardi...
— No, Emma! No!
Si buttò ai suoi piedi, l’afferrò ai ginocchi, come fuori di sè.
— Emma! Amore mio!... No, non lasciarmi? Ti amo tanto,... tanto! Voglio sposarti!... Voglio essere tuo per la vita.
— Non è possibile... Sarebbe un tradimento. Sono venuta per mia sorella!... Mi lasci... Mi lasci! Voglio... devo andare...
Tremava tutta.
Con un movimento deciso e rapido riesci a liberarsi e andò diritta all’uscio.
Ma Paolo, riavutosi da un momentaneo sbalordimento, l’afferrò alle spalle, prima che vi giungesse.
Un grido sfuggì dal petto angosciato della fanciulla, un grido di spavento.
Nessuno accorse.
Paolo la baciò sulla nuca.
Ella si rivoltò pallida di sdegno:
— Ah! dunque non c’è nessuno di là.... Siamo soli!... Mi ha ingannata!...
Per tutta risposta, egli la strinse più forte e la trascinò nell’altra stanza.
— Anima mia!... Angelo mio!... Perdonami... ti amo... muoio per te...
La cacciò contro il muro, premendola con tutto il corpo. E con una mano cercava di staccarle il cappello.
— Mi lasci!... Voglio andare via!...
Con le braccia alzate tentava di respingerlo, di fargli male.
— Emma mia -— balbettava il seduttore — Emma mia! Perchè mi tratti così?... Lasciati baciare!... Soltanto baciare!... Ti giuro...
Scaraventò in mezzo alla stanza il cappello che era riescito a levarle di capo, e la strinse con tutta la forza delle sue braccia, riducendola immobile.
Più alto di tutta la testa, la dominava, la soffocava.
Puntandosi contro il muro, ella si difendeva con uno sforzo supremo.
Ma la vigoria giovanile, la resistente elasticità del corpo svelto, quelle forze naturali su cui ella tanto contava, s’indebolivano, l’abbandonavano.
Il suo petto anelante non respirava.
— Muoio! — susurrò in un istante d’invincibile angoscia.
Egli allentò la stretta; ma a lei mancò la forza di approffittarne.
La coscienza della propria debolezza schiacciava il suo coraggio. Scoppiò in un pianto affannoso. E tra i singhiozzi aveva parole supplichevoli, accenti disperati.
Invano!
Egli sentiva la vittoria vicina, e la sua passione cresceva in ardore e violenza.
— Mi ami! — gridò a un tratto con voce trionfante. — Mi ami, sei mia!
Non s’ingannava.
Sotto ai lunghi baci voluttuosi, in quella stretta spasmodica, nel medesimo tempo che lottava con tanta persistenza per liberarsi, ella aveva sentito il suo povero cuore innamorato balzare di gioia, e la sottile vertigine del piacere scorrere nelle sue fibre.
— Sì! — proruppe in un impeto disperato. — Sì! ti amo... e da un pezzo... Ma appunto perchè ti amo, abbi pietà di me! Ti supplico, Paolo, abbi pietà di me! Ti amo!... hai vinto... Non ti basta?
— No, cara, no!
Il trionfo lo ubbriacava.
— Sii generoso... sii buono... dammi questa prova di affetto... risparmiami!...
Implacabile, egli non ascoltava più....
Poco dopo, Emma sedeva in un angolo della stanza, affranta, intorpidita, il mento appoggiato al petto, gli occhi chiusi, le braccia distese, pallida come un marmo, e come un marmo, immobile.
Pareva morta. Solo il terribile affanno, per cui il suo petto si alzava e si abbassava con violenza, e due lagrime che colavano dalle palpebre chiuse, rivelavano la vita e il dolore.
Il Brussieri andava intorno per le stanze, ravviandosi i capelli e i baffi con una spazzola, gettando occhiate investigatrici di qua e di là, preoccupato di far sparire ogni traccia di disordine. Una massa di fogli d’ufficio, precipitati insieme alla sedia su cui giacevano, e sparsi sul pavimento, gli strappò una mezza bestemmia.
Si inginocchiò per raccattare quei fogli; li spolverò e li rimise a posto. Intanto prestava l’orecchio ai rumori esterni, un po’ inquieto, con qualche scatto d’impazienza all’indirizzo di Emma che non accennava a muoversi.
Quando tutto fu in ordine, si accostò risolutamente a lei e mormorò:
— Presto tornerà l’usciere.
Ella balzò in piedi, tutta di un pezzo, con un grido di terrore.
— Tss! Non gridare!
Attonita, essa lo guardò.
Fu uno sguardo lungo, profondo, investigatore.
Gli occhi del cancelliere, non sostenendo quell’esame, si chinarono al suolo.
Emma si passò una mano sulla fronte, come per cacciare le tenebre che le ingombravano il cervello. Poi, col palmo della mano aperta, si compresse gli occhi gonfi di lagrime. Scosse la testa e soffocò un singhiozzo.
— Non piangere più, per carità! Ora bisogna che tu vada. Ci vedremo stasera.
— Stasera?... — balbettò Emma sempre attonita.
— Sì. In casa Mandelli, bisogna bene che vi ritorni.
Ella non rilevò questa affermazione.
— Il mio cappello? — domandò guardandosi intorno.
Brussieri lo scoprì sotto un tavolino.
— Oh! povero me!
Prese la spazzola e cercò di ripulirlo. Ma le povere rose erano sciupate. Emma le guardò con occhio malinconico, le rassettò alla meglio, poi con piglio risoluto si mise il cappello e lo fermò con lo spillone lungo che Brussieri aveva rinvenuto sotto a un altro mobile.
— I guanti, l’ombrellino.. Avevi altro?
— No.
Sul punto di andarsene, nello schianto angoscioso di separarsi dall’uomo a cui aveva fatto il maggiore sacrificio della sua vita, sentì un prepotente bisogno di conforto, di parole affettuose, di una speranza.
Si accostò a lui fissandolo con dolci occhi amorosi.
Paolo la baciò sulla bocca, e sorridendo mormorò:
— Te lo avevo detto che non saresti stata sempre tu la più forte?...
— Oh! Paolo!
Non disse altro.
Mortalmente ferita, portò la mano al cuore e si appoggiò al muro per non cadere.
— Te n’hai a male?... Oh! l’orgoglio delle signore!... Su, su, dammi ancora un bacio. Addio!
— Addio!
Scese lo scalone a lenti passi, senza voltarsi; uscì dal portone e varcò il ponte non più levatoio.
Solo al contatto dell’aria libera e in pieno sole, ella ebbe perfetta conoscenza del proprio stato e della infinita miseria in cui era caduta.
Allontanandosi, sempre senza voltarsi, le pareva che il vecchio castello, quella massa grigia, smantellata, sinistra, risonasse d una sconcia risata alle sue spalle.