Dedica

../ ../Prefazione IncludiIntestazione 7 novembre 2024 100% Da definire

Elogio della vecchiaia Prefazione

[p. v modifica]

All'illustre amico

il barone CARLO LOPES NEITO.

Questo libro non poteva esser dedicato che a voi, che nella vostra fiorente e, vorrei quasi dire, serena ed olimpica vecchiezza, siete la prova viva e palpitante della verità, che io voglio dimostrare in questo mio libro; che cioè la vecchiaia non è nè una malattia, come disse un grande, nè una maledizione, come ripetono tanti e tanti.

Quando io sento il bisogno di riposare gli occhi stanchi dal turbinìo di tanto fango umano divenuto polvere, ma pur rimasto putredine; quando sento il bisogno di riposare le mie povere orecchie assordate dai lamenti di tanti infelici, dai tanti [p. vi modifica]timballi e tamburi della mediocrità sfacciata e fortunata, dagli urli dei mille delirii umani; io corro da voi e mi riposo nella vostra casa di Via della Scala, come in un rifugio di pace e di serenità.

E là nella consapevole concordia delle idee e nella famigliarità di una conversazione amica contemplo la vostra bella e cara faccia d’uomo felice e fiero. La vostra fronte larga e alta come il vostro pensiero mi pare quella di un Giove cristiano e umano e il vostro sorriso benevolo, cortese, condito da un pizzico di benigna ironia mi dicono tutta la storia gloriosa di una vita consacrata sempre al trionfo del giusto e del buono. Mi sembrate l’antico gladiatore, che dopo le lunghe lotte si riposa nella gloria del suo trionfo assicurato.

Avvocato fra i più valenti del Brasile, poi deputato, avete sempre combattuto per ciò che era il progresso nella giustizia; senza domandarvi mai, se il farlo vi avrebbe giovato o nociuto. Messo in carcere per aver preso parte alla rivoluzione di Pernambuco, foste condannato a dura e [p. vii modifica]lunga pena, e non aveste la grazia che dopo quattro anni di martirio.

Il vostro ingegno e i vostri studi speciali di diritto internazionale vi portarono più tardi nella diplomazia, dove nelle più alte missioni a voi affidate, avete scritto molte fra le più belle pagine della storia della vostra patria.

Nel 66 in Bolivia con lungo e difficile travaglio nella definizione dei confini col Brasile, riusciste a far trionfare la verità anche nella carta geografica dell’America meridionale e nel tempo stesso a distaccare la Bolivia dalla sua alleanza col Paraguay.

Nel 76, ministro plenipotenziario del Brasile nell’Uruguay, poi agli Stati Uniti, dappertutto facendo amare e rispettare il vostro paese da tutti quelli che in voi riconoscevano tutte le più rare virtù del diplomatico insigne, del gentiluomo perfetto.

Nell’ultima guerra fra il Chili e il Perù, nominato arbitro delle contese fra i due Stati, rappresentaste il vostro Imperatore a Santiago, accettando, una delle [p. viii modifica]più ardue e più pericolose missioni, che mai siano state affidate ad un diplomatico.

I più insidiosi intrighi politici, le più rabbiose cupidigie degli interessati, le minaccie e le lusinghe vi movevano guerra incessante, scuotendovi, seducendovi, confondendovi Catone solo contro mille; ma Catone.

E quando la vostra coscienza si trovò faccia a faccia contro tutta quella gazzarra di intrighi, di lenocinii e di violenze morali; rifiutaste il mandato, volendo rimanere prima che rappresentante di un imperatore potente, difensore impeccabile del vero e del giusto.

Lasciatemelo dire: un uomo che per più di mezzo secolo è stato avvocato e diplomatico, eppure rimane Catone, è più che un uomo; un monumento.

In quell’occasione voi non foste soltanto un eroe della giustizia, ma dettaste norme, che serviranno di guida maestra a tutti i futuri arbitrati internazionali.

L’ultima tappa della vostra lunga e faticosa carriera fu quella di Roma, dove ministro del Brasile, avete fatto amare [p. ix modifica]la vostra patria da tutti e specialmente da noi altri italiani, che vi siamo riconoscenti di avervi veduto fare i primi studii all’Università di Pisa ed ora siamo alquanto superbi che abbiate scelto la nostra Firenze per passarvi gli anni di pace e di riposo.

Quanto a voi, a tutti quelli che vi ammirano, ricordando le fortunose vicende della vostra vita, modestamente rispondete sempre: non ho fatto che il mio dovere.

- Ma, quanti altri possono ripetere queste poche e sante parole?

Ed ora io vi saluto, augurandovi con tutto il cuore gli anni di Fontenelle e di Chevreul.

Belgirate, 31 agosto 1894.

Il vostro
Mantegazza.