Edipo Coloneo (Sofocle - Giusti)/Atto terzo/Scena II
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SCENA II.
CREONTE seguaci e detti.
creonte.
O generosi o grandi
Di questa terra abitatori, io scorgo
Negli occhi vostri, che timor vi prende
Dell’improvviso venir mio; ma nulla
Temere, o farmi di parole oltraggio
Dovete voi; ch’io quì vecchio non venni
A tentar cosa rea: ben io so quanto
Vostra città di tutte è più possente.
Vengo a pregar costui di tornar meco
Alla terra di Cadmo; e tanto incarco
Non un ma tutti i cittadin fidaro
A me, cui per li vincoli del sangue
Più che ad altri si addice i costui danni
Lamentare. — Deh! tu misero Edipo,
M’ascolta, e alle tue case fa ritorno.
Tutto il popol di Cadmo a buon diritto
Ti richiama, e più ch’altri io che pur sento,
Se il peggior de’ mortali me non tieni,
De’ tuoi mali pietà, te quì veggendo
Squallido errante qua e là costretto
A mendicar la tua vita coll’opra
D’una fanciulla, ch’io non mai credea
Nè cotanto infelice nè in sì grande
Avversità trovar! Ella, che sempre
Cura di te con mendicato vitto,
Ella d’anni matura, e non per anco
Di nozze esperta, ed alle insidie esposta
De’ rapitori. Ed oh! me sventurato!
Che a te forse rimprovero la turpe
Infamia, che su me su te su tutti
I congiunti è diffusa. Ma gli è vano
Celar ciò ch’è palese. Or dunque, Edipo,
Pe’ nostri numi al mio consiglio cedi
Alle tue case torna; e amicamente
Questa terra saluta. Ella n'è degna;
Ma presso te la carità più valga
Del patrio suol che ti à nutrito.
edipo.
O iniquo
Mastro di tutte scelleranze, e dotto
Solamente in ordir perfide trame
Sotto vel di giustizia! A che pretendi
Con nuove frodi d’ingannarmi, ond’io
Poi me ne dolga amaramente? Quando
Io dalle mie domestiche sventure
Trafitto, la città fuggir volea
Tu nol volesti; e, allora poi che stanco
E sazio del dolore, io dimandava
Di rimanermi, mi cacciasti in bando;
E non mi valse pur l’esser con teco
Nato di un sangue. Ed or che il popol tutto
E tutta la città meco si mostra
Benevola, strappar mi vuoi per forza
Da queste sedi, e con acerbo core
Movi blande parole? E qual diletto
V’ha nel mostrarsi amico a chi nol cura?
Dimmi: se a te chiedente altri negasse
Grazia e soccorso; e quando poi di tutto
Avessi copia, ti porgesse aita
Non accettata qual piacer ne avresti?
Si celano entro tue dolci parole
Malvagi intendimenti. Ora parlare
Voglio aperto a costor perchè sia chiaro
L’iniquo animo tuo. Qua tu venisti,
Non per guidarmi nel paterno tetto,
Ma per tenermi a forza in sul confine
Del regno; e i mali allontanar da Tebe,
Che dall’Attica gente ora paventa.
Ma ciò non otterrai: bene i disastri,
Di che temi saran: che sempre in Tebe
Il nume mio vendicator starassi.
E a’ figli miei della paterna terra
Tanto sol toccherà quanto lor basti
A potervi morire. — Or che ti pare?
Non veggo io forse de’ Tebani i fati
Meglio di te? Sì, meglio io li conosco
Chè a me di Febo e del suo padre Giove
Sono aperti gli oracoli. Tu vieni
Quì con astuto e menzognero labro;
Ma delle tue parole assai più danno
Che frutto coglierai. Va dunque, parti;
È vano il tuo pensier: lascia ch’io viva
In questa terra: ben si vive dove
Viver si elegge.
creonte.
E che? tu forse estimi
Ch’io n’avrò danno più di te?
edipo.
Mi fia
Dolce assai se nè me, nè questi vecchi
Moverai dal proposto.
creonte.
O te meschino,
Che, benchè vecchio, non ancor fai senno;
E qual vecchio deliri.
edipo.
ÀiFonte/commento: Pagina:Edipo Coloneo.djvu/163 mala lingua;
Ma non è dato pure ai buoni sempre
Senza offesa d’altrui, mover parole.
creonte.
Son differenti cose il parlar molto,
E il parlare opportuno.
edipo.
Ed opportuno
Sarà, se breve, il tuo parlar.
creonte.
Non già
Per chi tai pensier nutre.
edipo.
Va, tel dico,
Nella presenza di costoro. Voglia
Non ti stringa sapere in quale io brami
Loco abitar.
creonte.
Voi testimoni io chiamo
Non te, che d’amistade atti e parole
Paghi d’ingiurie. Ma, se in mio potere
Una volta io t’avrò...
edipo.
Nullo strapparmi
Potrà da questi difensor.
creonte.
Quand’anche
Ciò sia, ben altra ài tu cagion di pianto.
edipo.
Che minacce son queste?
creonte.
Una tua figlia
Ho in mio potere, ed inviata a Tebe:
Or l’altra involerò.
edipo.
Me sventurato!
creonte.
E presto avrai da pianger più.
edipo.
Rapisti
Una mia figlia?
creonte.
E tosto ancor costei.
edipo.
Cittadini che fate? E voi potreste
Tradirmi? A che non iscacciar quest’empio?
coro.
Esci di quì, straniero. Iniqua è l’opra
Che facesti e far pensi.
creonte.
Olà, compagni,
Costei si tragga a forza, se ricusa
Di buon grado venire.
antigone.
O me meschina!
Dove dove fuggir? Chi mi soccorre
De’ Numi o de’ mortali?
coro.
E tanto ardisci.
Ospite?
creonte.
Edipo non isforzo; prendo
Questa, che a me si deve.
edipo.
O Re Tesèo!
coro.
Ospite, ingiusto sei.
creonte.
No, giusto.
coro.
E come?
creonte.
Ella è mio sangue.
antigone.
O prodi cittadini!
coro.
Che fai? Non vuoi lasciarla? Or t’avvedrai
Che valga il nostro braccio.
creonte.
Cessa.
coro.
Nò.
edipo.
Se me tu offendi, la cittade offendi.
coro.
E non tel dissi io prima?
creonte.
Tosto lascia
Questa fanciulla.
coro.
Non usar comando
Ove possa non ài.
creonte.
Lasciala dico.
coro.
Ed io t’impongo di partir. — Venite
Accorrete, abitanti; è minacciata
La città vostra, la città periglia.
Presto soccorso!
antigone.
A forza mi strascinano.
Infelice! Deh! ospiti!
edipo.
Ove sei,
Amata figlia mia?
antigone.
Son tratta a forza!
edipo.
Stendi, o figlia, le braccia.
antigone.
Ah! ch’io noi posso!
creonte.
Che s’indugia? Traetela.