Dritto e rovescio nel tipo della Vergine
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XXVI.
DIRITTO E ROVESCIO NEL TIPO DELLA VERGINE.
La questione del dritto e del rovescio nelle monete dopo il 1637, fu causa di una discussione sostenuta con un egregio collega in numismatica, qualche anno dopo la pubblicazione delle Tavole. Questione alquanto bizantina, perchè di pura forma, poco importando se si cominci a descrivere l’una piuttosto che l’altra parte di una moneta, purchè non manchi la precisione nella descrizione stessa. Ad ovviare tuttavia il caso possibile che venga fatto da altri un eguale appunto alle Tavole, credo sia utile dar ragione dell’opera compiuta anche in questo particolare, per dimostrare che questa designazione non venne fatta a caso.
Gli argomenti principali del mio contraditore nel sostenere che il dritto della moneta dovesse esser quello della leggenda DVX • ET • GVB • etc, erano i seguenti:
1.° La leggenda citata si riferisce alla suprema autorità della Repubblica, mentre la Vergine non è altro che la protettrice della stessa, come S. Giovanni, S. Giorgio, etc.
2.° Le sigle dei zecchieri stanno sempre dalla parte della Vergine, per cui questa non può essere il dritto.
3.° La congiunzione iniziale della leggenda ET • REGE • EOS • indica la continuazione della leggenda principale dell’altro lato.
Io negai, come era naturale, la premessa del primo, sostenendo che la Vergine era effigiata sulle monete come capo dello Stato, e non come semplice protettrice; ed ai soli protettori San Bernardo, San Giorgio, San Giovanni e la Concezione, doversi assegnare il rovescio. La leggenda DVX etc, che in tal modo non rappresentava piìi l’autorità suprema, stava bene al rovescio intorno a quella croce patente, che dal 1139 in poi aveva sempre occupato quel posto.
Negai la premessa del secondo, cioè che le sigle di zecca dovessero avere un posto fisso. Infatti, i segni e le lettere nel tipo IANVA stavano sempre sul dritto, meno poche eccezioni: nelle monete seguenti sino al principio inoltrato del XV secolo, erano indifferentemente sull’una o sull’altra faccia, ma per lo più divise una per parte: poi prediligevano il rovescio; e nei Dogi biennali sino al 1637, sono esclusivamente dalla parte della croce. Ma dopo quest’anno come sarebbe stato possibile prolungare con tali sigle una leggenda già troppo lunga al rovescio, mentre rimaneva tanto spazio disponibile dopo l’ET • REGE • EOS?
Veniamo al terzo argomento, che si direbbe suggerito da una pubblicazione del Chiar. Ambrosoli1: la corrispondenza tra le due leggende non sussiste affatto. L’invocazione che il figlio rivolge alla madre, preceduta dalla congiunzione in pleonasmo, eleganza non insolita in latino ed in italiano e specialmente nei motti delle imprese personali, non è relativa ai soli governanti, ma a tutti i Genovesi. Nella statua della Vergine così detta del Voto, alla presenza della quale ebbe luogo la nota funzione della cessione dello Stato, questa invocazione scritta in una cartella stava tra le mani del divin pargolo: dunque, prima che la si improntasse sulle monete. Nè mancano ancor oggi altri esempi in Genova di quella statua colla stessa cartella: vedasi tra l’altre quella di Prò sulla piazza dello Statuto; dove manca assolutamente traccia di altra leggenda allusiva al Governo.
Per me non v’ha dubbio alcuno che il vero dritto, all’inizio del nuovo tipo, sia quello che porta effigiata la Vergine. Ma questo dubbio può sorgere invece per il seguito della monetazione, essendo che il gran colpo di Stato compiuto coll’atto solenne del 25 Marzo 1637 è uno di quelli che lasciano poca traccia di sè, e perciò soggetti a sparire ben presto dalla memoria. È probabile perciò che la Vergine del Voto, siasi ridotta presto o tardi a rappresentare la parte assegnata agli altri santi protettori. Non è facile indicare l’epoca di questa trasformazione, la quale si sana certamente prodotta a poco a poco; ma la prima volta che sulle monete, sarà stata considerata per rovescio la parte della Vergine, non sarà stato probabilmente che in quei casi, nei quali abbiamo l’arme della Repubblica sulla parte opposta invece della croce patente.
Da quanto ho esposto, si riconosce la convenienza di risolvere la questione generale in senso relativo e non in quello assoluto. Invece di ricercare quale delle due faccie della moneta sia da considerarsi come la principale, dobbiamo limitarci a designare per dritto quella parte, che gli autori della moneta stessa hanno inteso volta per volta di designar come tale.
Ridotta la questione in questi confini, ci si presenta un criterio materiale ma infallibile, almeno per tutto quel tempo che durò la coniazione a martello. È un fatto conosciuto da quanti hanno pratica di monete antiche, e facile a verificarsi da chi non l’abbia avvertito, che i pezzi battuti con quell’antico metodo, non hanno mai le due faccie esattamente piane e parallele, come in quelle coniate a torchio; ma la faccia superiore, che è sempre il dritto, non è mai piana e tende invece alla convessità: quella inferiore all’incontro, quando non è piana, tende più alla concavità che alla convessità.
Comincieremo dunque dal ricercare quando siasi introdotto in Genova il nuovo sistema, e quando sia stato abbandonato definitivamente il primitivo.
Secondo il Serra, quel cambiamento sarebbe avvenuto nel 1689. Secondo il Lobero, il nuovo sistema avrebbe cominciato a funzionare nel 1671 cogli scudi di S. Giovanni, e nel 1674 si avrebbe dovuto coniare la terza parte delle lire e spezzati al molino2. Ma rimettendocene alle monete delle collezioni, mezzo più sicuro per conoscere la verità, noi possiamo apprendere: 1.° Che le prime monete coniate a molino sono effettivamente gli scudi col S. Giovanni del 1671. 2.° Che negli scudi e spezzati colla Madonna, il nuovo metodo comincia appena a mostrarsi nell’ultimo quarto del XVII secolo, ma non si generalizza che al principio del XVIII. 3." Che abbiamo ancora dei pezzi coniati col vecchio metodo verso il 1717.
Osservando poi attentamente le monete coniate a martello, ci è facile di constatare: che tutte le monete anteriori al 1637 hanno, senza alcuna eccezione, il castello al dritto e la croce al rovescio: che gli scudi e spezzati posteriori a quell’epoca, hanno la Vergine al dritto e la croce al rovescio per tutta la loro durata, e si capisce che, data una consuetudine, si continui sempre egualmente in quella tale specie, massime trattandosi di moneta nobile ed importante: che le prime lire e spezzati hanno anch’esse la Madonna al dritto, malgrado che sul rovescio figurino le armi della Repubblica nello scudo ornato e coronato; e finalmente, che solo verso la fine del XVII secolo, comincia a mostrarsi una certa indecisione nelle piccole monete da due soldi e da otto denari. Onde si può ritenere che anche nelle monetazioni in oro da cento lire e spezzati dopo la metà del secolo, e poi in quelle da novantasci sulla fine dello stesso, quantunque coniate a torchio, sia da considerarsi la Madonna come rovescio.
Con questo, spero di evitare altri appunti alle Tavole e di spiegare alcune apparenti contraddizioni nelle stesse: ben inteso che non pretendo con ciò di aspirare alla infallibilità, potendo essere incorso in qualche menda indipendentemente dal metodo seguito. Mi si potrebbe osservare che avrei dovuto dar ragione di questi criteri nelle stesse Tavole: ma risponderei, aver creduto conveniente di evitare tutto ciò che avesse potuto parere meno importante, o far credere ad ostentazione dell’opera mia personale, mentre il lavoro stesso doveva rivestire il carattere collettivo sociale.
Note
- ↑ Petacchina savonese di Filippo M. Visconti, in Rivista Italiana di Numismatica, 1890, p. 95. — L’A. critica il Promis per non aver tenuto conto della corrispondenza tra le due leggende nelle monete savonesi, avendo premesso civitatem saone al virgo maria protege.
- ↑ V. La Prefazione del Desimoni, Tavole Genovesi, pag. xxvii.