Catene

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Ordine L'età ingrata

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CATENE


Fino da quando si è bambini la libertà è una delle nostre più care aspirazioni; appena nati, si cerca coi nostri piedini di sciogliere i ceppi che li avvolgono. Più grandicelli, si vorrebbe sfuggire all’autorità dei genitori e liberarsi dalle discipline scolastiche. Si desidera ardentemente di poter spiegar l’ali e volar liberi come gli uccelli nell’aria; eppure, lo credereste? Appena ci si fa grandicelli, ci si crea mille catene, ci si lascia avvolgere da una quantità di legami assai più tenaci di quelli [p. 191 modifica] che ci avvolgevano in culla, ci si assogetta ad una schiavitù assai più dura di quella che prima ci teneva avvinti, — sembra una contraddizione, ma pure è così; — e a quei ceppi noi porgiamo le braccia di buona voglia, col volto sorridente, senza alcun pensiero. Sono catene imposteci dalla società, dalla moda, dalle consuetudini e tanto più deplorevoli, perchè assurde ed inutili.

Quando si va alla scuola, si è schiavi dell’opinione dei nostri compagni, e prima di fare la più piccola cosa ci si guarda intorno, e si dà un gran peso a quello che penseranno di noi. Se abbiamo voglia di studiare ed essi invece vogliono giocare, noi ci si lascia trascinare al gioco. Se la mamma non vuol metterci in quella tal occasione un vestito nuovo, noi si piange per volerlo, perchè si sa che gli altri lo mettono; se ci dice di portare con noi i nostri libri, non vogliamo perchè gli altri li fanno portare dal servitore; e così via ci facciamo schiavi di tutto e di tutti, non si [p. 192 modifica] cerca di far bene e di essere in pace colla nostra coscienza; quello che più ci preme è che non abbiano a burlarci e a criticarci, e così ci lasciamo trascinare a fare quello che non vorremmo. Appena siamo liberati dai compagni di scuola abbiamo gli amici, i conoscenti, i colleghi, le convenienze sociali che c’impongono ciò che dobbiam fare, fanno da padroni in casa nostra, e noi dobbiamo rinunciare alla nostra volontà e come agnellini ci lasciamo assoggettare alla loro tirannia; sono essi che c’impongono le ore delle nostre occupazioni, la mobilia della nostra dimora, la qualità delle nostre vesti; che ci fanno abbandonare molte volte i figli in mani straniere, per far visite, e riceverne, secondo che la nostra posizione lo esige; e noi ci pieghiamo di buon grado, e prima di muovere un passo abbiamo cura di riflettere a quello che ne penserà il mondo. Il mondo! ecco la gran parola che dirige le nostre azioni; egli ci appare come qualche cosa di gigantesco, che ci fa tremare e chinare il capo [p. 193 modifica] riverenti, sotto pena, se si fa altrimenti, di passare per persone eccentriche, degne di abitare l’ospizio dei mentecatti.

Eppure qualche volta siamo noi che ci formiamo del mondo un’idea esagerata, che ci sogniamo ch’egli non abbia altro da fare che da occuparsi di noi, mentre pensa a tutt’altro; è la nostra vanità che ci fa centro di tutto e di tutti, mentre gli altri hanno troppo da pensare a loro stessi per occuparsi di ciò che riguarda noi soli. E qualche volta questa tema delle chiacchiere del mondo, ci fa rinunciare al nostro libero arbitrio e ci rende infelici per tutta la vita. Proviamoci allora a domandare al mondo un compenso alla nostra infelicità, a lui che ne è stato la causa principale! Egli ci volta le spalle ed è capace di riderci in faccia. Domandatelo a quel giovane che per vivere in una società superiore alla sua e per spendere più di quello che consentivano le sue ricchezze si ridusse alla miseria; chiedetelo a quella famiglia patrizia, che, decaduta, invece di ritirarsi a vivere [p. 194 modifica] una vita agiata ma modesta, volle pei riguardi del mondo con supremi sforzi conservare alla sua casa l’antico splendore, e finì per morire d’inedia; oppure a quella fanciulla che, fidanzata ad un uomo indegno di lei, quantunque avesse avuto campo di conoscerlo prima di legarsi a lui per sempre, e non potesse nè amarlo nè stimarlo, lo volle sposare ad ogni costo per paura delle chiacchiere del mondo, e fu infelice per tutta la vita; domandatelo infine a tutte le vittime di simili pregiudizii.

È vero, qualche volta l’opinione che vogliamo acquistare presso ai nostri simili, ci è di sprone a far cose lodevoli e buone, ma ciò che dovremo fare sarà di distinguere quello che ci potrà essere utile o dannoso; mantenere libera la nostra volontà, e seguire la corrente se il suo scopo ci pare plausibile, ma non lasciarci trascinare ad occhi chiusi senza riflettere, e soltanto perchè gli altri lo fanno; insomma dobbiamo esser superiori a certi [p. 195 modifica] pregiudizii e certe piccinerie, tracciarci una via retta e giusta e seguirla senza esitare e senza volgere il capo, e abituare i nostri figliuoli a fare altrettanto. Ho veduto delle fanciulle che se dovevano per caso pulire la loro stanzetta, chiudevano le finestre perchè si vergognavano farsi vedere ad essere brave donnine di casa; dei fanciulli che si rifiutavano di portare un piccolo involto per la via onde far piacere alla mamma, per tema d’incontrare i loro compagni di scuola; delle signorine andare al passeggio imbronciate perchè non avevano da sfoggiare un vestito nuovo. Tutte sciocchezze, ma delle quali n’è pieno il mondo, e che potersene liberare deve essere una gran bella cosa. Almeno si deve vedere di farne andare esenti i nostri figli; insegniamo loro a fare quello che devono senza timore d’essere criticati o derisi, e facciamo loro comprendere che la paura d’essere ridicoli per delle inezie, è cosa molto ridicola; e raccontiamo loro l’annedoto che racconta della sua vita Vittorio Alfieri, il quale [p. 196 modifica] essendo beffeggiato dai compagni, perchè in causa d’una malattia dovea portare la parrucca, egli non se n’ebbe a male, ne rise insieme agli altri, anzi per far la cosa più buffa, si levò da sè stesso la parrucca e si mise con essa a giocare alla palla; da quel giorno i compagni non gli dissero più nulla e lo stimarono di più. Converrete meco che quel fanciullo mostrava già da quell’età uno spirito superiore a certi pregiudizii, e che se la cavò in quella circostanza con molto onore. Sono specialmente imperdonabili quelle madri che trattandosi dell’educazione dei loro figliuoli, ad altro non tendono che a scimmiottare quello che fanno le loro amiche e non badano punto all’indole speciale e all’attitudine diversa che ha ogni individuo, e voler insegnare un’arte o una scienza a un nostro figlio soltanto perchè lo fa la nostra amica A o la nostra conoscente B, è una cosa molto assurda. Anche della moda dobbiamo procurare di non essere schiavi, ma discreti seguaci; se ci volesse imporre di stringerci [p. 197 modifica] smisuratamente in modo da rovinarci la salute oppure di portar cose non adatte alla nostra persona, dovremo subito emanciparsene.

Infine a che affannarci tanto per gli altri. Sono nostri amici sinceri? Allora ci piglieranno come siamo, e meno cerimonie che si faranno sarà meglio. Vengono invece in casa nostra per osservarci e criticarci? Ebbene stiano allora lontani da noi le mille miglia, che sarà tanto di guadagnato. Ci vuole un po’ d’eroismo per liberarsi dai pregiudizii del mondo; ma se ci si riesce, possiamo vantarci d’aver ottenuto una bella vittoria.