Don Giovanni Tenorio o sia Il dissoluto/Atto I

Atto I

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Personaggi Atto II
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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Appartamenti di don Alfonso.

Don Alfonso e Donn’Anna.


D. Alfonso. Figlia, che con tal nome io vo’ chiamarvi,
Per quel tenero amor che a voi mi lega,
Carico più che mai di merti e fregi,
Il vostro genitor torna in Castiglia,
E voi sposa sarete in sì bel giorno.
Il nostro Re, di cui ministro io sono,
Ama ed apprezza il padre vostro, e a voi
Serba eguale la stima, egual l’affetto.
A parte io son de’ suoi disegni, ei brama
La figlia e il genitor mirar felici.
Parmi vedere il vostro cuor diviso

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Fra due teneri oggetti, e quinci al padre,

Quindi allo sposo compartir gli affetti.
Donn’Anna. Signor, pel padre mio tenero affetto
Tutto ingombra il mio cuore, e non appresi
Ad amare finora altri che lui.
D. Alfonso. Tempo è però, che vi sia noto quale
Sia l’amore di figlia, e qual di sposa.
Sono fiamme distinte, e ponno entrambe
Occupare un sol petto. Ad una serve
D’alimento il dovere, e serve all’altra
Di fomento il desio. Son ambe oneste,
Ambe son degne d’un illustre cuore.
Donn’Anna. Di questo amor parlare intesi, e parmi,
S’io non mi oppongo al ver, che genio sia
Quel che lega due cuori in dolce affetto.
Ad un volto che piaccia, ad un gentile
Tratto di cavalier, narrar intesi,
Che può sentir giovane donna amore;
Non appresi però che sconosciuto,
Forse odioso oggetto, avesse forza
Di destar in un sen fiamme amorose.
D. Alfonso. Aman così l’alme vulgari. In esse
Non favella ragion; ma l’alme grandi
Amano quel che lor destina il cielo,
E bello sempre a lor rassembra il nodo
Che può far lor fortuna.
Donn’Anna.   Il nodo a cui,
Signor, son destinata, è dunque tale
Che può far mia fortuna?
D. Alfonso.   E può innalzarvi
Al grado di sovrana.
Donn’Anna.   (Oh me felice
Se invaghito di me fosse il Re nostro!)
Fate che questa all’altre grazie aggiunga:
Ditemi il mio destin, lo sposo mio

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Non mi celate.

D. Alfonso.   Al padre vostro io deggio
Parlarne pria; s’ei v’acconsente, allora
Lo svelerò. Per or saper vi basti
Ch’è di sangue reale.
Donn’Anna.   Un Re clemente
Può innalzar mia bassezza in quella guisa
Che solleva dal suolo umil vapore
Provvido il sole, e gli dà forza e luce.
Povera son di fregi e di fortune,
Ma due pregi riserbo: onore e fede.
D. Alfonso. Degna vi scorgo di sublime stato,
E felice sarà quel che in isposa
Meritarvi potrà.
Donn’Anna.   (Non ingannarmi,
Lusinga di regnar).

SCENA II.

Un Paggio di don Alfonso e detti.

Paggio.   Signore, è giunto

Il genitore di donn’Anna, e prima
D’ire a’ piè del Monarca, a voi sen viene.
D. Alfonso. Passi il Commendatore, e voi, donn’Anna,
(parte il paggio
Trattenetevi meco: essere a parte
Vo’ anch’io del piacer vostro.
Donn’Anna.   Al padre mio
Svelerete lo sposo?
D. Alfonso.   Sì, saprallo
Pria che da me si parta; e come mai
Sollecita vi rese in un istante
Quell’amor che poc’anzi eravi ignoto?
Donn’Anna. (Tale ambizione, e non amor mi ha resa).
È il desio di saper, passion comune...

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SCENA III.

Il Commendatore e detti.

D. Alfonso. Venite, amico, a consolar chi v’ama.

Commend. Dolce la patria riveder, dolcissimo
Veder gli amici suoi!
(abbracciandosi con don Alfonso
Donn’Anna.   Signor, la mano
Concedete, che umil baciarvi io possa.
(al Commendatore
Commend. Figlia, al seno vi stringo. Oh come lieto
Qui voi rimiro! Io per natura sono
Il padre vostro, è ver; ma per affetto
Quest’amico fedel padre vi è pure.
Signor, de’ Siciliani il fiero orgoglio... (a don Alfonso
D. Alfonso. Lo so, fiaccaste, e ad impetrar perdono
In Castiglia verranno i promotori
Dell’audace congiura. Or di riposo
Uopo averete. Il nostro Re desia
Che pensiate soltanto a custodirvi
Per sicurezza della sua corona.
Commend. Questa è troppa bontà. Merta assai meno,
Chi servendo al suo Re, fa ciò che deve.
D. Alfonso. Ei v’amò sempre, ed or s’accresce in lui
L’amor, siccome in voi s’accresce il merto
Per eternare il nome vostro. Equestre
Statua eriger vi fece, e rese immune
L’atrio onorato dell’illustre marmo.
L’oro voi ricusaste, ed ei di questo
Liberal non vi fu. Reso vi siete
Il più glorioso cavalier, ma insieme
De’ beni di fortuna il men felice.
Commend. A che servono questi? L’uomo saggio
Di poco si contenta. Le ricchezze
Son de’ mortali il più fatal periglio.

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D. Alfonso. Finchè voi foste solo, avrebbe lode

Questa vostra virtù; ma poichè il cielo
Una figlia vi diede, a lei dovete
Pensar più che a voi stesso. Egli è ormai tempo
Di darle stato, e convenevol dote
Le si dee, che risponda al grado vostro.
Commend. Dote che basta è la virtude in lei;
E se questa non giova a meritarle
Convenevole sposo, ella sì vaga
Non è di cangiar stato, onde invidiare
Possa l’altrui fortuna.
Donn’Anna.   (Ah il genitore
Troppa figura nel mio sen virtude).
D. Alfonso. Commendatore, il Re alla figlia vostra
Pensa con più ragion; sposo le scelse
Degno di voi, degno di lei. La dote
Faralle ei stesso, e sol per me vi chiede
Il paterno volere.
Commend.   È il mio sovrano
Arbitro del mio cuor. Disporre ei puote
Come del sangue mio, del mio volere.
Non ricuso il bel dono; anzi mi è caro,
Perchè a prò della figlia; amico, io l’amo
Quanto la vita mia. Donn’Anna, udiste?
Della regia bontà del signor nostro
Che vi par? Rispondete.
Donn’Anna.   Io non saprei
Al voler del mio Re mia voglia opporre.
Lieta son di mia sorte, e lieta incontro
Il regale favor.
D. Alfonso.   Restate adunque.
Fra poch’istanti giungerà lo sposo.
Donn’Anna. Come?
Commend.   Ma chi fia questi?
D. Alfonso.   Il duca Ottavio.

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Donn’Anna. Ma, uno sposo real?...

D. Alfonso.   Del Re il nipote
Vostro sposo sarà. Non vi sorprenda
La sua grandezza. Il merto vostro assai
Compensa i suoi natali.
Donn’Anna.9 (Oh me infelice!
M’ingannai, son delusa, odioso il Duca
Fu sempre agli occhi miei).
D. Alfonso.   Del Re alle stanze
Tornar degg’io. Voi disponete il cuore
(a donn’Anna
Ad amare il consorte.
Donn’Anna.   (Ah che smarrite
Sono le mie speranze!)
D. Alfonso.   Impallidite?
Fissate a terra i lumi? A voi discaro
Fors’è il nome del Duca?
Commend.   In quel pallore,
In quel timido ciglio, ecco l’usata
Verecondia del sesso: il suo piacere
Simula per modestia, e il lieto annunzio
Ch’altrui fora cagion di vano orgoglio,
Rende il suo cuor per riverenza umile.
D. Alfonso. Con voi sen resti; il suo desire al padre
Potrà spiegar senza rossore. Io spero
Ch’ella comprenderà la sua fortuna.
(al Commendatore, e parte

SCENA IV.

Il Commendatore e Donn’Anna.

Commend. Figlia, al cielo la mente, il cuore alzate:

Il ben vien di lassù. Propizia stella
Destò nel cuor del nostro Re il desire
Di compensar, col sollevar la figlia,

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Le fatiche del padre. Ei vi destina

Uno sposo, che può di questo regno
Esser l’erede, e lo sarà, se il zio
Seguita ad abbonir di nozze il nome.
Donn’Anna. Comprendo il mio destin; ma qual pensate,
Lieta già non l’incontro.
Commend.   E che si oppone
Alla vostra letizia?
Donn’Anna.   Ah non so dirlo.
Commend. Aprite il vostro cuore.
Donn’Anna.   Io per lung’uso
Avvezza sono a dimorar con voi,
Nè staccarmi saprei dal fianco vostro
Senza un aspro dolore.
Commend.   Amata figlia,
Piacemi il vostro amor. Risento anch’io
Nel privarmi di voi staccar dal seno
Parte di questo cuor. Pure m’è forza
Superar il cordoglio, e umil la fronte
Al destino inchinar.
Donn’Anna.   Facciam noi stessi,
Padre, il nostro destin. Non è tiranno
Il ciel con noi, e violentar non usa
L’arbitrio de’ mortali.
Commend.   Egli dispone
In tal guisa però, che noi dobbiamo
Ciecamente ubbidire a’ cenni suoi.
Donn’Anna. Ed il ciel soffrirà che la mia pace
Abbia a sacrificar per uno sposo,
Che il mio cuore abborrisce?
Commend.   E pur poc’anzi
Di gradirlo mostraste. A Don Alfonso
Non ne deste l’assenso?
Donn’Anna.   Finsi allora
Per riverenza; al genitore or parlo

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In più liberi sensi: al duca Ottavio

Stender la destra mia non acconsente
Ripugnanza del cuor, ch’io non intendo.
E se il destin...
Commend.   Non più; del duca Ottavio
Sposa sarete; il prometteste. Io stesso
Lo promisi per voi. Se il vostro cuore
Non acconsente al nodo, il padre vostro
Faravvi acconsentir, se in fiero sdegno
Non vi piaccia veder l’amor cangiato. (parte

SCENA V.

Donn’Anna sola.

Stolta, incauta ch’io fui! Come sì tosto

A una vana lusinga io prestai fede?
Ah mi credea che, co’ suoi detti, Alfonso
Un talamo real mi proponesse.
Il Duca può regnar? Chi ci assicura,
Che il Re sempre abbonir voglia le nozze,
E che figli non abbia? Ma sia fatto
Che regni il Duca: io l’odio, e l’odierei,
Benchè sul crine la corona avesse.
Piacermi non potrà. Nascon gli affetti
Dell’amore e dell’odio dalle occulte
Fonti del nostro cuor. Faccia mio padre
Tutto quello che può. Faccia il Re istesso
Tutto quello che sa, non fia mai vero
Che all’odiato imeneo stenda la mano. (parte


Fine dell’Atto Primo.