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DON GIOVANNI TENORIO 283
D. Alfonso. Finchè voi foste solo, avrebbe lode

Questa vostra virtù; ma poichè il cielo
Una figlia vi diede, a lei dovete
Pensar più che a voi stesso. Egli è ormai tempo
Di darle stato, e convenevol dote
Le si dee, che risponda al grado vostro.
Commend. Dote che basta è la virtude in lei;
E se questa non giova a meritarle
Convenevole sposo, ella sì vaga
Non è di cangiar stato, onde invidiare
Possa l’altrui fortuna.
Donn’Anna.   (Ah il genitore
Troppa figura nel mio sen virtude).
D. Alfonso. Commendatore, il Re alla figlia vostra
Pensa con più ragion; sposo le scelse
Degno di voi, degno di lei. La dote
Faralle ei stesso, e sol per me vi chiede
Il paterno volere.
Commend.   È il mio sovrano
Arbitro del mio cuor. Disporre ei puote
Come del sangue mio, del mio volere.
Non ricuso il bel dono; anzi mi è caro,
Perchè a prò della figlia; amico, io l’amo
Quanto la vita mia. Donn’Anna, udiste?
Della regia bontà del signor nostro
Che vi par? Rispondete.
Donn’Anna.   Io non saprei
Al voler del mio Re mia voglia opporre.
Lieta son di mia sorte, e lieta incontro
Il regale favor.
D. Alfonso.   Restate adunque.
Fra poch’istanti giungerà lo sposo.
Donn’Anna. Come?
Commend.   Ma chi fia questi?
D. Alfonso.   Il duca Ottavio.