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280 ATTO PRIMO
Fra due teneri oggetti, e quinci al padre,

Quindi allo sposo compartir gli affetti.
Donn’Anna. Signor, pel padre mio tenero affetto
Tutto ingombra il mio cuore, e non appresi
Ad amare finora altri che lui.
D. Alfonso. Tempo è però, che vi sia noto quale
Sia l’amore di figlia, e qual di sposa.
Sono fiamme distinte, e ponno entrambe
Occupare un sol petto. Ad una serve
D’alimento il dovere, e serve all’altra
Di fomento il desio. Son ambe oneste,
Ambe son degne d’un illustre cuore.
Donn’Anna. Di questo amor parlare intesi, e parmi,
S’io non mi oppongo al ver, che genio sia
Quel che lega due cuori in dolce affetto.
Ad un volto che piaccia, ad un gentile
Tratto di cavalier, narrar intesi,
Che può sentir giovane donna amore;
Non appresi però che sconosciuto,
Forse odioso oggetto, avesse forza
Di destar in un sen fiamme amorose.
D. Alfonso. Aman così l’alme vulgari. In esse
Non favella ragion; ma l’alme grandi
Amano quel che lor destina il cielo,
E bello sempre a lor rassembra il nodo
Che può far lor fortuna.
Donn’Anna.   Il nodo a cui,
Signor, son destinata, è dunque tale
Che può far mia fortuna?
D. Alfonso.   E può innalzarvi
Al grado di sovrana.
Donn’Anna.   (Oh me felice
Se invaghito di me fosse il Re nostro!)
Fate che questa all’altre grazie aggiunga:
Ditemi il mio destin, lo sposo mio