Discorso sui Reali di Francia
Questo testo è completo, ma ancora da rileggere. |
DISCORSO
Premesso all'edizione dei Reali di Francia,coll' Istoria di Buovo di Antona, pubblicati per cura dell'Autore in Venezia, 1821, in 8.
Quando rinacque l’Italia alle scienze e alle lettere, i suoi primi vagiti furono spirituali leggende, rozze canzoni, sacre rappresentazioni, novellette, romanzi. Io toccherò alcuna cosa intorno a questi ultimi per farmi strada a dar ragione dell’opera che riconsegno alla luce.
I Romanzi, volgarmente detti di Cavalleria, non sono senza qualche fondamento di verità, come non lo furono le storie della mitologia pagana, e formano anch’essi la base e il soggetto di un’epopea favolosa, i cui annali esercitarono le penne e lo ingegno di uomini eruditissimi. Il Quadrio, che tra gl’Italiani ne parlò più diffusamente d’ogni altro, in tre classi divise le singolari e curiose storie dei Paladini. La prima, cui fa egli coetanea coll'origine dei Bretoni, tiene per suo corifeo il re Artù, e per suoi grandi campioni Lancillotto del Lago, i due Tristani, il re Maliadus ed
altri, che formarono la famosa Tavola rotonda. Nella seconda classe, la quale ha per fondamento la origine dei Gaulesi, vissero celebri un Amadigi, un Palmieri di Oliva, un Tirante il Bianco. La classe terza è formata dalla così detta Storia di Carlomagno e dei suoi dodici Paladini, la quale più ancora delle altre due fu copiosa di cavalieri erranti; e quelli che precedettero il nascimento di Carlomagno, come Fiovo, Fioravanti, Rizieri, Buovo di Antona e Carlo istesso, diedero materia al Libro dei
Reali di Francia.
Di questo libro volendo io tenere discorso non entrerò a dire del mirabile che ne forma il generale disegno, né delle parti che possono costituirlo assai ragguardevole, avuto rispetto a tempi in cui fu composto, cioè quando gli autori dopo il totale decadimento delle lettere cominciavano a scrivere con qualche purezza, ma affatto senz’arte e da lumi di sola natura guidati. L’opera riuscì tale da starsene onoratamente tra quelle, le quali servirono a mansuefare e ad ingentilire gli uomini ed a far valere fra le genti la cortesia, la fortezza, il
valore, la magnanimità. Che se sono suoi principali difetti la trivialità dei racconti o il mescolamento delle cose sacre colle profane o li troppo frequenti spropositi di storia e di geografia, tuttavolta, a differenza di altri scritti contemporanei, essa va netta di non poche lordure. Le sacre leggi del vassallaggio e della ospitalità vi sono rispettate, ed in vece di trovarvi le Ginevere e le Isotte che menin vanto di adulterj e di sfrenatezza, vi s’incontrano le Drusiane e le Dusoline, le quali ricusano di essere cortesi del loro amore ai mariti sin a tanto che non pervenivano a cignersi la fronte di reale diadema e a diventare re di corona.
I numerosi romanzi cavallereschi che ora dal provenziale, ora dal francese, ora dallo spagnuolo recarono al volgare italiano i nostri antichi, sono per la maggior parte o trascurati o dimenticati affatto oggidì, e al libro dei Reali di Francia toccò il destino di vivere più degli altri, ma poverello e tapino, sbandito dagli scaffali dei letterati, in odio alle donne colte e gentili, e confinato a posarsi sul banco di qualche ozioso fattorino o per le stalle dei contadini. E perché tanto avvilidigato di un'opera originale, nata sotto il no
Stro cielo, che pure somministrò materiali ai divini poemi dell’Ariosto e del Tasso, ed agli allegri cantori del Pulci, del Berni e del Fortiguerri? Io tengo per fermo che accagionare di ciò si debbano principalmente le infinite e tutte scorrettissime stampe che se ne sono fatte, le quali mettono nella impossibilità di leggere questo libro quale di primo guscio uscì dall'autor suo. Gli Accademici della Crusca ne conobbero de’ frammenti, che furono veduti dal loro Infarinato, ma questi servirono ad apprestare qualche buona voce al loro Vocabolario, e poi rimasero trascurati fra la polvere degli archivi. Dall’anno 1491, in cui si fece in Modena la prima stampa, divenuta rarissima, sin all’anno 1815,in cui in Venezia per l’ultima volta questo libro s'impresse, non si è fatto altro che interpolare, imbrattare, deturpare una dicitura, la quale pure scorgesi essere originalmente stata tutta facile e netta, e ognora plausibile per lo periodare breve, succoso, chiaro e vibrato. Se non si scoprano Codici, sui quali fare studio ed esame, i Reali di Francia non potranno mai pretendere al diritto di autorità reverenda; diritto a cui non aspira certamente nemmeno la presente stampa, la quale, il confesso, è fatta coll'ajuto
e riscontro di due vecchie edizioni, l'una e l'altra poco pregevoli; né tuttavia picciola fatica è stata l'avere cura di navicella tanto sdruscita per ridurla in porto senza totale naufragio, lo ho dovuto porre studio e diligenza molta per rendere chiaro il senso, per togliere lo ripetizioni troppo soverchie e noiose, per regolare la interpunzione, e tutto ciò senza far perdere al libro, per quanto si poté, le native sue forme.
Vorrei che la erudizione mi assistesse per rendere bene istrutto i1 lettore intorno all’epoca, in cui i Reali di Francia furono composti, e intorno al nome e alla patria del loro autore. Gli scrittori, che più di proposito si occuparono di questo ramo di letteratura. furono tra noi il Ghiraldi, il Pigna ed il Quadrio; e fu in Inghilterra Tommaso Warton, e fu in Francia il Ginguené, il quale con finissima critica e rette sentenze trattò a lungo della Epopra romanzesca in generale, e dei Reali di Francia in particolare. Quel poco che puossi da tali fonti attingere, si è, che il libro è stato certamente scritto dopo il secolo duodecimo, perché quella santa bandiera Orifiamma, che spesso vi è ricordata, non fu portata nelle battaglie per ordine dei re di Francia nei
tempi anteriori; e siccome poi lo storico fiorentino Giovanni Viilani, che morì nel 1348, rammenta nelle sue Cronache i romanzi che narravano le gesta di Buovo di Antona, le quali appunto danno argomento a tutto il quarto Libro della nostra opera, così dee tenersi per certo che fu dettata o nel xiii, o al più tardi nel principio del secolo xiv. Dell’autore sono affatto ignoti il nome e la patria. Si potrebbe però osservare che nelle vecchie leggende solcano gli scrittori fermarsi con ispeziale minutezza a descrivere que’ paesi che, essendo i loro proprj assai conoscevano e siccome nei Reali di Francia si trovano aspre battaglie date in Lombardia, di cui non è o picciola o grande città che non sia ricordata; e siccome anche de’ contorni di Roma si mostra l’autore istrutto a segno di darci sino il nome di qualche strada della picciola città di Sutri; e d’altre parti delle città toscane e di quelle del paese veneziano poco si fa menzione, così io inclinerei a giudicare questo scrittore nativo degli stati o lombardi o ponteficj, pittostoché dei veneti o dei toscani.
Le istorie in tutto il libro contenute, come si leggono nelle più e men conosciute edizioni, abbracciano sei soli Libri, e cominciando da Costantino, terminano col ritorno dall'Italia in Francia di Carlomagno, accompagnato da Berta sua sorella e da Orlandino suo nipote. Vi restano troncate a mezzo le vicende di molti Paladini, né l'opera si mostra condotta sino al suo compimento. Bisogna credere che tale siasi lasciata dall'autor suo, e che altri scrittori poi, e spezialmente francesi, abbiano ripigliato il filo delle stravaganti avventure; della qual cosa noi abbiamo prova nei vecchi volgarizzamenti fattisi del Libro della regina Ancroja, dal Libro chiamato la Spagna, del Danese Ugieri, dell'Anteo Gigante, di Altobello e re Troiano suo fratello, ecc.
Niun'altra avvertenza restandomi da premettere a questa ristampa, chiuderò il discorso con un'ultima osservazione. I Romanzi di cavalleria, fattisi cibo troppo dozzinale fra i popoli, diventarono sorgente di strani pregiudizj, e si è quasi posto in oblio il primario loro scopo morale, talché è stato opportuno che uno dei più grand'uomini, Michele Cervantes, venisse colle armi del ridicolo a corregerne l'abuso, siccome egli ha fatto coll'ammirabile suo don Chisciotte; ma dopo tutto questo né agli uomini di lettere può essere discaro di tenere fra mano mi piace vole libro, che tra ’l fango racchiude gemme preziose ed è pittura vivace di tempi e di costumi che già furono, né tra la gente del volgo disdice che si moltiplici l’uso di una lettura, mediante la quale essa prende, senza accorgersi, affetto e stima per la gente intrepida e per lo mestiere dell’armi. E dotti e idioti imparano finalmente dai Paladini a portare rispetto al debole sesso e ad assumere per esso quella gentilezza di animo, di cui ci hanno dato il primo modello queste favolose dicerie, le quali non hanno, per questo riguardo, esemplari nelle famose storie dei Greci e dei Romani.