Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Libro primo/Capitolo 1

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CAPITOLO PRIMO


Quali siano stati universalmente i principj
di qualunque città, e quale fusse quello di Roma
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Coloro che leggeranno qual principio fusse quello della città di Roma, e da quali legislatori, e come ordinato, non si maraviglieranno che tanta virtù si sia per più secoli mantenuta in quella città; e che dipoi ne sia nato quello Imperio, al quale quella Repubblica aggiunse. E volendo discorrere prima il nascimento suo, dico: che tutte le città sono edificate o dagli uomini natii del luogo dove le si edificano, o dai forestieri. Il primo caso occorre, quando agli abitatori dispersi in molte e piccole parti non par vivere sicuri, non potendo ciascuna per sè, e per il sito e per il piccolo numero resistere all’impeto di chi le assaltasse, e ad unirsi per loro difensione, venendo il nemico, non sono a tempo; o quando fussero, converrebbe loro [p. 11 modifica]lasciare abbandonati molti de’ loro ridotti, e così verrebbero ad esser subita preda dei loro nemici; talmente che per fuggire questi pericoli, mossi o da loro medesimi, o da alcuno che sia infra di loro di maggiore autorità, si ristringono ad abitar insieme in luogo eletto da loro, più comodo a vivere, e più facile a difendere. Di queste infra molte altre sono state Atene e Vinegia. La prima, sotto l’autorità di Teseo, fu per simili cagioni dagli abitatori dispersi edificata. L’altra, sendosi molti popoli ridotti in certe isolette, ch’erano nella punta del mare Adriatico, per fuggire quelle guerre che ogni dì per lo avvenimento di nuovi Barbari, dopo la declinazione dello Imperio romano, nascevano in Italia, cominciarono infra loro, senz’altro Principe particolare che gli ordinasse, a vivere sotto quelle leggi che parvero loro più atte a mantenerli. Il che successe loro felicemente per il lungo ozio, che il sito dette loro, non avendo quel mare uscita, e non avendo quelli Popoli che affliggevano Italia, navigj da poterli infestare; talchè ogni picciolo principio li potè far venire a quella grandezza nella quale sono. Il secondo caso, quando da genti forestiere è edificata una città, nasce o da uomini liberi, o che dipendono da altri, come sono le colonie mandate o da una Repubblica, o da un Principe per isgravare le loro terre d’abitatori, o per difesa di quel paese, che di nuovo acquistato, vogliono sicuramente e senza spesa mantenersi; delle quali città il Popolo romano ne [p. 12 modifica]edificò assai, e per tutto l’Imperio suo: ovvero le sono edificate da un Principe, non per abitarvi, ma per sua gloria, come la città di Alessandria da Alessandro. E per non avere queste cittadi la loro origine libera, rade volte occorre che le facciano progressi grandi, e possinsi intra i capi de’ Regni numerare. Simile a queste fu l’edificazione di Firenze, perchè o edificata da’ soldati di Silla, o a caso dagli abitatori dei monti di Fiesole (i quali confidatisi in quella lunga pace che sotto Ottaviano nacque nel Mondo, si ridussero ad abitare nel piano sopra Arno) si edificò sotto l’Imperio romano, nè potette ne’ principj suoi fare altri augumenti, che quelli che per cortesia del Principe le erano concessi. Sono liberi gli edificatori delle cittadi, quando alcuni popoli o sotto un Principe, o da per sè, sono costretti o per morbo, o per fame, o per guerra ad abbandonare il paese patrio, e cercarsi nuova sede: questi tali, o egli abitano le cittadi che e’ trovano ne’ paesi ch’egli acquistano, come fece Moisè, o ne edificano di nuove, come fece Enea. In questo caso è dove si conosce la virtù dello edificatore, e la fortuna dello edificato; la quale è più o meno maravigliosa, secondo che più o meno è virtuoso colui che n’è stato principio. La virtù del quale si conosce in duoi modi; il primo è nella elezione del sito, l’altro nella ordinazione delle leggi. E perchè gli uomini operano o per necessità o per elezione, e perchè si vede quivi esser maggiore virtù, dove la [p. 13 modifica]elezione ha meno autorità, è da considerare se sarebbe meglio eleggere per la edificazione delle cittadi, luoghi sterili, acciocchè gli uomini costretti ad industriarsi, meno occupati dall’ozio, vivessero più uniti, avendo per la povertà del sito minore cagione di discordie; come intervenne in Raugia, e in molte altre cittadi in simili luoghi edificate; la quale elezione sarebbe senza dubbio più savia e più utile, quando gli uomini fussero contenti a vivere del loro, e non volessero cercare di comandare altrui. Pertanto non potendo gli uomini assicurarsi se non con la potenza, è necessario fuggire questa sterilità del paese, e porsi in luoghi fertilissimi, dove potendo per la ubertà del sito ampliare, possano e difendersi da chi li assaltasse, e opprimere qualunque alla grandezza loro si opponesse. E quanto a quell’ozio che gli arrecasse il sito, si debbe ordinare che a quelle necessitadi le leggi li costringano, che ’l sito non li costringesse; e imitare quelli che sono stati savi, ed hanno abitato in paesi amenissimi e fertilissimi, e atti a produrre uomini oziosi, ed inabili ad ogni virtuoso esercizio; che per ovviare a quelli danni, i quali l’amenità del paese mediante l’ozio arebbero causati, hanno posto una necessità di esercizio a quelli che avevano a essere soldati; di qualità che per tale ordine vi sono diventati migliori soldati, che in quelli paesi, i quali naturalmente sono stati aspri e sterili; intra i quali fu il regno degli Egizj, che, non ostante che il paese sia amenissimo, [p. 14 modifica]tanto potette quella necessità ordinata dalle leggi, che vi nacquero uomini eccellentissimi; e se i nomi loro non fussero dalla antichità spenti, si vedrebbe come meriterebbero più laude che Alessandro Magno, e molti altri, de’ quali ancora è la memoria fresca. E chi avesse considerato il Regno del Soldano, e l’ordine de’ Mammalucchi, e di quella loro milizia, avanti che da Salì, Gran Turco, fusse stata spenta, arebbe veduto in quello molti esercizj circa i soldati, ed arebbe in fatto conosciuto quanto essi temevano quell’ozio, a che la benignità del paese li poteva condurre, se non v’avessero con leggi fortissime ovviato. Dico adunque, essere più prudente elezione porsi in luogo fertile, quando quella fertilità con le leggi infra debiti termini si ristringe. Ad Alessandro Magno, volendo edificare una città per sua gloria, venne Dinocrate architetto, e gli mostrò com’ei la poteva fare sopra il monte Atho, il qual luogo, oltre all’essere forte, potrebbe ridursi in modo, che a quella città si darebbe forma umana, il che sarebbe cosa maravigliosa e rara, e degna della sua grandezza; e domandandolo Alessandro di quello che quelli abitatori viverebbono, rispose non ci aver pensato; di che quello si rise, e lasciato star quel monte, edificò Alessandria, dove gli abitatori avessero a star volentieri per la grassezza del paese, e per la comodità del Mare e del Nilo. Chi esaminerà adunque la edificazione di Roma, se si prenderà Enea per suo primo progenitore, sarà di quelle cittadi [p. 15 modifica]edificate dai forestieri; se Romolo, di quelle edificate dagli uomini natii del luogo; ed in qualunque modo, la vedrà avere principio libero, senza dipendere da alcuno; vedrà ancora (come di sotto si dirà) a quante necessitadi le leggi fatte da Romolo, da Numa, e dagli altri la costringessero; talmente che la fertilità del sito, la comodità del Mare, le spesse vittorie, la grandezza dello Imperio, non la poterono per molti secoli corrompere, e la mantennero piena di tante virtù, di quante mai fusse alcun’altra Repubblica ornata. E perchè le cose operate da lei, e che sono da T. Livio celebrate, sono seguìte o per pubblico o per privato consiglio, o dentro o fuori della città, io comincerò a discorrere sopra quelle cose occorse dentro e per consiglio pubblico, le quali degne di maggior annotazione giudicherò, aggiungendovi tutto quello che da loro dipendesse; con i quali Discorsi questo primo libro, ovvero questa prima parte si terminerà.