Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio/Libro secondo

Libro secondo

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Indice

  •  Introduzione 
  •  Capitolo 1 
Quale fu più cagione dello imperio
che acquistarono i romani, o la virtù,
o la fortuna.


Con quali popoli i Romani
ebbero a combattere,
e come ostinatamente quegli difendevono
la loro libertà.


Roma divenne gran città
rovinando le città circunvicine,
e ricevendo i forestieri facilmente
a’ suoi onori.


Le republiche hanno tenuti
tre modi circa lo ampliare.


Che la variazione delle sètte
e delle lingue, insieme con l’accidente
de’ diluvii o della peste, spegne
le memorie delle cose.


Come i Romani procedevano
nel fare la guerra.


Quanto terreno i Romani
davano per colono.


La cagione perché i popoli si partono
da’ luoghi patrii, ed inondano
il paese altrui.


Quali cagioni comunemente faccino
nascere le guerre intra i potenti.


I danari non sono il nervo della guerra,
secondo che è la comune opinione.


Non è partito prudente fare amicizia
con uno principe che abbia più opinione
che forze.


S’egli è meglio, temendo di essere
assaltato, inferire o aspettare la guerra.


Che si viene di bassa a gran fortuna
più con la fraude; che con la forza.


Ingannansi molte volte gli uomini,
credendo con la umiltà
vincere la superbia.


Gli stati deboli
sempre fiano ambigui nel risolversi:
e sempre le diliberazioni lente
sono nocive.


Quanto i soldati de’ nostri tempi
si disformino dagli antichi ordini.


Quanto si debbino stimare dagli eserciti
ne’ presenti tempi le artiglierie;
e se quella opinione,
che se ne ha in universale, è vera.


Come per l’autorità de’ Romani,
e per lo esemplo della antica milizia,
si debba stimare più le fanterie
che i cavagli.


Che gli acquisti nelle republiche
non bene ordinate,
e che secondo la romana virtù
non procedano, sono a ruina,
non ad esaltazione di esse.


Quale pericolo porti quel principe
o quella republica che si vale
della milizia ausiliare o mercenaria.


Il primo Pretore ch’e’ Romani
mandarono in alcuno luogo, fu a Capova,
dopo quattrocento anni che cominciarono
a fare guerra.


Quanto siano false
molte volte le opinioni degli uomini
nel giudicare le cose grandi.


Quanto i Romani
nel giudicare i sudditi
per alcuno accidente che necessitasse
tale giudizio
fuggivano la via del mezzo.


Le fortezze generalmente
sono molto più dannose che utili.


Che lo assaltare una città disunita,
per occuparla mediante la sua disunione,
è partito contrario.


Il vilipendio e l’improperio genera odio
contro a coloro che l’usano,
sanza alcuna loro utilità.


Ai principi e republiche prudenti
debbe bastare vincere;
perché, il più delle volte,
quando e’ non basta, si perde.


Quanto sia pericoloso a una republica
o a uno principe
non vendicare una ingiuria
fatta contro al publico o contro
al privato.


La fortuna acceca gli animi degli uomini,
quando la non vuole
che quegli si opponghino a’ disegni suoi.


Le republiche
e gli principi veramente potenti
non comperono l’amicizie con danari,
ma con la virtù e con la riputazione
delle forze.


Quanto sia pericoloso credere
agli sbanditi.


occupavano le terre.


Come i Romani
davano agli loro capitani
degli eserciti le commissioni libere.