Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio/Libro secondo/Capitolo 18

Libro secondo

Capitolo 18

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Come per l’autorità de’ Romani,
e per lo esemplo della antica milizia,
si debba stimare più le fanterie
che i cavagli.

E’ si può per molte ragioni e per molti esempli dimostrare chiaramente, quanto i Romani in tutte le militari azioni estimassono più la milizia a piede che a cavallo, e sopra quella fondassino tutti i disegni delle forze loro: come si vede per molti esempli, ed infra gli altri, quando si azzuffarono con i Latini appresso al lago Regillo; dove essendo già inclinato lo esercito romano, per soccorrere ai suoi, fecero discendere, degli uomini a cavallo, a piede, e per quella via, rinnovata la zuffa, ebbono la vittoria. Dove si vede manifestamente, i Romani avere più confidato in loro sendo a piede, che mantenendoli a cavallo. Questo medesimo termine usarono in molte altre zuffe, e sempre lo trovarono ottimo rimedio alli loro pericoli.

Né si opponga a questo la opinione d’Annibale, il quale, veggendo in la giornata di Canne che i Consoli avevano fatto discendere a piè li loro cavalieri, facendosi beffe di simile partito, disse: «Quam mallem vinctos mihi traderent equites!», cioè: - Io arei più caro che me gli dessino legati -. La quale opinione, ancoraché la sia stata in bocca d’un uomo eccellentissimo, nondimanco, se si ha ad ire dietro alla autorità, si debbe più credere a una Republica romana, e a tanti capitani eccellentissimi che furono in quella, che a uno solo Annibale. Ancoraché, sanza le autorità, ce ne sia ragioni manifeste: perché l’uomo a piede può andare in di molti luoghi, dove non può andare il cavallo; puossi insegnarli servare l’ordine, e, turbato che fussi, come e’ lo abbia a riassumere: a’ cavagli è difficile fare servare l’ordine, ed impossibile, turbati che sono, riordinargli. Oltre a questo, si truova, come negli uomini, de’ cavagli che hanno poco animo, e di quegli che ne hanno assai: e molte volte interviene che un cavallo animoso è cavalcato da un uomo vile, e uno cavallo vile da uno animoso; ed in qualunque modo che segua questa disparità, ne nasce inutilità e disordine. Possono le fanterie, ordinate, facilmente rompere i cavagli, e difficilmente essere rotte da quegli. La quale opinione è corroborata, oltre a molti esempli antichi e moderni, dalla autorità di coloro che danno delle cose civili regola: dove ei mostrano come in prima le guerre si cominciarono a fare con i cavagli, perché non era ancora l’ordine delle fanterie; ma come queste si ordinarono, si conobbe subito quanto loro erano più utili che quelli. Non è per questo però che i cavagli non siano necessarii negli eserciti, e per fare scoperte, per iscorrere e predare i paesi, per seguitare i nimici quando ei sono in fuga, e per essere ancora in parte una opposizione ai cavagli degli avversari: ma il fondamento e il nervo dello esercito, e quello che si debbe più stimare, debbano essere le fanterie.

Ed infra i peccati de’ principi italiani, che hanno fatto Italia serva de’ forestieri, non ci è il maggiore che avere tenuto poco conto di questo ordine, ed avere volto tutta la sua cura alla milizia a cavallo. Il quale disordine è nato per la malignità de’ capi, e per la ignoranza di coloro che tenevano stato. Perché, essendosi ridotta la milizia italiana da’ venticinque anni indietro, in uomini che non avevano stato, ma erano come capitani di ventura, pensarono subito come potessero mantenersi la riputazione, stando armati loro e disarmati i principi. E perché uno numero grosso di fanti non poteva loro essere continovamente pagato, e non avendo sudditi da potere valersene, ed uno piccol numero non dava loro riputazione, si volsono a tenere cavagli: perché dugento o trecento cavagli che erano pagati ad uno condottiere, lo mantenevano riputato, ed il pagamento non era tale, che dagli uomini che tenevono stato non potesse essere adempiuto. E perché questo seguisse più facilmente, e per mantenersi più in riputazione, levarono tutta l’affezione e la riputazione da’ fanti, e ridussonla in quelli loro cavagli: e in tanto crebbono in questo disordine, che in qualunque grossissimo esercito era una minima parte di fanteria. La quale usanza fece in modo debole, insieme con molti altri disordini che si mescolarono con quella, questa milizia italiana, che questa provincia è stata facilmente calpesta da tutti gli oltramontani. Mostrasi più apertamente questo errore, di stimare più i cavagli che le fanterie, per uno altro esemplo romano. Erano i Romani a campo a Sora, ed essendo uscito fuori della terra una turma di cavagli per assaltare il campo, se gli fece allo incontro il Maestro de’ cavagli romano con la sua cavalleria; e datosi di petto, la sorte dette che nel primo scontro i capi dell’uno e dell’altro esercito morirono; e restati gli altri sanza governo, e durando nondimeno la zuffa, i Romani, per superare più facilmente il nimico, scesono a piede, e constrinsono i cavalieri inimici, se si vollono difendere, a fare il simile: e, con tutto questo, i Romani ne riportarono la vittoria. Non può essere questo esemplo maggiore in dimostrare quanto sia più virtù nelle fanterie che ne’ cavagli: perché, se nelle altre fazioni i Consoli facevano discendere i cavalieri romani, era per soccorrere alle fanterie che pativano, e che avevano bisogno di aiuto; ma in questo luogo e’ discesono, non per soccorrere alle fanterie né per combattere con uomini a piè de’ nimici, ma combattendo a cavallo, con cavagli, giudicarono, non potendo superargli a cavallo, potere, scendendo, più facilmente vincergli. Io voglio adunque conchiudere, che una fanteria ordinata non possa sanza grandissima difficultà essere superata se non da un’altra fanteria. Crasso e Marc’Antonio romani corsono per il dominio de’ Parti molte giornate con pochissimi cavagli ed assai fanteria, ed allo incontro avevano innumerabili cavagli de’ Parti. Crasso vi rimase, con parte dello esercito, morto; Marc’Antonio virtuosamente si salvò. Nondimanco in queste azioni romane si vide quanto le fanterie prevalevano ai cavagli: perché, essendo in uno paese largo, dove i monti sono radi, i fiumi radissimi, le marine longinque, e discosto da ogni commodità, nondimanco Marc’Antonio, al giudicio de’ Parti medesimi, virtuosissimamente si salvò; né mai ebbeno ardire tutta la cavalleria partica tentare gli ordini dello esercito suo. Se Crasso vi rimase, chi leggerà bene le sue azioni vedrà come e’ vi fu piuttosto ingannato che sforzato: né mai, in tutti i suoi disordini, i Parti ardirono d’urtarlo; anzi, sempre andando costeggiandolo, impedendogli le vettovaglie, e promettendogli e non gli osservando, lo condussono a una estrema miseria.

Io crederei avere a durare più fatica in persuadere quanto la virtù delle fanterie è più potente che quella de’ cavalli se non ci fossono assai moderni esempli che ne rendano testimonianza pienissima. E’ si è veduto novemila Svizzeri a Novara, da noi di sopra allegata, andare a affrontare diecimila cavagli ed altrettanti fanti, e vincergli: perché i cavagli non gli potevano offendere: i fanti, per essere gente in buona parte guascona e male ordinata, la stimavano poco. Videsi di poi ventiseimila Svizzeri andare a trovare sopra a Milano Francesco re di Francia, che aveva seco ventimila cavagli, quarantamila fanti, e cento carra d’artiglierie; e se non vinsono la giornata come a Novara, ei la combatterono dua giorni virtuosamente e dipoi, rotti ch’ei furono, la metà di loro si salvarono. Presunse Marco Regolo Attilio, non solo con la fanteria sua sostenere i cavagli, ma gli elefanti; e se il disegno non gli riuscì, non fu però che la virtù della sua fanteria non fosse tanta, ch’ e’ non confidasse tanto in lei che credesse superare quella difficultà. Replico, pertanto, che, a volere superare i fanti ordinati, è necessario opporre loro fanti meglio ordinati di quegli: altrimenti, si va a una perdita manifesta. Ne’ tempi di Filippo Visconti, duca di Milano, scesono in Lombardia circa sedicimila Svizzeri: donde quel Duca, avendo per suo capitano allora il Carmignuola, lo mandò con circa mille cavagli e pochi fanti all’incontro loro. Costui, non sappiendo l’ordine del combattere loro, ne andò a incontrarli con i suoi cavagli, presumendo poterli subito rompere. Ma trovatigli immobili, avendo perduti molti de’ suoi uomini, si ritirò: ed essendo valentissimo uomo, e sappiendo negli accidenti nuovi pigliare nuovi partiti, rifattosi di gente gli andò a trovare; e, venuto loro all’incontro, fece smontare a piè tutte le sue genti d’armi, e, fatto testa di quelle alle sue fanterie, andò ad investire i Svizzeri. I quali non ebbono alcuno rimedio: perché, sendo le genti d’armi del Carmignuola a piè e bene armate, poterono facilmente entrare intra gli ordini de’ Svizzeri, sanza patire alcuna lesione ed entrati tra quegli poterono facilmente offenderli: talché di tutto il numero di quegli, ne rimase quella parte viva, che per umanità del Carmignuola fu conservata.

Io credo che molti conoschino questa differenzia di virtù che è intra l’uno e l’altro di questi ordini: ma è tanta la infelicità di questi tempi, che né gli esempli antichi né i moderni né la confessione dello errore è sufficiente a fare che i moderni principi si ravvegghino; e pensino che, a volere rendere riputazione alla milizia d’una provincia o d’uno stato, sia necessario risuscitare questi ordini, tenergli appresso, dare loro riputazione, dare loro vita, acciocché a lui e vita e riputazione rendino. E come ei deviano da questi modi, così deviano dagli altri modi, detti di sopra: onde ne nasce che gli acquisti sono a danno, non a grandezza, d’uno stato; come di sotto si dirà.