Di un medaglista anonimo Mantovano

tedesco

Robert von Schneider 1890 1890 Solone Ambrosoli Indice:Rivista italiana di numismatica 1890.djvu Rivista italiana di numismatica 1890

Di un medaglista anonimo Mantovano Intestazione 24 febbraio 2012 75% Numismatica

Questo testo fa parte della rivista Rivista italiana di numismatica 1890
[p. 101 modifica]

DI UN


MEDAGLISTA ANONIMO MANTOVANO


DELL’ANNO 15061





In quel tesoro incomparabile di schizzi e di studi di antichi maestri, ch’era stato raccolto dal pittore milanese Giuseppe Bossi e che dal 1822 si conserva nell’Accademia di Belle Arti in Venezia, non è certo [p. 102 modifica]da assegnare l’ultimo posto ad un piccolo foglietto2 sul quale si veggono, — accuratamente disegnati a penna ed acquarello, — un Gesù Bambino in atto di benedire, e due busti, l’uno di uomo, l’altro di donna. Il profilo ardito della testa maschile, col berretto e colla lunga capigliatura spiovente sulle spalle, ci richiama tosto i ben noti lineamenti dell’imperatore Massimiliano I, e se questo è il personaggio rappresentato, e non invece, come si è preteso senza fondamento, Lodovico il Moro, la testa femminile non può raffigurare la di lui moglie Beatrice d’Este. Non rimane che la scelta fra le due consorti di quell’imperatore, e, se confrontiamo i loro ritratti contemporanei, non dureremo fatica a deciderci per la seconda, Bianca Maria, la nipote di quel duca di Milano che si è voluto riconoscere a torto su quello stesso foglietto.

Quell’eccellente conoscitore dell’antica pittura italiana, che si nasconde sotto lo pseudonimo di Ivan Lermolieff, è stato il primo a sostituire i veri nomi a quelli tradizionali e insostenibili di questi ritratti, escludendo nello stesso tempo che l’autore del disegno fosse Leonardo da Vinci, come si trova scritto inconsideratamente sul margine superiore del foglietto. Egli lo attribuì piuttosto ad un pittore, per così dire scoperto da lui, il quale, in un ritratto di Massimiliano dell’anno 1502 nella Pinacoteca imperiale di Vienna, si segna Ambrogio de Predis. Basandosi su quest’opera firmata, Lermolieff è riuscito a dimostrare che molti altri quadri di diverse [p. 103 modifica]gallerie appartengono a questo maestro, evidentemente assai apprezzato a’ suoi tempi e tenuto in onore alla Corte degli Sforza, ed è pure riuscito, mediante alcuni documenti, a gettare un po’ di luce su questo artista dimenticato3.

Infatti, la rispondenza che vi è fra la testa di Massimiliano sul disegno di Venezia e sul quadro di Vienna non potrebb’essere più completa. Tanto nell’uno che nell’altro, noi vediamo lo stesso atteggiamento della testa, coperta egualmente di un berretto e rivolta di profilo verso la stessa parte; vediamo la lunga capigliatura divisa allo stesso modo in due masse, di cui l’una si piega innanzi, mentre l’altra, la maggiore, ricade sulle spalle. A paragone di queste rispondenze, diventano insignificanti ed affatto trascurabili le differenze nel vestito del principe, e poco importa che nel quadro egli abbia l’ordine del Toson d’oro, e nel disegno non lo abbia. La stretta parentela che v’è fra loro è innegabile; di fronte agli altri ritratti dell’imperatore contemporanei, i quali appartengono quasi tutti alla scuola tedesca, essi si contrappongono recisamente, come portato di una stessa concezione ed emanazione di uno stesso sentimento artistico.

Che Ambrogio de Predis, il quale eseguì molti lavori per la Corte milanese, e di cui Lermolieff ci enumera i ritratti di Gian Galeazzo Maria Sforza, [p. 104 modifica]di Lodovico il Moro e del piccolo Massimiliano Sforza (questi ultimi due miniati nel Libro del Jesus della Biblioteca Trivulziana), abbia eseguito anche il ritratto della consorte dell’imperatore, Bianca Maria, non sarebbe cosa improbabile per sé stessa, ma si desume inoltre da una a dir vero incompleta notizia di Marc’Antonio Michiel, il cosidetto Anonimo del Morelli4. Si tratti poi di questo quadro da lui accennato, che una volta si trovava nella casa di Taddeo Contarini in Venezia, o si tratti di un altro, il che è indifferente, fatto si è che in una raccolta privata a Berlino si è scoperto un ritratto di questa principessa, il quale, secondo ogni probabilità, dev’essere opera di mastro Ambrogio5. Esso la rappresenta in una veste attillata di broccato pesante, con cintura e monile di squisito lavoro, con una ricca reticella tempestata di perle e di pietre preziose, e coi capelli raccolti e strettamente attorcigliati in una treccia prolissa che scende lungo la schiena, ed intorno a cui è ravvolta, per tutta la sua lunghezza, una fila di perle. La regina ha questa treccia, che arriva sino alle calcagna, anche in un ritratto della Collezione Ambras di Vienna, ch’ò la copia di un dipinto originale italiano, in cui Bianca Maria è rappresentata in un abbigliamento meno pomposo, ma sotto un [p. 105 modifica]aspetto tanto più aggradevole; come pure nel progetto che mastro Gilg Sesselschreiber esegui per la di lei statua in bronzo destinata al monumento di Massimiliano6. Sul quadro di Berlino, ella è ancora nel fiore della giovinezza, non dimostra più de’ ventun anno che contava quando era la fidanzata dell’imperatore, col quale celebrò le nozze ad Inspruck nell’anno susseguente, addì 16 marzo 1494. La principessa, di figura delicata e snella, non era priva di grazia7. Ma colui al quale non fosse toccata in sorte la missione di tesserne il panegirico, o come Giason del Maino nel giorno del di lei sposalizio, o come Ulrico Zasio alla di lei bara, non avrebbe potuto nascondersi già sin d’allora che i suoi lineamenti e la sua figura non corrispondevano all’alta idea [p. 106 modifica]legata da tempo alla bellezza di una Lombarda, “quella bellezza” — per dirla con Manzoni — “molle a un tempo e maestosa”, alla quale un cavaliere tedesco che aveva veduto molti paesi, intorno appunto a quell’epoca, non esita a conferire la palma8, quella bellezza che trovò la sua più sublime glorificazione artistica negli affascinanti dipinti di Leonardo da Vinci.

Il disegno di Venezia ci presenta Bianca Maria più attempata di alcuni anni che sul ritratto di Berlino. Il di lei viso non rispecchia più lo splendore radioso della sua patria, e gli è come se i disinganni di quel matrimonio conchiuso dalla politica si riflettessero nell’espressione un po’ infastidita della principessa. Sopra la reticella, porta una berretta colla tesa rialzata posteriormente. La lunga treccia è scomparsa; invece, una fila tanto più lunga di perle, tolta dal riboccante cassone nuziale, adorna il suo collo sottile9. Noi non possediamo nessun ritratto [p. 107 modifica]dipinto di Bianca, che corrisponda a questo schizzo. Ma abbiamo una prova indiscutibile che un tal quadro esisteva. Infatti, nel Gabinetto delle incisioni a Berlino si conserva un disegno colorato, di grandi dimensioni, che falsamente si attribuisce all’Amberger10, in cui è riprodotto quello stesso ritratto, con tutte le sue particolarità. Soltanto, la berretta vi è ornata di un ricamo, che manca nello schizzo di Venezia. Che quello di Berlino sia preso da un dipinto, lo dimostrano le annotazioni con cui sono indicati i colori dell’originale, dove ciò non è stato fatto con una leggera tinta. Queste annotazioni sono in lingua tedesca, e quindi il copista era un tedesco. Ma certamente il ritratto originale della regina, ora scomparso, da cui fu ricavato quel disegno, era fattura di pennello italiano, e secondo ogni probabilità, di Ambrogio de Predis, e ciò sarebbe [p. 108 modifica]addirittura quasi sicuro, se il disegno di Venezia, come risulterebbe da quanto precede, fosse opera veramente di questo maestro.

Per quanto sembrino ben fondati i suoi diritti sulla paternità di quel foglietto, non si dovrebbe tuttavia rinunciare ad esaminare le ragioni che possono venir accampate in proposito da una parte, la quale, per quel ch’io sappia, fu trascurata sinora. Esiste un testone, coniato in oro ed in argento (Tav. II., n. 1), che da un lato ci presenta le teste accollate, a destra, dell’imperatore Massimiliano e di Bianca Maria, e dall’altro la B. V. assisa sulle nubi, in atto di porgere il seno al Bambino, attorniata da sette teste alate di angioli. La leggenda del diritto suona: Maximilianu(s) Ro(manorum) Rex et Bianca M(aria) coniuges; le ultime due lettere IV si debbono interpretare, nonostante la tautologia, iuncti. Nel rovescio si legge l’invocazione alla B. V.: Esto nobis turris for(tis) a facie inimici. Le identiche rappresentazioni si veggono anche su di una medaglia, della quale si conservano un esemplare in oro nella Collezione di Vienna (Tav. II, n. 2) ed uno di bronzo in quella di Berlino11. Essa ha un rilievo maggiore, ed essendo più grande ci offre con maggior chiarezza i particolari. Tuttavia le iscrizioni su di essa sono poggio distribuite e presentano maggiori lacune. Anche per altri rispetti, il testone mi sembra di [p. 109 modifica]lavoro più ponderato, e quindi io mi atterrò preferibilmente ad esso.

Tutto ciò che si trova sul disegno di Venezia, si trova anche sulla medaglia e sul testone, tanto il Gesù Bambino quanto le due teste dell’imperatore e della di lui consorte, queste ultime collo stesso carattere e rappresentate allo stesso modo, ma tutto in senso inverso. Oltre a questo parallelismo, per dir così, che si riscontra fra la moneta e la medaglia da una parte e il disegno dall’altra, è anzitutto la piccolezza di quest’ultimo, che mi decide ad attribuirlo al medesimo artista che lavorò quei due pezzi. Chi disegna a questo modo non può essere evidentemente fuorché un artista avvezzo a lavorare in piccolo e che pensa di eseguire ancor più in piccolo i suoi progetti, quindi in ogni caso come fa un orafo od un medaglista, ma non mai come fa un pittore di ritratti pei suoi studi dal vero. Per tal ragione questi studi non possono aver servito ad Ambrogio pei suoi ritratti di grandezza naturale, anche ammettendo ch’egli abbia avuto i primi insegnamenti dal suo parente Cristoforo Preda che era un miniatore, e all’occasione abbia eseguito miniature egli stesso, come nel Libro del Jesus della Trivulziana. Almeno avrebbe dovuto fare questi schizzi per un altro scopo, diverso da quello di cui ci occupiamo. Tuttavia mi sembra inutile di andarlo cercando, dal momento che lo scopo del foglietto risulta così chiaro dal confronto colla medaglia e col testone.

Non si vuol passare sotto silenzio che tra i progetti e i pezzi eseguiti vi sono alcune differenze. Per cominciare dalla più importante, su questi il Bambino non è rappresentato in atto di benedire [p. 110 modifica]ma sta invece al seno della madre. Il cappello della regina è differente, invece della solita fila di perle, essa ha al collo una pesante catena d’oro; l’imperatore porta al disopra di una corazza la catena del Toson d’oro, e in questo particolare si allontana dal disegno di Venezia, come abbiamo già veduto che se ne scosta nel ritratto di Ambrogio. Alcune di queste modificazioni che i primi schizzi, quali ci si presentano sul foglietto, hanno subito nell’esecuzione, potranno poi forse trovare la loro spiegazione naturale. Ciononostante sia detto sin d’ora che tutte queste differenze sono assai minori di quelle che intercedono per esempio fra lo schizzo del Pisanello per la medaglia di Alfonso V d’Aragona nel cosidetto Recueil Vallardi del Louvre e la medaglia come fu realmente eseguita, oppure fra il rovescio della sua medaglia per Giovanni VII Paleologo e lo studio eseguito per essa dal vero e conservato egualmente nel Louvre12.

Per ciò che concerne l’origine del testone e della medaglia, ne abbiamo informazioni abbastanza particolareggiate, dacché l’archivio d’Inspruck fu rovistato da capo a fondo in cerca di notizie attinenti alla storia dell’arte, e dopoché si hanno gli estratti del libro di conti dello scrivano della zecca di Hall (in Tirolo), Sigismondo Yseregker13. Veniamo a [p. 111 modifica]conoscere da documenti contemporanei che essi sono opera di un intagliatore di conii mantovano che nel 1506 era stato chiamato a Hall, città la quale dal 1478 era la zecca più importante nei possedimenti ereditari dell’imperatore. Sgraziatamente, nessun documento ci dà il suo nome. Si accontentavano di chiamarlo, secondo l’uso popolare, “l’intagliatore di ferri” o “l’intagliatore di conii italiano” oppure addirittura “l’italiano”, senza dubbio perchè agl’impiegati tedeschi riusciva troppo difficile il tenere a mente la parola straniera. Lo troviamo ricordato per la prima volta in due scritti, entrambi in data 7 marzo dell’anno suddetto. Egli era arrivato allora appunto a Hall. In uno di quegli scritti il consigliere Pietro Rummel di Lichtenau prega il maresciallo della contea di Tirolo, Paolo Liechtenstein, di rilasciargli un mandato di pagamento a di lui favore, aggiungendo di aver già dato ordine che gli si fornisse ferro, acciaio e rame. Nell’altro scritto, il maresciallo della contea incarica il mastro di zecca di Hall, Bernardo Beheim, di dare al Mantovano l’occorrente per tre persone e per due cavalli, e di fornirgli tutti gli attrezzi di cui abbisognasse. Dai conti dello scrivano della zecca di Hall, ricaviamo che il Mantovano intagliò conii per talleri, mezzi talleri, pezzi da trenta, ed altre monete inferiori, e che ne furono mandate delle prove a Paolo Liechtenstein e Pietro Rummel. Tutto è registrato accuratamente, compreso persino le due misure di vino che il mastro di zecca elargì quando si provarono i grandi conii, e la mercede di sette carantani al messo per Inspruck. Da ultimo si accenna anche ai conii che “l’intagliatore di ferri” [p. 112 modifica]aveva fatto, colle teste di Massimiliano e della regina, e coll’immagine della B. V. sul rovescio. Egli ne aveva fatto coniare quattro saggi per consegnarli “in mani proprie della regina.” Da uno scritto del consigliere Rummel di Lichtenau si rileva che al 9 maggio egli aveva oramai terminato il suo lavoro, perchè il figlio omonimo del mastro di zecca, Bernardo Beheim, doveva presentare all’imperatore insieme a quella lettera le prove dei conii. Egli manda, vi si dice, i saggi in argento dei nuovi conii che i Mantovani avevano intagliato, e due in oro da zecchino, e spera che l’imperatore se ne compiacerà grandemente. Per qualunque modificazione che l’imperatore eventualmente desiderasse, potrà darne incarico al figlio del mastro di zecca, che sarebbe in grado di riferirne esattamente. Egli è intelligente come suo padre, ha coniato anzi di proprio pugno i saggi e se ne è occupato molto coi Mantovani. Pel caso che si desiderassero mutamenti, vi sono già i ferri pronti. Al 31 settembre si mandarono ancora all’imperatore quattro pezzi d’argento da un fiorino, battuti coi conii dell’“italiano”. L’ultima menzione di queste monete la troviamo in uno scritto di Massimiliano del 1° gennaio 1507, in cui egli ordina al suo consigliere Urbano di Serralunga di consegnare 4 monete d’argento su cui è impressa la sua effigie e quella della sua cara consorte. 11 registro di Hall ci fa sapere che l’ordine fu eseguito.

Da queste notizie apprendiamo che il soggiorno dell’intagliatore mantovano e de’ suoi assistenti in Hall non fu che di breve durata. Nel settembre avevano finito i loro lavori, e dopo forse di aver eseguito le modificazioni desiderate dall’imperatore, [p. 113 modifica]ritornarono probabilmente in patria per la via del Brennero ancora prima che incominciasse la cattiva statone. L’intagliatore, durante il suo soggiorno in Tirolo, non può aver visto Massimiliano in persona, perchè le complicazioni ungheresi, le trattative di matrimonio con re Vratislao, la breve guerra col regno vicino nei mesi di maggio e giugno, trattennero l’imperatore nella parte orientale dei suoi possedimenti ereditari, per quasi tutto l'anno 1506. Soltanto nell’ottobre egli incomincia ad avvicinarsi lentamente, per l’Austria superiore e per Salisburgo, al suo prediletto Tirolo, e nel dicembre, quando le monete colla sua effigie erano già state coniate da lungo tempo, egli arriva finalmente a Inspruck14. Il Mantovano deve quindi necessariamente essersi servito di un ritratto già esistente dell’imperatore, per riprodurne i lineamenti nel suo punzone; ed è evidente, per la innegabile rispondenza della testa sulla moneta col ritratto firmato di mano di Ambrogio de Predis, che appunto questo gli servì da modello.

In tal modo si spiega senza difficoltà la parentela dello schizzo di Venezia coll’uno e coll’altro15. Che [p. 114 modifica]il primo progetto, nell’esecuzione ad incavo dei conii, non sia rimasto invariato, lo si comprende facilmente. È probabile che ancora all’ultimo momento vi si sia lavorato attorno per migliorarlo, poiché era stato presentato ad un padrone così difficile da accontentare e così sofistico qual era Massimiliano. Come l’imperatore, che s’interessava anche alle cose apparentemente di minor importanza, si sarà comportato in tale occasione, lo argomentiamo da uno scritto dell’anno 150116. In esso egli esamina i conii di monete incisi da mastro Benedetto Burkart. Sulla prova ch’egli rimandava, egli aveva segnato coli’ inchiostro tutti i difetti; il naso era troppo alto, il volto troppo lungo e il corpo troppo grande.

Diversamente stanno le cose per ciò che concerne l’effigie della regina. Anche per questa, senza dubbio, il Mantovano si è servito come modello di un ritratto, che secondo ogni probabilità dev’essere stato dipinto da Ambrogio de Predis. Ma la regina, durante il soggiorno dell’intagliatore italiano, si trovava in Tirolo; egli, come abbiamo visto, si riserva di consegnare in di lei mani i saggi della sua [p. 115 modifica]arte, ed evidentemente le era già stato presentato in qualità di compatriota. Egli la conosceva dunque da faccia a faccia, e probabilmente non aveva trascurato di modificare dal vero i lineamenti di Bianca, che gli erano stati trasmessi dapprincipio per mezzo di un ritratto di alcuni anni prima. Bisogna riconoscere a sua lode che sotto la sua mano essi hanno acquistato in grazia, a paragone del primo schizzo.

Dopo quanto ho esposto, non mi perito ad attribuire il foglietto di Venezia all’artista mantovano. Quel foglietto non è uno studio dal vero, di mano d’Ambrogio de Predis, pei suoi ritratti, ma piuttosto lo studio di quell’intagliatore di conii, da quei ritratti d’Ambrogio, pel suo testone e la sua medaglia.

Perchè l’intagliatore non sia rimasto fedele al suo primo progetto e non abbia rappresentato il Bambino in grembo alla madre, in atto di benedire, non saprei dirlo, ma in compenso egli ci ha dato una graziosissima immagine della Vergine che porge il seno al Bambino. E ciò è il punto di partenza che deve servirci a ricondurre in patria l’artista. Poiché noi troviamo lo stesso gruppo, colla leggenda: Virgo Dei Genitrice quantunque senza le testoline d’angioli in giro, su monete d’argento mantovane che furono coniate durante il marchesato di Gian Francesco II (1484-1519). Il Gabinetto imperiale di Vienna ne possiede due, le quali differiscono l’una dall’altra soltanto per gli emblemi del rovescio: la prima (Tav. II, n. 4) reca il crogiuolo tra le fiamme 17, l’impresa [p. 116 modifica]del Marchese, già conosciuta per le belle monete di Melioli; la seconda (Tav. II, n. 5), un uccello su di un’ara, colla scritta: Vivo e morto18. Il materiale di cui dispongo non mi permette di appurare se il nostro intagliatore abbia recato a Hall con sé questo tipo, comechè usato nella sua patria zecca, o se questa raflSgurazione sia venuta in uso nelle monete mantovane soltanto dopo il 1506. S’intende che in un motivo artistico tanto frequente non si possa parlare di una vera invenzione. Non sono rare le placchette uscite dalle officine dell’Italia settentrionale, con simili immagini della B. V.19. I cherubini nelle nubi, come li ha disposti l’incisore intorno alla Vergine, sono un motivo usato con predilezione da Mantegna, che, come è noto, esercitò una possente influenza sulle arti minori nei luoghi in cui si estrinsecò la sua attività. Così, per esempio, li troviamo due volte nel suo celebre trittico della Tribuna di Firenze, una volta intorno a Cristo che sale al cielo, un’altra volta intorno alla Vergine nell’adorazione dei Magi, quest’ultima conosciuta a tutti per l’incisione del maestro, sotto il nome di Vergine della Grotta20; o nel bel quadro della Vergine, che ora, liberato dai guasti d’una malintesa ristaurazione, è divenuto una delle perle della ricca galleria di Brera.

Da questa rispondenza dei tipi sulla medaglia, sul testone e sulle monete mantovane, si deduce con [p. 117 modifica]tutta sicurezza che il nostro intagliatore di conii ha lavorato nella zecca di Mantova. E ciò ne permette di sperare che un giorno potremo chiamarlo col suo vero nome. Senza dubbio, il suo viaggio in Tirolo dev’essere stato preceduto da un carteggio fra l’imperatore e il marchese Gian Francesco II. Poiché è noto quanto gelosamente allora i principi e gli stati custodissero i propri artisti. Le notizie che noi desideriamo, e che gli archivi austriaci, nonostante le più attive ricerche, non riuscirono a fornirci, possono ancora tuttavia esserci date dagli archivi italiani; ed i nuovi ed importanti risultati che furono pubblicati, appunto in questo stesso periodico, sui medaglisti alla Corte dei Gonzaghi, ci danno animo a bene sperare. Perciò queste righe si indirizzano agli, indagatori d’Oltralpe, così straordinariamente felici nelle loro ricerche nel campo della storia dell’arte, ed avranno adempiuto al loro scopo se riesciranno a far rivolgere la loro attenzione su questo maestro che nei suoi lavori autentici dispiega tanta valentìa. Poiché davvero non è la sola curiosità che ci spinge a ricercare quale fosse il suo nome. Ammettiamo pure che nella sua patria non gli competa che un posto secondario, in confronto di un Bartolomeo Melioli di un Gian Marco Cavalli. Anche la sua attività in Hall, a giudicarne dalle monete che ci restano, sarebbe stata meno svariata di quello che si potrebbe supporre dagli appunti surriferiti dello scrivano della zecca. Tranne in una moneta d’argento col busto di Massimiliano nel diritto e coll’aquila e la leggenda: Moneta nova Comitat. Tirolis (Tav. II, n. 3) nel rovescio, non posso riconoscere con sicurezza la sua mano in nessun altro conio a me [p. 118 modifica]noto21. Comunque, nonostante la brevità del di lui soggiorno presso la zecca imperiale, la sua attività fu quivi accompagnata dai più favorevoli effetti; e se, come non è da dubitarne, Massimiliano aveva divisato di portare le monete colla sua effigie tecnicamente e artisticamente all’altezza approssimativa delle monete italiane del suo tempo, coll’invito all’intagliatore mantovano egli aveva pienamente raggiunto il proprio scopo. Con questo maestro, il cui nome ci rimane tuttora ignoto, l’arte italiana incomincia ad esercitare sullo stile e sul carattere delle medaglie imperiali tedesche quell’influenza che doveva durare quasi un secolo e mezzo e che raggiunse il suo punto culminante per opera di Antonio Abondio il giovane alle Corti di Vienna e di Praga.

Vienna, gennaio 1890.


(Trad. di Solone Ambrosoli).

[p. Tav. II modifica] 

Note

  1. Armand, Les médailleurs italiens des quinzième et seizième siècles, vol. III, pag. 47.
  2. Altezza cent. 8, larghezza cent. 15. L’annessa illustrazione lo riproduce alquanto impicciolito.
  3. Lermolieff, Die Werke italienischer Meister in den Galerien von München, Dresden und Berlin (Lipsia, 1880), pag. 456 e seg., in nota; e ora più diffusamente, Kunstkritische Studien über italienische Malerei: die Galerien Borghese und Doria Panfili in Rom (Lipsia, 1890), pag. 230-246, dove si trova anche una riproduzione del quadro di Vienna.
  4. Notizia d’opere di disegno pubblicata e illustrata da D. Jacopo Morelli. Seconda edizione per cura di Gustavo Frizzoni (Bologna, 1884), pag. 166.
  5. Bode, Ein Bildnis der zweiten Gemahlin Kaiser Maximilians Bianca Maria Sforza von Ambrogio de Predis, nel Jahrbuch der königl. preussischen Kunstsammlungen, vol. X (1889), pag. 71 e seg., in cui il ritratto è anche riprodotto in fotoincisione. Cfr. Lermolieff, Kunstkritische Studien, pag. 243 in nota.
  6. Jahrbuch der kunsthistorischen Sammlungen des Kaiserhauses (Vienna), vol. XI (1890), pag. 169. Questa lunga treccia sembra essere stata di moda in ispecie a Milano, probabilmente ad esempio di Beatrice d’Este, la qual principessa lo porta in tutti i suoi ritratti; cfr. l’articolo di Courajod nella Gazette des beaux-arts, 1877, vol. II, pag. 330 e seg., così pure « La belle ferronnière » di Leonardo da Vinci.
  7. Jasonis Mayni epithalamion, in Freher-Struve, Rerum Germanicarum scriptores, vol. II, pag. 472: «Gratia oris eximia, forma totius corporis procera et eleganti, et bis lineamentis a quibus Zensis pictor cantatissimus facile omnem pingendi venustatem, ut a virginibus Crotoniatibus, posset excerpere». — Udalrici Zasii oratio funebri, Freher-Struve, II, pag. 774: «His tam praecellentibus stemmatis, sua quoque pulchritudinis dona natura adiecit; insigni enim formae venustate princeps nostra totiusque et corporis et membrorum elegantia mirifico enituit, ut sicut nomine, ita et veritate rei Bianca Maria, id est pulchra diceretur, quae insignes et generis et naturae dotes nimirum meruere, ut ipsa orbis terrarum Domino, Divo Maximiliano principi invictissimo, matrimonii nexu iungi digna haberetur». Johannes Trithemius, negli Annales Hirsaugienses, vol. II, pag. 554, la chiama: «mulier corpore parva, sed animo magno, suaeque gentis amatrix».
  8. Die Pilgerfahrt des Ritters Arnold von Harff... in den Jahren 1496 bis 1499, pubblicata da E. v. Groote (Colonia, 1860), pagina 217: «Item in deser stat Meylaen dunkt mich nae mijnem dummen erkentenyss dat ich dae die schoenste frauwen gesien hane von allo mijner wandelonge ind zo Venedick die koestlichste... ind in deme koninckrijch von Moabar die aller swartzte.» (Cosi pare in questa città di Milano mi pare, secondo il mio grossolano discernimento, di aver veduto le donne più belle di tutti i miei viaggi, e in Venezia le più suntuose.... e nel regno del Malabar le più nere di tutte).
  9. Per il corredo, v. G. del Maino, l. c: «In dotem constituta sunt ad quater centena millia aurei nummi» (veramente soltanto 300,000, cfr. Ulmann, Kaiser Maximilian I, vol. I, pag. 219, nota 1). «Insuper in parapherna advecta est summa aureorum sexaginta millium, pro iocalibus, vestimentis, pretiosa suppellectili, et reliquo mundo muliebri.» Cfr. l’Inventarium iocalium, argentorum etc., que dantur serenissime domine Blance preter dotem (nel Jahrbuch der kunsthistorischen Sammlungen, di Vienna, vol. I, 2, n. 191), in cui le file di perle occupano un posto principalissimo. Una di esse ha il valore di 1780 ducati. Molti fra i gioielli, nelle non infrequenti angnutie domestiche, venivano impegnati (Jahrbuch, III, 2, n. 2676), come una volta la stessa biancheria (Ulmann, 1, pag. 225). Una descrizione evidente dell’abbigliamento in cui la regina fu posta nella bara, ci vien data dalla lettera di un figlio al proprio padre, del 2 gennaio 1511, pubblicata nel Jahrhuch, III, 2, n. 2684. Secondo quella descrizione, il di lei vestito era di velluto nero con ornamenti d’oro; portava guanti gialli ed aveva alle dita due anelli d’oro con un diamante ed un rubino; attorno alla sua mano destra era avvolto a quattro giri un rosario di corallo, ogni corallo era grosso come una nocciuola. In capo aveva una corona d’argento dorato, con un arco sormontato da una piccola croce. Una cintura d’oro, «di lavoro italiano,» le attorniava la vita, una fila di perle le ornava il collo.
  10. Riprodotto ad un terzo della grandezza originale, nel Jahrbuch der kön. preuss., Kunstsammlungen, vol. X, pag. 74.
  11. Riprodotto da Friedlaender, Die italienischen Schaumünzen des fünfzehnten Jahrhunderts, Jahrbuch der kön. preuss. Kunstsammlungen, vol. III, tav. XXXIII. L’esemplare di Berlino è meglio conservato, specialmente nelle parti più rilevate, ma è meno accuratamente cesellato di quello di Vienna.
  12. Heiss, Les médailleurs de la renaissance; Vittore Pisano (Parigi, 1881), pag. 83 e 44.
  13. I documenti relativi, ricavati dall’archivio di Inspruck, si trovano pubblicati nel Jahrbuch der kunsthistorischen Sammlungen des Kaiserhauses vol. II, 2, nn. 770, 771, 780, 812; gli estratti del registro di Yseregker, nella Numismatisch. Zeitschrift, annata XVIII (Vienna, 1886), pag. 55-56.
  14. Chr. Fr. Staelin, Aufenthaltsorte Kaiser Maximilians I, 1493-1519, nelle Forschungen zur Deutschen Geschichte, vol. I (1862), pag. 865, e seg.
  15. Che il pittore Ambrogio de Predis, — ciò che, ad esempio del Pisanello, del Francia, di Antonio Pollaiuolo, di Gentile Bellini e di altri, data la versatilità degli artisti di quell’epoca, non avrebbe nulla di strano, — non possa essere il medaglista «italiano» di Hall, lo si deduce dai seguenti motivi. In primo luogo, sul ritratto di Massimiliano egli si dico milanese, mentre il medaglista era un mantovano. In secondo luogo, in una lettera di Paolo di Liechtenstein, del 6 ottobre 1506, egli vien chiamato espressamente: mastro Ambrogio pittore da Milano (Jahrbuch der kunsthistor. Sammlungen, di Vienna, vol. V, 2, num. 4020), mentre quando Liechtenstein parla del nostro incisore di monete si serre di qnelle stesse espressioni generali che abbiamo visto usate dal consigliere Rummel e dallo scrivano di Hall. In terzo luogo, dallo stesso scritto si rileva che Ambrogio, presso a poco allo stesso tempo in cui l'intagliatore di conii soggiornava in Tirolo, ora occupato in Milano a disegnare un abito per gli arcieri dell'imperatore. Questo documento, proveniente dalla biblioteca della collezione Ambras, il quale ci mostra l'attività di Ambrogio sotto un nuovo aspetto, meriterebbe di essere aggiunto alle notizie dateci da Lermolieff intorno a questo pittore (Kunstkritische Studien, pag. 230 e seg.)
  16. Jahrbuch der kunsthistorischen Sammlungen (Vienna), vol. II, 2, n. 645,
  17. Portioli, La zecca di Mantova, parte I, pag. 86.
  18. Portioli, l. c., pag. 87.
  19. Molinier, Les plaquettes, vol. II, nn. 423, 427. Bode und Tschudi, Beschreibung der Bildwerke der christlichen Epoche (Königl. Museen zu Berlin), n. 704, 826.
  20. Bartsch, Le peintre-graveur, vol. XII, pag. 233, n. 9.
  21. Per motivi estrinseci si potrebbe forse esser tentati di attribuire al maestro mantovano la bella medaglia pel maggiordomo della regina Bianca Maria, Nicolò di Firmian, che fu trovata sul solaio di una casa a Villaco in Carinzia, e che ora si conserva nel piccolo museo di quella città (Armand, Les médailleurs italiens, vol. III, pag. 187, n. E.)― Ma, a giudicarne dallo stile, è anteriore, ed anche la rappresentazione e la leggenda del sno rovescio si riferiscono all’opera di Firmian nel Tirolo meridionale nell’anno 1487. Se le medaglie per Maddalena (Bossi?) di Mantova, del 1504 (Armand, vol. II, pag. 100, n. 11; pag. 101, n. 12; vol. III, pag. 194, n. B.), siano state eseguite dal nostro intagliatore di conii, è ben difficile da decidere per la scarsità delle notizie che abbiamo intorno a lui.