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Di Fortuna

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Dell'Occasione Della Ingratitudine

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CAPITOLO

DI FORTUNA

A GIOVANNI BATTISTA SODERINI.


COn che rime giammai, o con che versi
     Canterò io del regno di Fortuna,
     3E de’ suoi casi prosperi, ed avversi?
E come ingiuriosa, ed importuna,
     Secondo è giudicata quì da noi,
     6Sotto il suo seggio tutto il mondo aduna?
Temer, Giovan Battista, tu non puoi,
     Nè debbi in alcun modo aver paura
     9D’altre ferite, che de’ colpi suoi.
Perchè questa volubil creatura
     Spesso si suole oppor con maggior forza,
     12Dove più forza vede aver natura.
Sua natural potenza ogni uomo sforza;
     E il regno suo è sempre violento,
     15Se virtù eccessiva non lo ammorza.
Onde io ti priego, che tu sia contento
     Considerar questi miei versi alquanto,
     18Se ci sia cosa di te degna drento.
E la diva crudel rivolga intanto
     Ver di me gli occhi suoi feroci, e legga
     21Quel ch’or di lei, e del suo regno io canto.

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E benchè in alto sopra tutti segga,
     Comandi, e regni impetuosamente,
     24Chi del suo stato ardisce cantar vegga.
Questa da molti è detta onnipotente;
     Perchè qualunque in questa vita viene,
     27O tardi, o presto la sua forza sente.
Spesso costei i buon sotto i piè tiene,
     Gl’improbi inalza; e se mai ti promette
     30Cosa veruna, mai te la mantiene.
E sottosopra e Stati, e Regni mette,
     Secondo, che a lei pare, e i giusti priva
     33Del bene, che agl’ingiusti larga dette.
Questa incostante Dea, e mobil Diva
     Gl’indegni spesso sopra un seggio pone,
     36Dove chi degno n’è mai non arriva.
Costei il tempo a modo suo dispone;
     Questa ci esalta, questa ci disface,
     39Senza pietà, senza legge, o ragione.
Nè favorire alcun sempre le piace
     Per tutti i tempi, nè sempremai preme
     42Colui, che in fondo di sua ruota diace.
Di chi figliuola fosse, o di che seme
     Nascesse, non si sa; ma si sa certo,
     45Che fino a Giove sua potenzia teme.
Sopra un palazzo da ogni parte aperto
     Regnar si vede, ed a verun non toglie
     48L’entrar in quel, ma è l’uscir incerto.
Tutto il mondo intorno vi si accoglie,
     Desideroso veder cose nuove,
     51E pien d’ambizion, e pien di voglie.
Ella dimora in su la cima, dove
     La vista a qualunque uom non niega;
     54Ma in picciol tempo la rivolge, e muove.

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Ed ha due volti questa antica strega,
     L’un fero, e l’altro mite; e mentre volta,
     57Ora ti vede, or ti minaccia, or priega.
Qualunque vuol entrar, benigna ascolta;
     Ma con chi vuole uscirne poi s’adira,
     60E spesso del partir gli è la via tolta.
Dentro con tante ruote vi si gira,
     Quanto vario è salire a quelle cose,
     63Dove ciascun, che vive, pon la mira.
Sospir, bestemmie, e parole ingiuriose
     S’odon per tutto usar da quelle genti,
     66Che dentro al segno suo fortuna ascose.
E quanto son più ricchi, e più potenti,
     Tanto più in lor discortesia si vede;
     69Tanto son del suo ben men conoscenti.
Perchè tutto quel mal, che in voi procede,
     S’imputa a lei, e s’alcun ben l’uom trova,
     72Per sua propria virtude averlo crede.
Tra quella turba variata, e nuova
     Di que’ conservi, che quel loco serra,
     75Audacia, e gioventù fa miglior prova.
Vedevisi il timor prostrato in terra
     Tanto di dubbj pien, che non fa nulla;
     78Poi penitenza e invidia gli fan guerra.
Quivi l’Occasion sol si trastulla,
     E va scherzando fra le ruote attorno
     81La scapigliata, e semplice fanciulla.
E quella ruota sempre notte, e giorno
     (Perchè il Ciel vuole) a lui non si contrasta
     84Ch’Ozio, e Necessità le volti intorno.
L’una racconcia il mondo, e l’altro il guasta,
     Vedesi ad ogni tempo, ed a ogni otta
     87Quanto val pazienzia, e quanto basta.

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Usura, e Fraude si godono in frotta
     Potenti, e ricchi, e tra queste consorte
     90Sta Liberalità stracciata, e rotta.
Veggonsi assisi sopra delle porte,
     Che, come è detto, mai non son serrate,
     93Senz’occhi, e senza orecchi, Caso, e Sorte.
Potenzia, onor, ricchezza, e sanitate
     Stanno per premio: per pena, e dolore,
     96Servitù, infamia, morbo, e povertate.
Fortuna il rabbioso suo furore
     Dimostra con quest’ultima famiglia;
     99Quell’altra porge a chi ella porta amore.
Colui con miglior sorte si consiglia
     Tra tutti gli altri, che in quel loco stanno,
     102Che ruota al suo voler conforme piglia.
Perchè gli umor, che adoperar ti fanno,
     Secondo che convengon con costei,
     105Son cagion del tuo bene, e del tuo danno.
Non però che fidar ti possa in lei,
     Nè creder d’evitar suo duro morso,
     108Suoi duri colpi impetuosi, e rei;
Perchè mentre girato sei dal dorso
     Di ruota, per allor felice, e buona,
     111La qual cangia le volte a mezzo il corso,
E non potendo tu cangiar persona,
     Nè lasciar l’ordin, di che il Ciel ti dota;
     114Nel mezzo del cammin la t’abbandona.
Però, se questo si comprende, e nota,
     Sarebbe un sempre felice, e beato,
     117Che potesse saltar di ruota in ruota.
Ma perchè poter questo c’è negato
     Per occulta virtù, che ci governa,
     120Si muta col suo corso il nostro stato.

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Non è nel mondo cosa alcuna eterna;
     Fortuna vuol così, che se ne abbella,
     123Acciocchè il suo poter più si discerna.
Però si vuol lei prender per sua stella;
     E quanto a noi è possibile, ognora
     126Accomodarsi al variar di quella.
Tutto quel Regno suo dentro, e di fuora
     Istoriato si vede, e dipinto
     129Di que’ trionfi, de’ qua’ più s’onora.
Nel primo loco colorato, e tinto
     Si vede, come già sotto l’Egitto
     132Il mondo stette soggiogato, e vinto;
E come lungamente il tenne vitto
     Con lunga pace, e come quivi fue
     135Ciò che di bel nella natura è scritto.
Veggonsi poi gli Assirj ascender sue
     Ad alto scettro, quand’ella non volse,
     138Che quel d’Egitto dominasse piue.
Poi come a’ Medi lieta si rivolse,
     Da’ Medi a’ Persi, e de’ Greci la chioma
     141Ornò di quell’onor, ch’a’ Persi tolse.
Quivi si vede Menfi, e Tebe doma,
     Babilon, Troja, e Cartagin con quelle,
     144Gerusalem, Atene, Sparta, e Roma,
Quivi si mostran, quanto furon belle,
     Alte, ricche, potenti e come alfine
     147Fortuna a’ lor nemici in preda dielle.
Quivi si veggon l’opre alte, e divine
     De l’Imperio Roman; poi come tutto
     150Il mondo infranse colle sue ruine.
Come un torrente rapido, che al tutto
     Superbo è fatto, ogni cosa fracassa
     153Dovunque aggiugne il suo corso per tutto;

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E questa parte accresce, e quella abbassa,
     Varia le ripe, varia il letto, il fondo,
     156E fa tremar la terra, donde passa:
Così Fortuna col suo furibondo
     Impeto molte volte or quì, or quivi
     159Va tramutando le cose del Mondo.
Se poi con gli occhi tuoi più oltre arrivi,
     Cesare, ed Alessandro in una faccia
     162Vedi quelli, che fur felici vivi.
Da questo esempio, quanto a costui piaccia,
     Quanto grato li sia, si vede scorto,
     165Chi l’urta, chi la pigne, o chi la caccia.
Pur nondimanco al desiato porto
     L’un non pervenne, e l’altro di ferite
     168Pieno fu all’ombra del nimico morto.
Appresso questi son genti infinite,
     Che per cadere in terra maggior botto,
     171Son con costei altissimo salite.
Con queste giace preso, morto, e rotto,
     Ciro, e Pompeo, poichè ciascheduno
     174Fu da Fortuna infin al Ciel condotto.
Avresti tu mai visto in loco alcuno;
     Come un’aquila irata si trasporta,
     177Cacciata dalla fame, e dal digiuno?
E come una testuggine alto porta,
     Acciocchè il colpo del cader la ’nfranga,
     180E pasca se di quella carne morta?
Così Fortuna, non che vi rimanga,
     Porta uno in alto, ma che rovinando
     183Ella sen goda, ed ei cadendo pianga.
Ancor si vien dopo costor mirando,
     Come d’infimo stato alto si saglia,
     186E come ci si viva variando.

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Dove si vede, come la travaglia
     E Tullio, e Mario, e li splendidi.......
     189Più volte di lor gloria or cresce, or taglia.
Vedesi alfin, che i trapassati giorni
     Pochi sono, e felici; e que’ son morti
     192Prima che la lor ruota indietro torni,
O che voltando al basso ne li porti.