Non è nel mondo cosa alcuna eterna;
Fortuna vuol così, che se ne abbella, 123Acciocchè il suo poter più si discerna.
Però si vuol lei prender per sua stella;
E quanto a noi è possibile, ognora 126Accomodarsi al variar di quella.
Tutto quel Regno suo dentro, e di fuora
Istoriato si vede, e dipinto 129Di que’ trionfi, de’ qua’ più s’onora.
Nel primo loco colorato, e tinto
Si vede, come già sotto l’Egitto 132Il mondo stette soggiogato, e vinto;
E come lungamente il tenne vitto
Con lunga pace, e come quivi fue 135Ciò che di bel nella natura è scritto.
Veggonsi poi gli Assirj ascender sue
Ad alto scettro, quand’ella non volse, 138Che quel d’Egitto dominasse piue.
Poi come a’ Medi lieta si rivolse,
Da’ Medi a’ Persi, e de’ Greci la chioma 141Ornò di quell’onor, ch’a’ Persi tolse.
Quivi si vede Menfi, e Tebe doma,
Babilon, Troja, e Cartagin con quelle, 144Gerusalem, Atene, Sparta, e Roma,
Quivi si mostran, quanto furon belle,
Alte, ricche, potenti e come alfine 147Fortuna a’ lor nemici in preda dielle.
Quivi si veggon l’opre alte, e divine
De l’Imperio Roman; poi come tutto 150Il mondo infranse colle sue ruine.
Come un torrente rapido, che al tutto
Superbo è fatto, ogni cosa fracassa 153Dovunque aggiugne il suo corso per tutto;