Delle Antiche carceri di Firenze denominate delle Stinche/Parte prima/Capitolo VII

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CAPITOLO VII.

Varie ricordanze Istoriche.



Essendomi addossato l’incarico di scrivere l’illustrazione di quest’antico edifizio, quando la maggior parte di esso era già stata demolita, non farà maraviglia ai lettori, se non abbia io potuto dar che pochi cenni intorno al medesimo, avendone pochissimo parlato gli Storici Fiorentini, e quel tanto per incidenza, pochissimo gli antiquarj e gli illustratori dei vetusti edifizj della città nostra. Il raccorre notizie dagli Archivj, che si chiamano pubblici, non è una cosa cotanto facile e piana: d’altronde quello di essi che avrebbe potuto somministrare abbondanti materiali, andò per incuria miseramente perduto, come ho raccontato nel precedente Capitolo. Le tradizioni poi, essendo bene spesso incerte e non sempre concordi, vogliono esser ricevute con cautela e parsimonia. Quindi è che darò termine alla prima parte di questo mio Discorso, riportando alquanti fatti istorici, che hanno una qualche relazione col presente argomento.

È da sapersi che quei disgraziati Pisani, i quali restarono prigionieri dei Fiorentini nella famosa vittoria, che i secondi riportaron sui primi il dì 28 Luglio 1364, per la quale fu stabilita la corsa del palio nel giorno di S. Vittorio, furon rinchiusi in queste medesime carceri delle Stinche, ove molti finirono la loro vita. E quei prigionieri son quelli che furon poi condannati [p. 32 modifica]a fare sulla piazza allor detta de’ Priori, ed or del Granduca, quel tetto, che dal loro nome vien tuttavia chiamato il tetto dei Pisani1.

Sul principio dell’anno 1360 furon pure in queste medesime Carceri rinchiusi il Cav. Leale, Marco, Lodovico e Pieronzolo della famiglia de’ Tarlati, i quali con altri loro consorti rimasero prigionieri de’ Fiorentini nella espugnazione di Bibbiena. Quivi stettero per nove anni, e non ne furono liberati che ad intercessione dell’Imperator Carlo IV, quando questi nel 1369 si portò in Toscana, e fece la pace colla Repubblica di Firenze2

Per rappresaglia contro Riccardo Cancellieri, il quale si era ribellato ai Fiorentini ed avea lor tolto il Castello della Sambuca, la Repubblica di Firenze fece nel 1401 prendere dodici dei più ragguardevoli personaggi della medesima pistojese Famiglia de’ Cancellieri, e condannolli ad una lunga prigionia nelle Stinche3. Queste adunque si potevano chiamare le Prigioni di Stato, e a quel che sembra doveano molto e spesso essere frequentate, se tutti i rivoltosi, o quei delle contrarie fazioni, caduti in potere de’ Fiorentini, venivano in esse imprigionati.

Un discendente di quella stessa Famiglia de’ Cavalcanti, cui apparteneva il già distrutto Castello delle Stinche, fu quivi carcerato per debito nel 1427. Questi si fu Lodovico di Papero Cavalcanti, il quale nel [p. 33 modifica]tempo della sua prigionia scrisse un’Istoria delle cause d’onde avvenne l’esilio di Cosimo il vecchio, delle conseguenze che ne derivarono, e del ritorno di lui4.

L’Ammirato racconta5 che l’anno 1428 si trovava nelle Stinche prigioniero de’ Fiorentini Lodovico Signor di Marradi, mentre due suoi fratelli tenevan per lui la rocca di Castiglione. Battuta però la rocca dalle armi della Repubblica, doveron quelli venire a patti, e resero la fortezza colla condizione, che Lodovico fosse restituito in libertà. Questa condizione però, contro la fede data dai Fiorentini, dice Neri Capponi, non essere stata osservata; e così le Stinche furono in in quella, come in altre occasioni, il luogo ove si consumarono le ingiustizie o le prepotenze del multiforme ed incostante Governo della Repubblica Fiorentina. Sebbene queste Carceri delle Stinche non abbian finora potuto a noi somministrare se non che materie di argomenti tristi e luttuosi, somministraron peraltro alla vivace fantasia del faceto Berni materia di alquanti versi, i quali forman parte del Capitolo in lode del Debito, inserito nelle sue Poesie burlesche6. [p. 34 modifica]

Note

  1. Rastrelli, il Priorista istorico Fiorentino, vol. II. pag. 98.
  2. Ammirato Istorie Fiorentine lib. XIII. — Rastrelli, il Priorista Istorico Fiorentino, Vol. II, pag. 114.
  3. Rastrelli, il Priorista Istorico Fiorentino, Vol. III, pag. 95.
  4. Dice il Lastri nell’Osservator Fiorentino, Vol. V, pag. 146, che una copia di questo libro, fatta per mano di Stefano Rosselli, conservavasi nella Libreria Rosselli già Del Turco. Un’altra copia io l’ho veduta pochi giorni sono presso il Sig. Pietro Bigazzi. Nel Proemio l’Autore istesso dice di avere scritto quest’opera nel tempo che trovavasi prigione nelle Stinche.
  5. Istorie Fiorentine, lib. XIX.
  6. Con questi versi appunto vogliamo terminare il presente Capitolo, affine di rattemprare la serietà del subietto che abbiamo impreso a trattare.

    O gloriose Stinche di Firenze,
         Luogo celestïal, luogo divino,
         Degno di centomila riverenze.

    A voi ne vien la gente a capo chino,
         E prima che la vostra scala saglia,
         S’abbassa in su l’entrar dall’usciolino.
    A voi nessuna fabbrica s’agguaglia,
         Siete più bella assai che il Culiseo,
         O s’altra a Roma è più degna anticaglia.
    Voi siete quel famoso Pritaneo,
         Dove teneva in grasso i suoi baroni
         Il popol che discese da Teseo.
    Voi gli tenete in stia come i capponi.
         Mandate il piatto lor pubblicamente,
         Non altrimenti che si fa a’ leoni.
    Com’uno è quivi, è giunto finalmente
         A quello stato che Aristotil pose,
         Che ’l senso cessa, e solo opra la mente.
    Voi fate anche le genti industrïose:
         Chi cuce palle, e chi lavora fusa,
         Chi stecchi, e chi mille altre belle cose.
    Non vi ha nè l’ozio, nè ’l negozio scusa,
         L’uno e l’altro ricapito vi trova;
         Di tutti e due v’è la scienza infusa.
    Se alla città vien qualche buona nuova,
         Voi siete quasi le prime a sapella,
         Par che corrieri addosso il ciel vi piova.
    E qui si sente un romor di martella,
         Di picconi e di travi per mandare
         Libero ognuno in questa parte e in quella.
    Ma s’io vi son, lasciatemivi stare,
         Di questa pietà vostra io non mi curo,
         Appena morto me ne voglio andare.
    Non so più bel che star dentra ad un muro,
         Quieto ed agiato, dormendo a chius’occhi,
         E del corpo e dell’anima sicuro.
    Fate, parente mio, pur degli scrocchi.
         Pigliate spesso a credenza, a interesse,
         E lasciate, ch’agli altri il pensier tocchi,
    Che la tela ordisce un, l’altro la tesse.

    fine della prima parte