Della tirannide (Alfieri, 1927)/Libro primo/Capitolo X
Questo testo è completo. |
◄ | Libro primo - Capitolo IX | Libro primo - Capitolo XI | ► |
Capitolo Decimo
Del falso onore.
Ma se le antiche tirannidi e le moderne si rassomigliano nell’aver esse la paura per base, la milizia e la religione per mezzi, differiscono alquanto le moderne dalle antiche per aver esse nel falso onore, e nella classe della nobiltá ereditaria permanente, ritrovato un sostegno che può assicurarne la durata in eterno. Ragionerò in questo capitolo del falso onore; e alla nobiltá, che ben se lo merita, riserberò un capitolo a parte.
L’onore, nome da tanti giá definito, da tutti i popoli e in tutti i tempi diversamente inteso, e a parer mio indefinibile; l’onore verrá ora da me semplicemente interpretato cosí: la brama, e il diritto, di essere onorato dai piú. Ed il falso distinguerò dal vero, falsa chiamando quella brama d’onore, che non ha per ragione e per base la virtú dell’onorato e l’utile vero degli onoranti; e vera all’incontro chiamerò quella brama di onore, che altra ragione e base non ammette se non la utile e praticata virtú. Ciò posto, esaminiamo qual sia questo onore nelle tirannidi, chi lo professi, a chi giovi, da qual virtú nasca, e qual virtú ed utile egli promuova.
L’onore nelle tirannidi si va spacciando egli stesso come il solo legittimo impulso, che spinge tutti coloro che pretendono di non operar per paura. Il tiranno, contento oltre ogni credere che la paura, mascherata sotto altro titolo, venga nondimeno a produrre un medesimo, anzi un maggiore effetto in suo pro, straordinariamente seconda questa volgare illusione. Col semplice nome di onore, che sempre gli sta fra le labbra, egli riesce pure a spingere i suoi sudditi a coraggiose e magnanime imprese, le quali veramente onorevoli sarebbero, se fatte non fossero in suo privato vantaggio ed in pubblico danno. Ma, se onore vuol dire il giusto diritto di essere veramente onorato dai buoni ed onesti, come utile ai piú, e se la virtú sola può essere base a un tal dritto; come può egli il tiranno profferire mai un tal nome? Lo ripetono anche i sudditi a gara; ma se la loro brama e diritto d’essere onorati si fondasse su la pratica della vera virtú, potrebbero eglino servire, obbedire e giovare a un tiranno che nuoce a tutti? E noi stessi schiavi moderni, ove ricordare pure vogliamo la memoria d’un uomo giustamente onorato per molte etá da molti e diversi popoli, e che quindi moltissimo onore abbia avuto nel cuore, facciamo noi menzione di un Milziade, di un Temistocle, di un Regolo, ovvero d’uno Spitridate, di un Seiano o di altro prepotente schiavo di tiranno? Noi stessi dunque (e senza avvedercene) sommamente onorando quegli uomini liberi, grandi e giustamente onorevoli ed onorati, veniamo manifestamente a mostrare, che il vero onore era il loro, e che il nostro, il quale in tutto è l’opposto di quello, è il falso; poiché niente onoriamo la memoria di quei pretesi grandi in tirannide.
Ma se l’onore nelle tirannidi è falso, e se, immedesimatosi colla paura, egli è pure la principalissima molla di un tal governo, da un falso principio falsissime conseguenze risultar ne dovranno; e ne risultano in fatti. L’onore della tirannide impone, che mai non si manchi di fede al tiranno. Impone l’onore nella repubblica che chiunque volesse farsi tiranno sia spento. Per giudicare qual sia tra questi due onori il verace, esaminiamo alla sfuggita questa fede che il servo non dée rompere al tiranno. Il rompere la data fede è certamente cosa che dée disonorar l’uomo in ogni qualunque governo: ma la fede dev’essere liberamente giurata, non estorquita dalla violenza, non mantenuta dal terrore, non illimitata, non cieca, non ereditaria; e, sovra ogni cosa, reciproca dev’esser la fede. Ogni moderno tiranno, al riappiccarsi in fronte la corona del padre, anch’egli ha giurato una fede qualunque ai suoi sudditi, che giá rotta e annullata dal di lui padre, lo sará parimente e doppiamente da esso. Il tiranno è dunque di necessitá sempre il primo ad essere spergiuro e fedifrago; egli dunque è il primo a calpestarsi fra’ piedi il proprio onore, insieme con le altrui cose tutte. Ed i suoi sudditi perderebbero l’onor loro, nel rompere essi quella fede che altri ha manifestamente giá rotta? La pretesa virtú, in questo caso, frequente pur tanto nelle tirannidi, sta dunque direttamente in opposizione coll’onor vero; poiché se un privato ti manca di fede, anche l’onore stesso delle tirannidi t’impone di fargliela a forza osservare, per vendicare in tal modo il disprezzo ch’egli ha mostrato espressamente di te nell’infrangerla. Manifestamente dunque è falso quell’onore che comanda di serbar rispetto e amore e fede a chi non serba, o può impunemente non serbare, alcuna di queste tre cose a nessuno. Da questo falso onore nasce poi la falsissima conseguenza che si venga a credere legittima, infrangibile e sacra quell’autoritá che l’onore stesso costringe a mantenere e difendere.
A questo modo, nella tirannide guasti essendo e confusi i nomi di tutte le cose, i capricci del tiranno, messi in carta, col sacro nome di leggi s’intitolano, e si rispettano ed eseguiscono come tali. Cosí, a quella terra dove si nasce, si dá nella tirannide risibilmente il nome di patria; perché non si pensa che patria è quella sola, dove l’uomo liberamente esercita, e sotto la securtá d’invariabili leggi, quei piú preziosi diritti che natura gli ha dati. Cosí si ardisce nella tirannide appellare senato (col nome cioè dei liberi scelti patrizi di Roma) una informe raccolta di vecchi trascelti dal principe, togati di porpora, e specialmente dotti in servire. Cosí finalmente, si viene a chiamare nella tirannide col titolo sacro d’onore la dimostrata impossibilitá di essere giustamente onorato dai buoni, come di essere utile ai molti.
Ma per maggiormente accertarci che l’onor nostro sia il falso, paragoniamolo alquanto piú lungamente a quello delle repubbliche antiche, nelle sue cagioni, mezzi ed effetti; e certo arrossiremo noi tosto di profferire un tal nome; che se dicessimo non essere egli a noi noto affatto, con una tale ignoranza escuseremmo almeno la infamia nostra in gran parte. Comandava l’onore antico a quei popoli liberi di dar la vita per la libertá; vale a dire pel maggior vantaggio di tutti; ci comanda il moderno onore di dar la vita pel tiranno; vale a dire per colui che sommamente nuoce a noi tutti. Voleva l’antico onore, che le ingiurie private cedessero sempre alle pubbliche; vuole il moderno che si abbiano le pubbliche per nulla, e che atrocemente si vendichino le private. Voleva l’antico che i suoi seguaci serbassero amore e fede inviolabile alla patria sola; il nostro la vuole e comanda pel solo tiranno. E non finirei, se i precetti di questo e di quello, in tutto contrari fra loro, annoverare volessi.
Ma i mezzi per essere onorato, non meno dai popoli servi che dai liberi, sono pur sempre il coraggio e una certa virtú: colla somma differenza nondimeno che l’onore nelle repubbliche, scevro da ogni privato interesse, riesce di pura ricompensa a se stesso; ma nelle tirannidi questo onore impiegatosi in pro del tiranno, vien sempre contaminato da mercedi e favori, che piú o meno distribuiti dal principe, accrescono, minorano o anche, negati, spengono affatto l’onore nel cuor de’ suoi servi.
Le conseguenze poi di questi due diversi onori facilissime sono a dedursi. Libertá, grandezza d’animo, virtú domestiche e pubbliche, il nome e il felice stato di cittadino; ecco quali erano i dolci frutti dell’antico onore: tirannia, ferocia inutile, vil cupidigia, servaggio, e timore, ecco innegabilmente quali sono i frutti del moderno. I greci e i romani erano in somma il prodotto del vero onor ben diretto; i popoli tutti presenti d’Europa (meno gl’inglesi) sono il prodotto del falso onore moderno. Paragonando fra loro questi popoli, la diversa felicitá e potenza da essi acquistata, le diverse cose operate da loro, la fama che ottengono e quella che meritano, si viene ad avere un’ampia e perfetta misura di ciò che possa nel cuor dell’uomo questa divina brama di essere giustamente onorato, allorché dai saggi governi ella è bene indrizzata e accresciuta, o allorché dai tirannici ella viene diminuita o traviata dal vero.
Mi si dirà che o buono sia o cattivo il principio, a ogni modo il sagrificar la propria vita, il mantenere la data fede a costo di essa, l’esporla per vendicare le ingiurie private, tutto ciò suppone pur sempre una somma virtú. Né io imprendo stoltamente a negare che nelle tirannidi vi sia moltissima gente capace di virtú, e nata per esercitarla: piango solamente in me stesso di vederla falsamente adoprarsi nel sostenere e difendere il vizio, e quindi nello snaturare e distruggere se stessa. E niuno politico scrittore ardirá certamente chiamare virtú uno sforzo, ancorché massimamente sublime, da cui, in vece del pubblico bene, ne debba poi ridondare un male per tutti e la prolungazione del pubblico danno.
Ora, perché dunque quella stessa vita, che tanti e sí fatti uomini, ripieni di falso onore, vanno cosí prodigamente spendendo pel tiranno, perché quella vita stessa non vien ella da loro sagrificata, con piú ragione e con ugual virtú, per togliere a colui la tirannide? E quel valore inutile (poiché non ne ridonda alcun bene) quell’efferato valore con cui nelle tirannidi si vendicano le private offese, perché non si adopera tutto contro al tiranno che tutti, e in piú supremo grado, non cessa pur mai un momento di offendere? E quella fede che cosí ostinatamente cieca si osserva verso il nemico di tutti, perché, con egual pertinacia, e con piú illuminata virtú, non si giura ella ed osserva inverso i sacri ed infranti diritti dell’uomo?
Nelle tirannidi dunque, a tal segno ridotti son gl’individui, che qualunque impulso dalla natura abbiano ricevuto all’operar cose grandi, essi edificano pur sempre sul falso, ogniqualvolta non sanno o non osano calpestare il moderno onore e riassumere l’antico.