Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni/Libro settimo/33. Segue fino alla pace d'Amiens

33. Segue fino alla pace d’Amiens

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33. Segue fino alla pace d’Amiens [1797-1802]. — La condizione precaria fatta da quella mala pace all’Italia era questa: Austria dunque fino all’Adige; la novizia repubblica cisalpina, composta di antichi sudditi austriaci, modenesi, papalini, divisa in parte antica e che or diremmo legittimista assoluta, e parte democratica pur assoluta, niuna di mezzo; esercito novissimo lentamente sorgente, e vituperato di quel detto di Buonaparte che non avrebbe resistito ad un reggimento piemontese; e quindi con tal pretesto e ragione, un esercito d’occupazione francese, e generali e commissari dittatori, cioè insomma dipendenza straniera assoluta. La monarchia piemontese rimaneva ridotta e stretta tra le due repubbliche di Francia vera e Francia cisalpina, ed occupata essa pure, attraversata da francesi. Parma sopravviveva sotto lo scudo di Spagna, Toscana sotto quello d’Austria. Roma travagliata tra suo vecchio governo e la vicinanza della nuova ed invadente democrazia cisalpina, Roma pareva all’ultima agonia; ed eravi per allora, e sarebbe stata per sempre, se non vi fosse il poter temporale appoggiato allo spirituale. E finalmente la regina Carolina ed Acton fremevano da Napoli contro alle novitá, cui non avean saputo resistere nel farsi, cui fatte volevan disfare. Insomma, o per vecchiezza mal sostenuta, o per nuova e cattiva costruzione, tutti gli edifizi degli Stati italiani minacciavan rovina. — La prima fu quella di Roma. Scoppiovvi una sommossa di repubblicani [28 dicembre 1797], cosí dappoco che non resistettero ai dragoni del papa. Rifuggirono al palazzo di Francia, dov’era ambasciatore Giuseppe Buonaparte fratello di Napoleone, e a lui addetto un giovane generale Duphot. Questi fu ucciso nel tumulto. Fecesene scandalo, grida, violazione iuris gentium, e via via. Arrivò Berthier, generale in capo de’ franco-cisalpini, al 10 febbraio 1798, entrò, fu menato in trionfo a Campidoglio; e lí sotto, a Campo Vaccino, dinanzi ad un notaio, fu proclamata la repubblica romana. Non sarebbe pregio d’opera anche piú distesa riferire le costituzioni, o peggio i subbugli, le parti, cioè i pettegolezzi di questa e delle seguenti repubblichette efimere. Piú seria, piú storica la resistenza del vecchio ed or dignitoso [p. 142 modifica]e coraggioso pontefice; il quale ricusò ogni rinuncia, e fu subito portato via a Toscana, ed indi a Valenza in Francia, dove morí [29 agosto 1799]. — Intanto cadeva casa Savoia. La repubblica ligure infrancesata dichiarava la guerra a Carlo Emmanuele. Intromettevasi Francia, ed occupava la cittadella di Torino. E finalmente, a un medesimo di a Parigi e a Torino, dichiarava la guerra (tirannica derisione) al re giá spogliato d’ogni mezzo di resistenza; e questi abdicava [9 dicembre] virtuosamente protestando, ed era poi portato via a Toscana, e lá imbarcato per Sardegna. E cosí, dopo quattro anni di difesa militare, e due di difesa diplomatica (sostenuta principalmente dal Priocca ministro degli affari esteri e dal Balbo ambasciatore a Parigi) cadeva anch’essa non senza dignitá casa Savoia. Questa e il papa soli fra’ principi italiani ebbero, non avendo saputo resistere, l’onore almeno di aver saputo soccombere. E del Piemonte pure fu tentato fare una repubblica; ma non fu conceduto dai francesi, che lo serbarono sotto un governo, come si diceva, provvisorio. — Napoli poi cadde poco appresso, ma men bene di gran lunga. Carolina ed Acton ministro, e Mack generale tedesco assoldato da essi, e Nelson ammiraglio inglese trionfante della sua recente vittoria navale ad Abukir, immaginarono decidere, romper essi dal loro angolo d’Italia quella guerra, che si riannuvolava giá da tutta Europa. Apparecchiato un grande esercito, i napoletani invasero la nuova repubblica romana, entrarono in Roma [29 novembre], abbandonata dal piccolo corpo francese di Championnet. Ma battuti i napoletani fin dal primo incontro ad Otricoli [9 dicembre], lasciaron Roma; e rientrovvi Championnet, e li inseguí ai limiti del Regno ed oltre. Ferdinando Borbone, spaventato, salpò con la moglie e la corte sulle navi di Nelson per Sicilia [31 dicembre]. — Al nuovo anno 1799, si avanzò Championnet contro a Capua [3 gennaio], e firmò un armistizio [11] con Mack; ma sollevossi Napoli contro a questo ed al governo del re, e la cittá rimase in mano a’ lazzaroni, sotto il principe di Moliterno, che finí quella confusione chiamando i francesi [23 gennaio]. Ed ivi pure fu organizzata una repubblichetta alla francese, la quale [p. 143 modifica](perché non erano ancora di moda le caricature del medio evo, ma sí quelle greche e romane) fu detta «partenopea». — Scoppiava poco appresso la guerra della seconda coalizione europea; da una parte, Inghilterra che non avea cessato mai, Austria che ricominciava diciotto mesi dopo la pace mal fatta e peggio eseguita di Campoformio, e Russia che entrava or per la prima volta in guerra effettiva; dall’altra, Francia e le sei repubbliche satelliti sue, olandese, elvetica testé rivoluzionata, democratizzata, centralizzata e ribattezzata, ligure, cisalpina, romana e partenopea. Jourdan passando il Reno in Germania [1º marzo], Massena passandolo in Elvezia [6], e l’arciduca Carlo passando il Leck [3], aprirono la campagna. La quale fu condotta colá infelicemente per Francia, ma pure serbando all’ultimo le due linee del Reno e della Limmath. In Italia poi Scherer e l’esercito francese incominciarono essi passando l’Adige [26 marzo]; ma battuti nei dí seguenti da Kray, si ritrassero [7 aprile] sul Mincio, e quindi precipitosamente sull’Oglio, sull’Adda. Scherer avvilito lasciò il comando a Moreau, giá generale in capo illustratosi in Germania, e qui semplice general di divisione. Intanto arrivava l’esercito russo sotto Suwarow, capitano molto illustratosi in Turchia e troppo in Polonia. E perché a Championnet, richiamato dall’esercito di Napoli nell’Italia superiore, era succeduto Macdonald buon capitano esso pure, fu bella guerra anche questa. Moreau battuto a Cassano sull’Adda il dí appresso a quello in che prese il comando [28 aprile], si ritrasse lentamente a Milano, a Torino; e dato tempo cosí alla fuga scompigliata de’ repubblicani cisalpini e piemontesi, passò il Po, lascionne tutta la riva sinistra, ridisceselo sulla destra, e si collocò al confluente del Tanaro tra Alessandria e Valenza. Suwarow prese Torino, ma esso pure ridiscese il Po a manca, e, passatolo, si collocò a Tortona in faccia a Moreau. Questi gli sguizzò di mano, e posesi a Novi, tendendo la destra a Macdonald che arrivava da Napoli, Roma, Toscana abbandonate. Verso la metá di giugno eran presso a riunirsi i due. Ma fosse fretta di Macdonald o indugio di Moreau, quegli si trovò impegnato solo contro a Suwarow bellamente cacciatosi in mezzo. [p. 144 modifica]Alla Trebbia combatteronsi tre giornate [17, 18, 19]. E battutovi Macdonald, si riuní allora a Moreau per l’Appennino; sul quale fu cosí cacciato tutto l’esercito francese, rimanendo il resto d’Italia in mano agli austro-russi. E quindi si vede, come da altri esempi numerosi antichi, nuovi e novissimi da Annibale fino a noi, che ivi pure tra il Po, la Trebbia e l’Appennino è un altro campo apprestato dalla natura, fortificato poi dall’arte variamente, alle guerre italiane, un campo che è primo o secondo in importanza a quello di Mincio ed Adige, secondoché le guerre ci vengono di Francia o di Germania; campo poi difensivo principale, forse unico, al Piemonte contro l’Austria. Vergogna a noi, a noi piemontesi dico, di non averlo saputo adoprare nell’ultima nostra prova. Avrebbe bastato a ciò seguir le patrie tradizioni, e principalmente gli ultimi esempi di Suwarow e Moreau. — Seguirono restaurazioni degli antichi governi non meno efimere, che le repubblichette testé cadute. A Napoli tornarono re, regina e il resto, incrudeliti a vendetta dal recente avvilimento e dal subitano e immeritato trionfo. Ivi Nelson sporcò la propria gloria e la bandiera inglese, imprestandola ai supplizi. In Roma, in Firenze, in Torino eran proclamati papa, granduca e re, ma assenti, e governarono intanto gli alleati poco diversi da nemici, piú odiosi. Come gl’italiani repubblicani poc’anzi, cosí ora i regii poterono imparare, che sieno le difese, le protezioni, gli ordinamenti stranieri. Austria aveva allora tutta Italia in sue mani; e mostrò l’intenzione di serbarne molto o tutto; e perdette l’opinione de’ propri partigiani. In Piemonte principalmente, crebbe allora l’antico odio ad essa. Che piú? Per questa aviditá, Austria perdé la guerra stessa; per assicurarsi del paese ridusse la guerra campale ad assedi; furon prese Alessandria [22 luglio], Mantova [30]. Allora coll’esercito riunito, Suwarow s’avanzò all’Appennino, e vinse in gran battaglia a Novi l’esercito francese capitanato da Joubert, e, lui ucciso, di nuovo da Moreau [15 agosto]. Quindi l’esercito francese si ridusse in parte dentro e intorno a Genova, e in parte sul Varo a difendere Provenza. E giá, passati in Isvizzera Suwarow e l’esercito russo [21 settembre], Melas coll’esercito [p. 145 modifica]austriaco tentava Genova. — Ma mutavasi allora di nuovo a un tratto e del tutto la fortuna di Francia per l’arrivo di Napoleone Buonaparte dall’Egitto, che egli avea conquistato da due anni, e che lasciava ora senza ordini, di proprio moto, per venirsi porre a capo della mal condotta e da lui disprezzata repubblica. Addí 9 ottobre, approdava a Fréjus; addí 9 novembre [18 brumaire], distruggeva il Direttorio, e metteva invece un governo di tre consoli provvisori, se stesso, Sièyes e Ducos. Elaborata quindi una nuova costituzione con un primo consolo, che naturalmente fu egli, e due minori, Cambacérès e Le Brun; entrarono in carica il dí di Natale 1799; mille anni, dí per dí, dall’assunzione di Carlomagno all’imperio. — Quindi subito, e piú poi ne’ primi mesi del 1800, seguí sotto a Napoleone quel ricalcare i propri passi la rivoluzione francese, quella, come si diceva allora, controrivoluzione, tanto temuta da tutti i rivoluzionari, tanto immanchevolmente destinata a tutti, quel mirabile restaurarsi e riordinarsi dell’amministrazione, della giustizia, delle finanze, dell’esercito di Francia, che ci fu recentemente cosí ben narrato dal Thiers; ben narrato, dico, perché nemmen egli, francese e napoleonico, ma liberale, non tace né vela ciò che vi mancò, la libertá. Lo stupore d’Europa a sí grandi mutazioni, gl’indugi degli austriaci che per otto mesi dopo la battaglia di Novi non fecer quasi nulla né in Italia né fuori, dieder agio a Napoleone ad apparecchiar la magnifica campagna del 1800. Pose Moreau ed un forte esercito in Elvezia ed Alsazia sul Reno, con ordine di passarlo; Massena e le reliquie degli eserciti d’Italia a difesa di Genova e d’Appennino; e un terzo esercito di riserva sotto Berthier nominativamente a Digione, di fatto qua e lá, dove venivan raccogliendosi le divisioni, le brigate via via; cosicché, tra il grido sparsone e il non trovarsene quasi traccia a Digione, furono ingannate le spie nemiche, credettero finzione e vanto la veritá bandita. Gli austriaci apriron la campagna. Melas assalí Massena addí 5 aprile, e fortissimo contra debole, lo rinchiuse in Genova e lo separò da Suchet che si ritrasse quindi sul Varo, e vi fece una lunga e bella difesa, mentre Massena fece la sua bellissima di Genova. Quindi [p. 146 modifica]entrò in campagna Moreau [25], passò il Reno su quattro punti da Strasburgo a Sciaffusa; e combattendo e vincendo a Stockach, a Moesskirk, giungeva al Danubio, ad Ulma, dove riduceva l’esercito austriaco di Kray. Posava quindi, staccata giá una forte divisione sua al San Gottardo, per iscendere in Italia in aiuto a Napoleone. Questi poi erasi mosso terzo [5 maggio] da Parigi; e attraversata Digione dove erano appena alcuni depositi dell’esercito di riserva, n’avea raggiunto il grosso sulle sponde, anzi al sommo capo del lago di Ginevra. Addí 14, aveva spinto Lannes e sue prime divisioni a passar il Gran San Bernardo; poi l’altre ne’ dí seguenti fino al 20, che passò egli. Lannes scendendo per Val di Dora, s’era abbattuto contro al forte di Bard, che la chiude, e passato sulle balze a sinistra, come poté, era pur progredito. Cosí fece a stento il resto dell’esercito, Napoleone. Addí 22, Lannes sboccò da’ monti, e prese Ivrea; addí 28, dai colli, e prese Chivasso sul Po. E raccolto lá alla pianura oramai tutto l’esercito, Napoleone minacciò a destra Torino, ma piombò a stanca sul Ticino [31], e passatolo, su Pavia e Milano [10 giugno]. Entrò egli in questa il dí appresso; e pensi ognuno le meraviglie, le gioie dei repubblicani, dei cresciuti nemici d’Austria, degli amici de’ francesi e della libertá, pur cresciuti all’ordinarsi apparente di essa in Francia. Né fermossi guari Napoleone costí. Partendo di Parigi aveva accennato col dito in sulla carta la pianura tra Alessandria e Tortona, come quella ove Melas preso a spalle raccoglierebbe probabilmente l’esercito austriaco, per rompersi una via alla ritratta. E Melas, sorpreso a Nizza mentre guerreggiava tranquillo contro Suchet, obbediva ora al dito fatidico correndo egli e facendo correre sue divisioni disperse al punto assegnato. Massena intanto era sforzato dal difetto assoluto di viveri in Genova, addí 4; e, fatta un’onorevole ed utile capitolazione, sbarcava quindi a Savona dove dava la mano a Suchet giá riavanzato. E Napoleone, lasciata Milano addí 8, raggiungeva l’esercito suo che giá aveva passato il Po a Pavia. Addí 9, incontravansi i due primi corpi nemici a Stradella e Montebello; e vinceva il francese sotto Lannes, che n’ebbe poi il nome. [p. 147 modifica]Quindi seguendo e convergendo a destra, tutto l’esercito francese trovavasi in Voghera e Tortona, contro all’austriaco raccoglientesi ad Alessandria. Trovavansi cosí i due eserciti in una di quelle posizioni dove forza è si decidano i destini delle nazioni; l’esercito francese aveva l’austriaco tra sé e Francia, l’austriaco aveva il francese tra sé ed Austria; ma con questa gran differenza, che il francese cra venuto costí a posta e credea tagliare, l’austriaco sorpreso teneasi per tagliato; ed ognun sa, che anche in guerra l’opinione fa la forza. Tre dí passarono in formarsi, assicurarsi l’uno e l’altro. Addí 13, Napoleone, passata la Scrivia, e spiegatosi ne’ piani di Marengo e non trovatovi il nemico, temettelo scampato. Ma all’aggiornare del 14, sboccò questo dal ponte della Bormida, e si spiegò nei medesimi piani. E lí, da mattina a sera si combatté quella lunga, varia, intensa battaglia, vinta dagli austriaci quasi tutto il giorno, rivinta da’ francesi nell’ultime ore per lor mirabile costanza, per quella principalmente di Desaix che vi morí. Qui sorge piú che mai il rincrescimento di non aver agio a descrivere, ammirare, lodare. Insomma, Melas e gli austriaci furono fermati, rotti, disfatti, ricacciati, riaffollati in Alessandria; e al domane [15] Melas firmava una capitolazione, per cui gli fu conceduto ritrarsi dietro al Mincio ed al Po; ed egli concedeva Piemonte, Lombardia, Liguria, Parma, Modena, le Legazioni, Toscana; e cosí la restaurazione della repubblica cisalpina. Napoleone ripassò trionfando a Milano, a Torino; ritornò trionfando a Parigi. Allora Moreau, concitato da tanto esempio, assalí pur egli in Germania i nemici, e li vinse e spinse fin dietro l’Inn, e firmò pur esso un armistizio [15 luglio]. Poche nazioni, pochi uomini ebbero mai un’epoca di gloria e fortuna crescenti, come questa che incominciò qui a Francia, a Napoleone; e pochi uomini ne usarono bene, come egli allora. Continuò, accelerò, svolse riordinamenti interni ed esterni; ripropose paci, e rigettato riuní nuovi eserciti a nuovi trionfi. Addí 28 novembre, fu rotto l’armistizio. Addí 3 dicembre, Moreau vinse una gran battaglia ad Hohenlinden, e passò quindi l’Inn e la Salza e firmò poi un nuovo armistizio a Steyer [25 dicembre]. Ed intanto un secondo esercito [p. 148 modifica] francese dalla Svizzera passava la Spluga [5 dicembre]. Ed il terzo in Italia sotto Brunc passava il Mincio [25 dicembre] e l’Adige [1º gennaio 1801], e firmava pur esso il suo armistizio a Treviso [16 gennaio]. Finalmente [9 febbraio 1801] firmavasi a Lunéville la pace tra Francia ed Austria, simile a quella di Campoformio: Austria dietro l’Adige; Cisalpina formata, come giá, del Milanese, Modena e le Legazioni; Piemonte e Toscana abbandonate alle ulteriori disposizioni di Francia. E seguirono quindi, rapide, e quasi appendici di questa, altre paci via via. Per un trattato fatto pochi dí appresso con Ispagna [21 marzo] Napoleone facevasi ceder Parma e Piacenza, e innalzava quella casa borbonica a un nuovo regno d’Etruria. Pochi altri dí appresso [28 marzo], Napoli faceva pace, e cedeva Porto Longone, Elba, i Presidi e Piombino. E finalmente, addí 15 luglio, firmavasi il concordato tra Francia e Pio VII, nuovo papa eletto ultimamente [14 marzo 1800] a Venezia, mirabilmente eletto, come uomo che s’era giá mostrato intendente de’ tempi, da uomini che cosí mostrarono intenderli. Poi, adunatasi a Lione una Consulta di cisalpini, mutava sotto la dettatura dell’onnipotente vincitore e pacificatore la costituzione della repubblica cisalpina, e gliene deferiva la presidenza [26 gennaio 1802]. E qui un grande scrittor moderno accenna a non so qual gioia e qual concorso dell’opinione italiana. Ma noi vecchi n’abbiam ancor qualche memoria; e il fatto sta che, gioia o no, questa Consulta fu poco piú che obbedienza al cenno straniero, e cerimonie. Seguirono altre ed altre paci; ultimate, confermate tutte da quella tra Francia ed Inghilterra firmata ad Amiens [27 marzo 1802]. La cristianitá era in pace; ma divisa essa tra due potenze prepotenti una in mare, l’altra in terra; divisa l’Italia tra Francia prepotente e crescentevi, ed Austria ridotta a soffrire, era chiaro a tutti che non potea durare né questa ripartizione particolare, né quella generale.