../31. Le guerre della rivoluzione francese fino alla pace di Campoformio
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1 maggio 2018
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<dc:title> Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Cesare Balbo</dc:creator><dc:date>1846</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Balbo, Cesare – Storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni, Vol. II, 1914 – BEIC 1741401.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Della_storia_d%27Italia_dalle_origini_fino_ai_nostri_giorni/Libro_settimo/32._Continua&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20180501160354</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Della_storia_d%27Italia_dalle_origini_fino_ai_nostri_giorni/Libro_settimo/32._Continua&oldid=-20180501160354
Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni - 32. Continua Cesare BalboBalbo, Cesare – Storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni, Vol. II, 1914 – BEIC 1741401.djvu
[p. 133modifica]32. Continua. — Nel 1792 (morto giá Leopoldo imperatore al primo marzo,
e succedutogli suo figliuolo Francesco II), si mossero gli alleati
contra Francia dal Reno. Ma furono respinti a Valmy, a Jemmapes, e
perdettero il Belgio e la riva sinistra di quel fiume fino a Magonza.
E in Italia, mentre erano per via gli austriaci in aiuto a re Vittorio
Amedeo III di Sardegna, furono tolte a questo d’un tratto, senza buona
resistenza, Savoia e Nizza [settembre]. — Nel 1793 [21 gennaio] salí
sul palco Luigi XVI. Entrarono allora nell’alleanza molti principi che
non v’erano ancora, e fra gli altri il papa e Napoli; e si sollevarono
la Vandea, Lione, Marsiglia e Tolone, data poi in mano ad inglesi,
a piemontesi, a napoletani [27 agosto]. Quindi, i repubblicani
guerreggiavano infelicemente dentro e fuori; e perdean Belgio, Magonza
e la sponda sinistra del Reno, fino alla fin dell’anno, che sotto Hoche
ripresero le linee di Weissembourg e Landau. In Italia una flotta
francese tentò la Sardegna, ma fu respinta [24 gennaio]. Corsica si
sollevava contra [p. 134modifica]Francia sotto Paoli, tornatovi da qualche tempo; e
vi venivan poi gl’inglesi, ed eran ricacciati all’ultimo; di che, come
di provincia oramai tutta francese, non diremo altrimenti. Intanto i
piemontesi ed austriaci tentarono riprendere Savoia e Nizza, e dar la
mano a Lione e Tolone. Combatterono non senza vigore [8, 12 giugno] al
colle di Rauss nelle Alpi marittime; ma furono respinti in ogni altro
luogo; e caddero poi Lione [9 ottobre] e Tolone [19 dicembre]. A questa
ripresa di Tolone, Napoleone contribuí come ufficiale d’artiglieria.
Quest’anno 1793 fu il bruttissimo della storia interna di Francia. Ma
confessiamolo a gloria di quel popolo; quella bruttezza fu ricompra
dalla magnifica difesa della indipendenza. Salvo i regi, tutti
s’unirono a tal difesa. Né serve attribuirla, come fanno alcuni, chi
a Carnot, chi al terrore di Robespierre e consorti; né Carnot né il
terrore non avrebbon valuto, senza quel sentimento d’indipendenza che
fu solo buono rimasto allora a’ francesi, che fu tanto piú forte forse
perché solo buono lor conceduto, e che bastò a ricondur poi la nazione
a poco a poco a tutti gli altri, salvo la costanza. Alla quale pure
essi verranno: ché quanto piú si scorron tempi o paesi, piú si vede
confermato che questo sentimento genera, tosto o tardi, tutti gli altri
buoni. — Nel 1794 poi, mentre cessava [28 luglio], per il supplizio di
Robespierre e de’ suoi complici principali, quella somma tirannia che
fu detta il Terrore, gli eserciti repubblicani uscivan di nuovo di
Francia da ogni parte, riprendevano Belgio e la riva sinistra del Reno,
invadevano Olanda e Spagna. In Italia s’avanzavan meno; trattenuti
dall’esercito piemontese, non prendeano che le somme Alpi al piccolo
San Bernardo, al Moncenisio, all’Argentiera. Ma tra l’Alpi marittime
e l’Appennino violavano [aprile] la stolta neutralitá di Genova, e
s’allargavano nella riviera di ponente, e né per questo si riscuoteva
Genova. Né si riscuoteva Venezia, l’altra decrepita aristocrazia.
Quindi, i francesi prendean Saorgio e il Col di Tenda ed altri
passi, e scendean qua e lá in Piemonte. Combattessi principalmente
[21 settembre] a Dego, destinato a maggior rinome. In quest’anno [23
maggio] a Valenciennes fu firmato tra Sardegna ed Austria [p. 135modifica]un trattato,
che sarebbe stato fatale se non fosse stato stoltissimo allora ed
annullato da’ fatti poi; un trattato, per cui casa Savoia dovea disfar
l’opera de’ maggiori, riportar sua potenza in Francia, restituendo ad
Austria altrettante province verso Lombardia. — Nel 1795 finalmente,
quando i repubblicani francesi ebber riuscito a far una repubblica di
due assemblee legislative con un Direttorio esecutivo [4 novembre],
allora cominciarono a far paci colle potenze nemiche. E prima (brutto
vanto) con Toscana [9 febbraio], che non era mai entrata né avrebbe
potuto entrar seriamente in guerra; poi con Prussia [5 aprile], con
Olanda [16 maggio], con Ispagna [22 luglio]. Quindi, giá non rimanendo
essi in guerra continentale se non contro ad Austria e all’imperio e
Piemonte, incominciarono in Germania a passar il Reno; ed in Italia
ritentarono gli Appennini, e vinsero a Loano [23, 24 novembre], ma
furono pur trattenuti al di lá. — Ma l’anno 1796 vide mutarsi a un
tratto i modi e la fortuna di quella guerra, l’Italia, l’Europa, per
l’elezione di Napoleone Buonaparte, giovane di ventisei anni, al posto
di generale dell’armata d’Italia [29 febbraio]. Giuntovi appena [26
marzo], si cacciò tra l’Appennino, al centro della linea di difesa
nemica, tra austriaci che vi stavano a sinistra verso Lombardia, e
piemontesi a destra verso Piemonte. Vinse or gli uni or gli altri
di qua, di lá, a Montenotte [11 aprile], a Dego [12], a Millesimo
[14], a Mondoví [22]. E lí presso a Cherasco [28], i piemontesi
abbandonarono la guerra, fecero una brutta tregua, mutata poi [18
maggio, a Parigi] in brutta pace; per cui lasciavano l’alleanza, cedean
Savoia e Nizza; davano in mano ai francesi le migliori fortezze dello
Stato, quelle fortezze vergini d’assalto, in cui e con cui avrebbon
potuto e dovuto resistere, e cui date, si facean servi. Fu incredibil
viltá, comparata alla virtú antica dei piemontesi, di casa Savoia;
ma essi avean fatte almeno quattro campagne, una brutta, ma tre
belle; avean tenuto lo straniero quattr’anni su quell’Alpi e quegli
Appennini, ove eran accorsi con essi pochi austriaci, non un altro
italiano. Conchiudiamo, che allora il migliore Stato italiano valea
poco, gli altri nulla. — Intanto Buonaparte proseguí sua invasione, sue [p. 136modifica]
vittorie. Subito passò il Po a Piacenza [7 maggio], concedé una
tregua con multa al duca di Parma [9], combatté e passò l’Adda a Lodi
[9]; entrò in Milano [15] trionfante ed applaudito da’ repubblicani,
o, come li chiama Botta, gli «utopisti» italiani, esecrato dal grosso
delle popolazioni che si sollevarono qua e lá. Trattenutone pochi dí,
riavanzò, passò l’Oglio, entrò nel territorio della moribonda Venezia,
che per la terza o quarta volta deliberò non tra pace o guerra, ma
tra neutralitá armata o disarmata, e s’appigliò a questa. E vincendo
poi a Borghetto [28 maggio], entrò in quel campo di guerra tra Mincio
ed Adige, dove egli, il giovane ed arditissimo de’ capitani antichi
o moderni, vi si fece quasi un Fabio indugiatore, vi si fermò, vi si
piantò, vi aspettò quattro eserciti nemici, contentandosi di vincerli
in una guerra difensiva e lunga di otto mesi intieri, dove poi quella
devota vittima di Carlo Alberto non fu rimasto un mese senza che i
capitani di bottega, di setta, di piazza, od anche di piú autorevoli
assemblee, lo spingessero ad uscire, ad avanzare, a correr paese, a dar
la mano a chiunque si sollevasse, a guarnir l’Alpi, ad estendersi, a
perdersi, a perder la piú bella occasione che sia stata mai all’Italia.
Ed a piú dolore e piú vergogna si ritenga, che il gran capitano
francese aveva, lasciategli da’ veneziani, Peschiera, Legnago e Verona,
mentre l’infelice italiano aveva contro sé queste tre fortezze,
l’ultima delle quali accresciuta a tal segno da annullare in paragone
l’importanza di Mantova stessa, e da essere il baluardo, la piazza
d’armi, il palladio della potenza austriaca in Italia. Cosí dismessa
ogni altra impresa, ogni altra idea, ogni altro pensiero, avesse egli
assalito Verona seriamente, lentamente, destinandovi i mesi, gli anni,
qualunque tempo! Ma, sinceramente, era egli possibile ciò? Forse sí;
ma se mai, co’ due modi napoleonici: primo, lasciar dire, e ridur la
guerra a quell’impresa; secondo, minacciar di far fronte addietro,
contro ai perturbatori della patria. Ma non erano né dovevano essere
modi nostri. Vi pensi, sí, per un’altra volta, l’Italia. I campi di
guerra dati dalla natura non si mutano per andar de’ secoli; l’arte,
rinforzandoli, li fa anzi piú importanti. E da Mario e i cimbri,
o forse prima, fino [p. 137modifica]a noi, quel campo di Mincio ed Adige fu, è e
sará quello ove si combatterá, se mai, la causa nostra. Diavi allora
la patria campo libero, e senza disturbi a’ suoi soldati. Chi sta
al terribile ed onorato gioco dell’armi è suscettivo, concitabile,
iroso, e, se sia lecito dire, nervoso. Rispettate i combattenti, non
disturbateli; non meno che le loro ire, temete le loro svogliatezze;
serbate loro alacritá, lasciateli vincere una volta; e ricompensateli
poi, se vi paia, coll’ingratitudine. Non sará il primo esempio; ma
intanto voi sarete stati liberati. — Sei giorni appresso, Buonaparte
accerchiò Mantova [3 giugno]. Cosí collocato, die’ alcuni giorni, e
gli bastarono, ad assicurarsi, a spalla, degli Stati minori italiani.
Entrò a Modena [19], poi a Bologna, in Toscana [26]; gettò un presidio
a Livorno, e firmate tregue con Napoli e col papa, tornò dinanzi a
Mantova. Ivi egli era minacciato da un secondo e grande esercito
austriaco, che scendea sotto Wurmser per Tirolo, dai due lati del lago
di Garda. Al 29 furono assaliti i posti francesi. Al 31, quel giá sommo
de’ capitani moderni abbandonò l’assedio, si volse tutto alla guerra
campale; ed in sei dí, vincendo a Lonato [3 agosto] e a Castiglione
[5], rigettò Wurmser nelle Alpi tirolesi. Ma rifattovisi questo e
minacciando nuova discesa, di nuovo Buonaparte prese l’offensiva; e
combattendo dal 3 al 5 settembre, risalí Tirolo fino a Trento: poi, non
trovatovi Wurmser che scendea intanto per Val di Brenta, ve l’inseguí
con magnifica risoluzione, a Bassano, a Legnano, e lo ridusse a
buttarsi in Mantova [13]. Allora, libero di guerra campale, ricominciò
e spinse l’assedio. — Ma minacciava intanto dal Friuli Alvinzi con un
terzo esercito, la terza campagna austriaca dell’anno; bella costanza
da svergognare le debolezze italiane. Le virtú degli avversari son le
piú importanti a riconoscere, per prenderle e vincerle. Al 10 ottobre
Napoli, al 5 novembre Parma firmavan lor paci con Francia. Modena,
Bologna e Ferrara, occupate e sommosse da’ francesi, si dichiaravan
libere, formavano l’efimera repubblica cispadana [16 ottobre]. Il
medesimo dí, morto Vittorio Amedeo III, succedeva Carlo Emmanuele IV
figliuolo di lui, nel regno occupato ed asservito; nel regno che, egli
principe buono [p. 138modifica]e pio, tenne pochi anni poi, quasi una sventura, una
penitenza, una croce. Il dí 1º novembre Alvinzi passò la Piave, ed
in vari combattimenti respinse l’esercito francese sull’Adige, fece
pericolar la fortuna di Buonaparte. Ma a un tratto, questi scende da
Verona per la destra d’Adige, il passa, prende in fianco Alvinzi, lo
sconfigge ad Arcoli [15, 16, 17 novembre], e torna quindi all’assedio
di Mantova. Tal fu l’anno 1796, che rimarrá famoso sempre nella storia
militare, per l’arte innalzata al sommo dalla giovanile e meravigliosa
facoltá inventiva di Buonaparte. In Germania gli eserciti francesi
avanzati oltre Reno, erano sforzati a indietreggiare dall’arciduca
Carlo, e facevano una bella ritirata sotto Moreau; ed anche queste
operazioni e questi capitani sono gloriosi. — L’anno 1797 s’aprí con
una quarta discesa austriaca, una quarta difesa offensiva e nuove
vittorie di Buonaparte. Alvinzi ridiscendea dall’alto Adige, Provera
assaliva sul basso [12 gennaio]. Buonaparte corre al primo, e lo vince
a Rivoli [14]; corre al secondo giá arrivato alla Favorita dinanzi
a Mantova, e vince lui e Wurmser uscito dalla piazza, e prende il
primo, e fa rientrar il secondo [16]; ondeché questi, ridotto agli
ultimi, in breve capitolò [2 febbraio]. Ed ora, ad uno solito ed anche
buon capitano sarebbe paruto tempo di riposar l’esercito; ma non a
Buonaparte. Mossosi contra il papa, firmava [19 febbraio] la pace a
Tolentino, facendosi cedere (oltre Avignone) Bologna, Ferrara, le
Legazioni, trenta milioni. Poi, addí 10 marzo, moveva Joubert per il
Tirolo, Massena per la Ponteba, se stesso al Tagliamento, per finir la
cacciata degli austriaci dall’Italia, per passare d’Italia ad Austria,
quell’Alpi tante volte passate a rovescio; un esercito francese
doveva venirne a dar l’esempio. L’arciduca Carlo, il piú grande de’
capitani che abbiano combattuto Francia fino a Wellington, comandava
quel rinnovato e forte esercito austriaco che era il quinto da un
anno. Ma addí 16 Buonaparte vinse al Tagliamento, addí 19 all’Isonzo;
varcate l’Alpi, si trovava addí 31 a Klagenfurth, riunito con Massena,
presso a riunirsi con Joubert. Intanto, a sue spalle sollevavansi
contro a lui Bergamo [12], Brescia [17], Salò [24], Crema [28]; tutte
quelle popolazioni veneziane che la [p. 139modifica]vil repubblica non aveva sapute
usare contro all’invasore in faccia, che ora ella gli sollevava o si
sollevavano a spalle, opportunamente come poteva parer allora, piú
inopportunamente che mai, come si vide in breve. Buonaparte sentí il
pericolo, accresciuto dal non saper che gli eserciti francesi del
Reno avesser incominciate lor mosse; temé aver tutta Austria dinanzi,
tutta Italia addietro; propose negoziati [31]. Ma rifiutato, riavanzò
arditamente, combattendo a Unzmark [3 aprile], e fino a Leoben [7].
Allora Austria, minacciata al cuore, domandò essa l’armistizio. Fecesi
di cinque giorni. Finiva addí 13 al mattino; arrivarono in quel punto
i plenipotenziari austriaci a trattar pace. Trattossi altri cinque dí;
e firmaronsi i preliminari lí a Leoben, addí 17. Austria cedeva il
Belgio e il Milanese da rivolgersi in repubblica; doveva compensarsi
in Germania coi principati ecclesiastici da abolirsi, in Italia col
territorio di Venezia fino all’Oglio; rimanendo Venezia da compensarsi
colle Legazioni e Modena, cioè colla efimera repubblica cispadana:
stranissimo riparto della schernita Italia. Ma il dí prima de’
preliminari [17], che era un lunedí di Pasqua, anniversario de’ vespri
siciliani, sollevavasi Verona, facevansi vespri veronesi. Ridiscese
quindi il gran vincitore e mal pacificatore dall’Austria in Italia;
mandò sue minacce, suoi ordini, sua vendetta a Venezia, ed egli, con
stupenda arte di perfidia, si scostò dall’esecuzione, fu ad aspettarla
a Milano. Addí 12 maggio, in gran Consiglio, la vile aristocrazia
veneziana abolí se stessa, restituí, diceva, la libertá alla nazione,
cioè a una repubblica democratica, cioè a una municipalitá alla
francese. Questa chiamò gli stranieri addí 16. E, al medesimo dí,
le medesime condizioni, i medesimi patti pattuivansi in Milano, tra
i plenipotenziari veneti e Buonaparte! Talmente a cenni, a dito del
vincitore fu consumata quella distruzione d’uno Stato di mille anni.
Seguirono moti in Genova, per cui anche quella repubblica fu mutata da
aristocratica a democratica francese, e prese nome di «ligure»; moti
nella Valtellina contro a’ grigioni, per cui Buonaparte, fatto arbitro,
tolse quella provincia a’ grigioni e diedela alla repubblica cisalpina,
che stavasi, come si disse allora, organizzando. E seguirono negoziati,
dapprima di [p. 140modifica]pace generale in vari luoghi, e poi, rotti quelli, di pace
particolare tra Francia ed Austria presso a Campoformio; e Buonaparte
in persona li condusse, vi tiranneggiò Austria, Francia, Italia a modo
suo. Rigettato da Cobentzel il suo ultimatum, ruppe addí 16 ottobre;
e addí 17 fu accettato quello, e fattane pace definitiva. Francia
(giá accresciuta di Savoia, Nizza, Avignone) rimase accresciuta del
Belgio e della riva sinistra del Reno; e questi e gli altri ordinamenti
germanici rimandati legalizzare ed ultimare a un congresso futuro a
Rastadt. Venezia e la efimera repubblica cispadana sagrificate del
tutto; Austria compensata in Italia con Venezia e tutto suo Stato
(salvo l’isole) fino all’Adige. Una repubblica cisalpina (brutto
nome che sottintendeva «Francia») costituita a Milano, e formata di
Lombardia, Modena e le Legazioni. — Napoleone fu incontrastabilmente
il piú gran capitano di questo e molti, e forse tutti i secoli; e
l’anno non corso intiero, dall’11 aprile 1796 al 7 aprile 1797,
basterebbe a dargli tal vanto. Ma Napoleone fu, senza dubbio, mediocre
politico ad ordinare Stati internamente, pessimo ad ordinarli insieme,
a rifar quella carta d’Europa che egli tanto pur meditò e rimutò.
Negli ordinamenti interni, non badava a libertá, negli esterni, non
a nazionalitá; né in quelli né in questi, ai desidèri, ai voleri, al
potere dell’opinione universale. Nei tanti riordinamenti che fece
d’Europa, non badò mai a limiti, a schiatte, a lingue, a natura; non
ebbe mai l’idea, sola effettuabile durevolmente, di costituir nazioni.
Qui non pensò a costituir l’italiana che era pur sua, o del padre e
della madre sua: egli non vi lasciò solamente, vi accrebbe fin d’allora
la potenza austriaca; egli ve la stabilí in modo da far l’Italia
settentrionale campo inevitabile di nuove lotte tra Francia ed Austria,
campo di servitú alla prima di queste per pochi anni, alla seconda Dio
sa per quanti; egli fu il primo inventore degli ordinamenti del 1814
e 1815. Vero è che vi fu aiutato dall’incredibile stoltezza di quasi
tutta Italia, della rimbambita Venezia principalmente, e di quelle
popolazioni sollevatesi appunto appunto per autorizzar chi le voleva sacrificare.