<dc:title> Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Cesare Balbo</dc:creator><dc:date>1846</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Balbo, Cesare – Storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni, Vol. II, 1914 – BEIC 1741401.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Della_storia_d%27Italia_dalle_origini_fino_ai_nostri_giorni/Libro_quinto/14._Arrigo_III&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20240908073911</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Della_storia_d%27Italia_dalle_origini_fino_ai_nostri_giorni/Libro_quinto/14._Arrigo_III&oldid=-20240908073911
Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni - 14. Arrigo III Cesare BalboBalbo, Cesare – Storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni, Vol. II, 1914 – BEIC 1741401.djvu
[p. 162modifica]14. Arrigo III [1039-1056]. — A Corrado successe incontrastato oramai di lá
e di qua dalle Alpi il figlio di lui Arrigo III, il miglior forse della
casa Ghibellina. Fece subito pace con Ariberto; e pare che una pure ne
seguisse tra questo e i valvassori o mottesi. Ma rinnovatisi i turbamenti
[1041], fu cacciato l’arcivescovo co’ capitani o nobili principali; mentre
rimasero riuniti in cittá i mottesi e il popolo sotto uno di essi o de’
capitani, seguíto forse da altri. Il quale si chiamava Lanzone, e merita
essere nominato qui, perché diede uno de’ piú santi esempi rammentati da
nostra storia; un esempio che dicesi imitato a’ nostri dí in modo piú puro
ancora, e da un uomo anche piú grande. Stretto Lanzone una volta
dall’arcivescovo e dai capitani, fu a Germania, ed ebbe da Arrigo promessa
d’un forte aiuto. Ma ripatriato persuase i cittadini, mottesi e grandi, a
non aspettarlo, a far accordo tra sé, a depor l’armi civili prima che
giungessero le straniere [1044]. E cosí in quella Milano, che fu (e il
vedremo dimostrato nell’etá seguente) modello alle costituzioni libere
delle cittá lombarde, trovasi questa cosí avanzata fin d’ora, che si
potrebbe quasi dire compiuta; se non che, quanto piú studiammo questa
materia, tanto piú ci parve non doversi dire veramente compiuta, se non
quando, al fine del presente secolo, fu istituito il governo de’ consoli. E
quindi diremo questo se non piú che nuovo passo fatto a tale costituzione.
Ma osserveremo intanto, che ei fu fatto far qui, e
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indubitabilmente pure in
tutte le altre cittá, dalla riunione di tutte le classi o condizioni di
cittadini, de’ grandi o capitani, de’ medii o valvassori o mottesi o
semplici militi, e de’ popolani grassi, come si dissero allora, e si
direbbono ora borghesi, e de’ popolani minori delle «gilde» od arti
diverse. Perciocché questo appunto fu accennato dalla parola di «comune» o
«comunio», la quale fin d’ora si vien trovando qua e lá; quest’unione o
comunione o fratellanza delle classi, fu quella che fece la libertá, la
forza, la grandezza, l’eroismo, la gloria delle cittá italiane, finché
durò; fu quella che, cessando poi, lasciolle deboli, impotenti, abbandonate
ad ogni preponderanza e prepotenza straniera. Se io avessi trovato, che la
libertá comunale, gloria dell’etá seguente, fosse dovuta ad una delle
classi cittadine esclusivamente, io avrei adempiuto al dovere ingrato di
dire tal veritá. Ma la veritá, grazie a Dio, ricomincia qui finalmente ad
esser bella a dire; ed è, del resto, veritá trita, montando a ciò, insomma,
che la forza è sempre fatta dall’unione. — Morí Ariberto l’anno appresso
[1045]; men lodevol prelato che non gran signore feodale, ei ci ritrae la
condizione di quasi tutti quei vescovi, abati ed uomini di chiesa di
quell’etá. Disputatane la successione, rimase eletto, benché ingrato al suo
popolo, Arialdo d’Alzate notaio d’Arrigo III. Il quale (conseguenza
dell’esser diventati veri feudi le sedi ecclesiastiche) piú che mai
s’immischiava nelle loro elezioni; e in quella principalmente della Sedia
romana, considerata oramai dagli imperatori quasi sommo di que’ feudi,
mentre quella Sedia pretendeva talora, esser l’imperio quasi feudo della
Chiesa romana. A comporre tutto ciò scese dunque Arrigo III nel 1046. Passò
a Milano, venne a Roma. Dove durava, od anzi era giunta al suo estremo, la
corruzione sotto Benedetto IX, terzo di que’ papi della casa dei conti di
Tusculo, discendenti di Teodora, Marozia ed Alberico: nella quale, se il
papato fosse ufficio soggetto alle semplici probabilitá umane, esso avrebbe
potuto farsi cosí ereditario. Giovane od anzi adolescente, dissoluto e
scellerato, Benedetto non fu sofferto da’ romani, che gli contraposero per
poco un Silvestro III, poi Gregorio VI, un pio e sant’uomo; dal quale [p. 164modifica]
fin d’allora trovasi innalzato nella curia romana quell’Ildebrando, che dominò
non essa sola, ma tutta la sua etá quasi sempre d’allora in poi. — Ma,
giunto ora Arrigo e convocato un concilio, Gregorio depose il pontificato,
e con Ildebrando si ritrasse a Cluny in Francia; e deposti gli altri due,
fu eletto Clemente II, un tedesco, a cui succedettero altri poi (giustizia
a tutti) tutti buoni. Cosí finí lo scandalo dei papi Tusculani e degli
altri corrottissimi, per l’intervenzione imperiale; ondeché non s’oserebbe
dir qui il rimedio peggior che il male, se non fosse che quella
intervenzione era stata causa essa stessa delle cattive elezioni e della
corruzione; e non fu dunque qui se non caso buono di pessima usanza. Ad
ogni modo, fattosi incoronar Arrigo, fece la solita punta a Capua e
Benevento, e poi per Verona risalí a Germania [1047]. Morí nel medesimo
anno Clemente II, dopo aver fatto contro alle elezioni simoniache uno di
que’ decreti pontificali, che incominciarono la riforma della Chiesa. E
risalí poi Benedetto IX il Tusculano; ma fu tra breve ricacciato da Damaso,
un secondo tedesco. Il quale pur morto, successe un terzo, Leone IX, eletto
in Germania, che passando a Cluny, s’abboccò con Ildebrando, trasselo seco
a Roma, dove per consiglio di lui si fece rieleggere canonicamente. E con
tal consiglio pontificò poi gloriosamente, e incominciò e proseguí quelle
due guerre ecclesiastiche contro alla simonia ed al concubinato, e quella
temporale contro ai principi beneventani, che furono poi tre delle opere
maggiori d’Ildebrando stesso. E in una di queste guerre [1053] rimase il
papa alcun tempo prigione de’ normanni. Morto [1054] il quale, andò
Ildebrando a Germania, a combinare l’elezione del successore, che fu
Vittore II, un quarto tedesco. — L’anno appresso [1055] scese Arrigo III
contra Goffredo di Lorena, giá suo nemico colá, e che avendo testé sposata
Beatrice vedova di Bonifazio marchese di Toscana, ed avendo un fratello
cardinale, era diventato potente in Italia. Arrigo dunque fece prigione o
statica Beatrice, sforzò Goffredo ad uscir a Francia, e il cardinale a
chiudersi in Montecassino. E risalito egli stesso in Germania, vi morí
l’anno appresso 1056.