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della signoria degli imperatori e re |
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indubitabilmente pure in
tutte le altre cittá, dalla riunione di tutte le classi o condizioni di
cittadini, de’ grandi o capitani, de’ medii o valvassori o mottesi o
semplici militi, e de’ popolani grassi, come si dissero allora, e si
direbbono ora borghesi, e de’ popolani minori delle «gilde» od arti
diverse. Perciocché questo appunto fu accennato dalla parola di «comune» o
«comunio», la quale fin d’ora si vien trovando qua e lá; quest’unione o
comunione o fratellanza delle classi, fu quella che fece la libertá, la
forza, la grandezza, l’eroismo, la gloria delle cittá italiane, finché
durò; fu quella che, cessando poi, lasciolle deboli, impotenti, abbandonate
ad ogni preponderanza e prepotenza straniera. Se io avessi trovato, che la
libertá comunale, gloria dell’etá seguente, fosse dovuta ad una delle
classi cittadine esclusivamente, io avrei adempiuto al dovere ingrato di
dire tal veritá. Ma la veritá, grazie a Dio, ricomincia qui finalmente ad
esser bella a dire; ed è, del resto, veritá trita, montando a ciò, insomma,
che la forza è sempre fatta dall’unione. — Morí Ariberto l’anno appresso
[1045]; men lodevol prelato che non gran signore feodale, ei ci ritrae la
condizione di quasi tutti quei vescovi, abati ed uomini di chiesa di
quell’etá. Disputatane la successione, rimase eletto, benché ingrato al suo
popolo, Arialdo d’Alzate notaio d’Arrigo III. Il quale (conseguenza
dell’esser diventati veri feudi le sedi ecclesiastiche) piú che mai
s’immischiava nelle loro elezioni; e in quella principalmente della Sedia
romana, considerata oramai dagli imperatori quasi sommo di que’ feudi,
mentre quella Sedia pretendeva talora, esser l’imperio quasi feudo della
Chiesa romana. A comporre tutto ciò scese dunque Arrigo III nel 1046. Passò
a Milano, venne a Roma. Dove durava, od anzi era giunta al suo estremo, la
corruzione sotto Benedetto IX, terzo di que’ papi della casa dei conti di
Tusculo, discendenti di Teodora, Marozia ed Alberico: nella quale, se il
papato fosse ufficio soggetto alle semplici probabilitá umane, esso avrebbe
potuto farsi cosí ereditario. Giovane od anzi adolescente, dissoluto e
scellerato, Benedetto non fu sofferto da’ romani, che gli contraposero per
poco un Silvestro III, poi Gregorio VI, un pio e sant’uomo; dal quale