Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni/Libro quinto/15. Arrigo IV

15. Arrigo IV

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15. Arrigo IV [1056-1073]. — Un tedesco ed acatolico, ma robusto e sincero scrittore di storia italiana, giudica cosí Arrigo IV, e con lui gli altri imperatori e re di casa Ghibellina: «Proprio di quella casa fu il farsi lecito ogni mezzo di potenza. Tuttavia Corrado e i due Arrighi III e V ebbero forte volontá, coraggio e vasto ingegno; Arrigo IV, all’incontro, giunse d’una in altra stravaganza giovanile ad ogni sfrenatezza, all’ultima indifferenza tra mezzi buoni o cattivi»1. Succedette anch’egli senza contrasto colá e qua. Ma fanciullo di sei anni, la tutela di lui fu prima di Agnese sua madre, poi di Annone arcivescovo di Colonia, uno zelante anzi austero prelato, poi di Adelberto di Brema tutto diverso, i quali ei prese in ira a vicenda, e con essi forse ogni uom di chiesa. D’anni quindici [1065], fu dichiarato maggiorenne; d’anni diciassette disposato a Berta figliuola di Odone di Savoia e d’Adelaide di Torino; erede quello della potenza nuova de’ conti di Savoia, questa dell’antica dei conti e marchesi di Torino; padre e madre amendue di que’ principi alpigiani, che si vedono giá grandi fin d’allora in Italia, che veggiam ora riunire con felici auspizi tutta l’antica Liguria, tutta l’Italia occidentale. Ma il giovane corrottissimo disprezzò, e, se si creda a’ contemporanei, vituperò infamemente la sposa fin dal 1069. Tentò ripudiarla, ma ne fu impedito, tra per la paura di Rodolfo duca di Svevia che aveva a moglie un’altra Savoiarda sorella della misera regina, e l’intervenzione di Pier Damiano, un altro zelante e santo prelato lá mandato dal papa, e per la dolce e sofferente virtú della giovinetta essa stessa. Ma si rivolse poi colá in Germania contro l’inviso cognato di Svevia, e contro a’ sassoni ribellati per suo mal governo, e contra un duca di Baviera pur ribellato o temuto ribellarsi; e spogliò questo del ducato, e diedelo a Guelfo, congiunto in qualunque modo dello spogliato, italiano ad ogni modo e di casa d’Este; il quale fu cosí stipite di quegli Estensi tedeschi che tennero poi e tengono tanti troni settentrionali, di quegli Estensi o Guelfi che, cosí innalzati dalla casa Ghibellina, [p. 166 modifica] furono poi gli emuli di essa, e diedero il nome a tutti gli avversari di essa. — L’Italia intanto, mentre tutto ciò si travagliava in Germania, rimaneva, non tranquilla, ma abbandonata a sé, a’ propri destini; e vi si avanzava in Roma, in Toscana, in Milano, che furono i tre fomiti delle crescenti libertá italiane; il primo delle ecclestiastiche, il secondo delle feudali, il terzo delle cittadine. Morto Vittore II nel 1057, fu eletto, e prese nome di Stefano IX, quel fratello che dicemmo di Goffredo di Lorena, il marito di Matilde, restituito allor duca di Toscana; e fu un altro buono di que’ papi tedeschi, e piú potente che gli altri. Perciocché questi duchi toscani erano sempre venuti crescendo in tutto il presente secolo, e di parecchi di essi si narrano pompe, sfarzi, ricchezze meravigliose, e che parrebbero incredibili in quell’etá; se non fosse che, signori supremi essi di Pisa, ma mezzo libera questa, e operosa oltre ogni altra cittá contemporanea in traffichi e navigazioni, fu naturale che se ne accrescessero in qualunque modo le ricchezze di que’ Bonifazi antenati di Beatrice e Matilde. E dicesi anzi che Stefano IX disegnasse far il fratello re d’Italia indipendente, e giá ne trattasse a Costantinopoli; ma morí pur troppo, egli il papa, l’anno appresso 1058. — Succedette Nicolò II, italiano, vescovo di Firenze, eletto dunque, come pare, per la medesima grande influenza toscana. Ed egli pure avanzò l’opera della riforma dei simoniaci e dei concubinari, e quella insieme delle libertá ecclesiastiche. Egli fu che in concilio diede a’ paroci, o «preti cardinali», della cittá di Roma la elezione de’ papi, i quali cosí non rimasero piú se non da acclamarsi o confermarsi dal rimanente clero o popolo romano e poi dagli imperatori. E trattando e guerreggiando intorno a Roma ed in Puglia, accrebbe la Sede; e die’ la mano in Lombardia a’ vescovi di Vercelli, di Piacenza ed altri zelanti o riformatori, ed ai popoli sollevatisi via via per la riforma, contro ai vescovi di Milano, di Pavia, d’Asti ed altri che vi resistevano, od erano di fatto o nell’opinione simoniaci. Tanto cresceva e poteva giá quest’opinione popolare, la quale se non si trova cosí chiaramente espressa nella storia de’ secoli oscuri come degli splendidi, in quelli pure si manifesta [p. 167 modifica] a chi non isdegni cercarla. Il piú ardente poi di questi secolari aiutanti alla riforma fu Erlembaldo di Milano; il quale dicesi vi fosse acceso per una offesa fatta all’onor di sua donna da uno degli ecclesiastici corrotti. Venuto a Roma per aiuti, vi trovò morto giá papa Nicolò II [1061], e succedutogli Anselmo da Bagio uno degli zelanti milanesi, giá vescovo di Lucca, or papa Alessandro II. Il quale, tra per queste aderenze di Lombardia e Toscana, e il men breve pontificato, e la propria fortezza, e i conforti d’Ildebrando sempre piú grande nella curia romana, fu immediato e degnissimo predecessore, nel tempo di Gregorio VII, nel nome di Alessandro III, del piú grande e del piú italiano fra’ papi. Eletto nella nuova e piú libera forma, e sia che trascurasse o no la conferma imperiale, non fu riconosciuto dalla parte tedesca, che gli oppose Cadaloo vescovo di Parma. Quindi a complicarsi in tutta Italia le parti dei due, e dell’imperio e delle cittá, e degli zelanti e de’ nemici della riforma, e d’italiani e tedeschi, e duchi di Toscana e Normanni di Puglia, fino al 1066, che per opera di Annone di Colonia e d’Ildebrando fu deposto Cadaloo. Crebbe piú che mai la parte papalina poco appresso [1069] per le nozze di Matilde, la giovane e ricca figlia di Beatrice, con Goffredo Lorenese, figlio del marito di questa e successore di lui nel ducato di Toscana. Se non che, deforme e dappoco costui, non par che fossero felici e non furono feconde tali nozze; e Goffredo fu piú sovente a sua Lorena che non in Italia, dove rimase e poté poi molto Matilde. Finalmente, se non prima, certo al principio del 1073, papa Alessandro si rivolse a comporre le cose di Germania peggio che mai sconvolte. Venuti di lá lo zelante Annone con due altri arcivescovi tedeschi, ei li ricevette a Lucca, presso alle sue alleate, le due grandi contesse; e forte di tal aiuto, e di quello dell’opinione italiana, e del grande accrescimento preso da venticinque anni dalla potenza papale, rinnovò ed oltrepassò l’esempio de’ papi giudici de’ re Carolingi. Rimandando a Germania gli arcivescovi tedeschi, citò a render conto degli atti simoniaci e degli altri misfatti Arrigo imperatore eletto, re di Germania e d’Italia. Cosí s’aprí la gran contesa dell’Imperio e della Chiesa. [p. 168 modifica] E morendo poco dopo [1073] papa Alessandro II, lasciolla in retaggio a un successore degno, anzi maggiore, di lui.


Note

  1. Leo, 1, 406, ediz. tedesca.