Della moneta (1788)/Capitolo X

Capitolo X - Delle leggi che vietano l’estrazione delle monete

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Capitolo X - Delle leggi che vietano l’estrazione delle monete
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CAP. X.

Delle leggi, che vietano l’estrazione delle Monete.


N
Acquero queste leggi dalla scarsezza del danaro. Si è creduto che tale scarsezza provenisse dalla troppo facile uscita delle monete nazionali, e che si potesse restituir l’abbondanza col solo proibirne l’estrazione. Una tal legge tanto più sembrò opportuna, quanto erano migliori le monete nazionali. Era però facile osservare, che la sola bilancia del commercio è la cagione d’abbondanza o di scarsezza di denaro, perchè ove il commercio è attivo, forz’è, che si accresca sempre la quantità del danaro, e che scemi ove è passivo. La bontà delle monete non può mai essere alle [p. 49 modifica]medesime cagione d’uscita, quando ne sia libera l’estimazione. Sendo esse in equilibrio, secondo i giusti rapporti di peso e di titolo, colle altre monete, non vi sarà mai alcun vantaggio ad estrarre da una Nazione piuttosto le monete buone, che le cattive, ossia a portarvi monete cattive per estrarne le buone, quando il commercio sia in bilancia. Ma dove il commercio è passivo non si potrà a meno, che n’esca una quantità di denaro, e non v’è legge alcuna, che possa impedire quest’estrazione. Se lo stato fosse circondato tutto da un forte muro (diceva un gran Ministro di Francia) e che vi fosse in questo un sol buco sortirebbe per esso il danaro. Ma supposto ancora, che la legge potesse a forza di vigilanza e delle più severe perquisizioni ottenere il suo effetto, non ne avverrebbe che danno alla Nazione. Il commercio passivo è cagione di cambio svantaggioso, e quand’anche fosse in appresso restituita la bilancia del commercio pel valore eguale delle merci introdotte ed estratte, però finchè sussiste un anterior debito, il cambio sempre dev’essere svantaggioso, nè si potrà altrimenti togliere questo svantaggio, come insegnano concordemente gli Economisti, se non pagando il debito con effettivo danaro, il che non si potrà mai fare durante la legge che ne vieta [p. 50 modifica]l’uscita. È vero, che il cambio passivo, come fu osservato da valenti Scrittori, non può durare lungamente in una Nazione, ma si deve rimettere in bilancia. Ciò però in due guise succede, o perchè la Nazione passiva accresce la copia delle sue produzioni da mandare agli stranieri, o perchè si diminuisce, si spopola, e cade in un vero languore e deperimento. Ora stante la proibizione di estrarre denaro egli è ben più facile che si rimetta la bilancia del commercio per la seconda via, che per la prima, mentre tutte le leggi che imbarazzano il commercio, e che conservano il cambio svantaggioso, non sono atte giammai a rinvigorire l’industria, e tendono manifestamente alla miseria ed alla rovina della Nazione1.

Ho supposto che fosse vietata indifferentemente l’estrazione del danaro, il che veramente non è molto in uso, costumandosi solamente di proibire [p. 51 modifica]l’uscita delle proprie nazionali monete. Ma sarà facile l’osservare, che o sarà inutile la legge, anche così limitata, o produrrà i medesimi effetti. Essendo una Nazione in istato di commercio passivo pagherà il suo debito alle altre Nazioni colle monete straniere che possiede. Pagato il debito, o resterà in bilancia il commercio, o sarà attivo, o sarà ancora passivo. Se sarà in bilancia, o se diverrà attivo, è inutile vietare l’estrazione delle monete Nazionali, le quali o non esciranno, o non saranno cambiate che con altre monete realmente equivalenti, senz’alcun danno della Nazione. Se il commercio sarà ancora passivo, chiara cosa è, che sarà la Nazione nel medesimo caso che si è esposto poc’anzi delle triste conseguenze del cambio svantaggioso.

Dove sono assegnati per legge alle monete sproporzionati valori, e principalmente dove le monete erose sono valutate assai più che non meritano, molte monete erose contrafatte, simili alle Nazionali, verranno da fuori, ed esporterannosi le monete nobili nazionali. Si è creduto impedire questo disordine col proibire l’estrazione dei metalli nobili. Ma anche in questo caso la legge non può avere il suo effetto senza rovina della Nazione. Introducasi, per cagion d’esempio, un millione [p. 52 modifica]in monete erose contrafatte, se non sarà possibile estrarre un millione in monete nobili, si comprerà colle erose quella quantità di merci che a tal somma corrisponde, e tali merci esciranno per compensare le monete erose introdotte. Dunque sarà tanto minore la copia delle merci nazionali, che deve compensare la quantità delle merci che s’introducono da fuori. Dunque ne resterà tanto più passivo il commercio: il che vuol dire, riducendo la cosa a più semplici termini, che non potendosi estrarre per un millione di monete nobili in compenso del millione introdotto in monete erose, s’accrescerà d’un millione il debito della Nazione, ed essa avrà in vece acquistato per esempio 600,000 lire in valor reale delle monete erose introdotte, cosicchè sarà accresciuto il debito di lei, ossia la passività del suo commercio, di 400,000 lire. Quindi di nuovo tutte le funeste conseguenze del cambio svantaggioso.

La fabbricazione delle monete nobili può essere dispendiosa all’Erario del Principe, come farò vedere in appresso. Allora l’uscita delle medesime dallo Stato, obbligando continuamente il Principe a rifabbricarne delle nuove, potrebbe determinarlo per proprio risparmio a proibirne l’estrazione. Farò vedere a suo luogo, che in simil caso farebbe [p. 53 modifica]meglio il Principe ad astenersi dal fabbricare monete. Ma per quanto riguarda il presente argomento osservo, che se il commercio della Nazione sarà passivo, l’estrazione delle Nazionali monete non si potrà impedire senza peggiorare il cambio, come ho mostrato di sopra; se il commercio sarà in bilancia o sarà attivo, basterà al Principe ricusare pe’ tributi ogn’altra moneta che la propria, per conservarne sempre una sufficiente quantità nello Stato, e non esser forzato a coniarne frequentemente della nuova.

Finalmente il pensiero di dare un buon regolamento alle monete, ovvero di assoggettarle più sicuramente all’arbitrio della Legge, ha fatto nascere ii progetto di rompere ogni commercio fra le monete nazionali e le forastiere, prescrivendo insieme che non possano entrare monete straniere nello Stato, nè uscirne le nazionali. Si sono destinati ai confini dello Stato dei pubblici cambiavalute, i quali dessero a’ Forastieri ch’entrano, monete nazionali in cambio delle straniere, e a quelli ch’escono, monete forastiere in cambio delle nazionali. Si è creduto in tal guisa di sottrarre le monete nazionali delle influenze del commercio esterno, di ridurle al puro uso di rappresentare i generi nel commercio interno; e per conseguenza di poter dare alle [p. 54 modifica]medesime un buono ed inalterabile regolamento, ed assegnar loro qualunque valore si voglia con profitto dell’Erario e senza discapito della Nazione. Ma quanto vano sia questo progetto, oltre all’esperienza lo mostra la natura stessa della moneta, che non può mai esser disgiunta dalla condizione dei generi nell’esterno commercio, cosicchè non è possibile che vi sia commercio esterno di generi, e che dalle leggi di questo commercio venga sottratta la moneta. In fatti i Mercatanti stranieri considerano quanta massa d’oro in moneta corrisponde ai generi che vendono o che comprano, e secondo questa quantità vien necessariamente regolato ogni commercio. Poco importa che il Principe obblighi i suoi sudditi a dare un tal nome piuttosto che un altro alle sue monete, e a valutarle quante lire egli vuole. Non lasceranno perciò queste monete di corrispondere ora ad una maggiore, ora ad una minor copia di generi, secondo le venture del commercio, che vuol dire d’esser perpetuamente variabili nei loro valori. Ma quel che importa molto si è, che se il Principe sotto al riparo della legge, che vieta l’introduzione delle monete straniere e l’escita delle nazionali, assegnasse alle proprie monete dei valori non corrispondenti ai veri rapporti delle medesime, s’indurrebbe facilmente in [p. 55 modifica]errore la Nazione, e principalmente il minuto popolo, cui sembrerebbe lo stesso avere dieci lire in moneta di rame, che in moneta d’argento o d’oro, e di tal errore si approfitterebbero tanto più alcuni pochi negozianti sì nazionali che forestieri a gravissimo danno della Nazione; danno, che ripiomberebbe necessariamente sull’Erario stesso del Principe.

I pubblici cambiavalute posti ai confini saranno facilmente allettati da un grosso profitto a negoziare sulle monete; poco temendo il rigor d’una legge contraria, cui non v’è forte diligenza bastante per farla osservare. Prescindendo anche da ciò, se questi cambiavalute osserveranno per ordine del Principe i giusti rapporti tra le monete nazionali e le straniere, saranno evidentemente inutili, se faranno il cambio a profitto del Principe, ciò si risolverà in un dazio d’introito e d’uscita pel denaro di cui parlerò fra poco. Ricordo qui solo, prima di finir questo articolo, ciò che ho detto al principio, e che importa assaissimo d’aver sempre presente al pensiero, cioè che non v’è legge alcuna atta ad impedire l’estrazione del denaro, qualunque volta la natura del commercio la richiegga.

Note

  1. Fu già avvertito dal Locke, che dove è vietata l’estrazione del danaro, se il commercio sia passivo si fonderanno le monete per pagare il debito cogli stranieri in argento massiccio, che non si potrebbe senza delitto pagar in denaro. Quindi vedesi chiaramente che o la legge che vieta l’estrazion del danaro sarà inutile, ove sia impunemente violata, ovvero promoverà la fusione delle monete, e per conseguenza aggraverà le spese della Zecca per la rifabbricazione delle medesime, come si vedrà in appresso; e sarà pur anche in questo caso vana ed inutile, facendosi egualmente la diminuzione della moneta nazionale, comunque esca dallo stato coniata o fusa.