Della moneta (1788)/Capitolo VI

Capitolo VI - Non sono d’alcun vantaggio all’Erario le leggi, che fissano il valore numerario delle monete

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Capitolo VI - Non sono d’alcun vantaggio all’Erario le leggi, che fissano il valore numerario delle monete
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CAP. VI.

Non sono d’alcun vantaggio all’Erario le leggi, che fissano il valore numerario delle Monete.


N
On si può mettere questa importantissima verità in tutta la sua luce senza distinguere varie supposizioni, e di ciascuna partitamene ragionando mostrare, che, o non recano le tariffe quel profitto all’Erario che la politica de’ passati tempi si prometteva, o lo recano per una via indiretta assai più pregiudizievole, che non sono le nuove imposizioni e gli accrescimenti degli antichi tributi.

Siavi per prima ipotesi una Nazione, in cui il valore numerario delle monete non sia fissato da alcuna tariffa, ma sia abbandonato al corso libero del commercio. Se i tributi e gli stipendj saranno fissati in valori numerarj, e non in monete effettive, ogni volta che si accresca il numerario, scemerà la quantità delle monete che riceverà il Principe dai tributi, e quella che sborserà per gli stipendj. Ma le spese che farà il Principe pel mantenimento della sua Corte, ed una quantità di piccoli salari, che corrispondono esattamente al puro [p. 31 modifica]bisogno dei salariati, richiederanno la medesima quantità di monete che richiedevano prima, ossia dovrà crescere il numerario in proporzione, e per le spese, e pei salarj di necessità che dispensa il Principe. Tali sono principalmente quei delle truppe, i quali non possono soffrire quell’intrinseca diminuzione, che soffrono frequentemente (come ho mostrato nel Capo 4.) i giornalieri stipendj degli operaj. La ragione si è che trovano con difficoltà i Principi, onde compire le loro truppe, e i soldati mutano facilmente servizio, quando sperano un migliore stipendio. Pertanto non è sperabile, che soffrano la diminuzione dello stipendio cui erano avvezzi. E ciò per quanto riguarda quella porzione di stipendio, che loro dassi in denaro; mentre la maggior parte, che consiste in pane, vestito, armi ec. si vede evidentemente che tutta deve crescere, crescendo il valore numerario delle monete. Ora si sa che la spesa delle truppe è il più forte articolo delle Finanze. Dunque essendo nella detta supposizione scemata la quantità delle monete ch’entrano nell’Erario, e non essendo scemata la quantità delle monete ch’esce per le spese e pei salarj di necessità, ma quella solo che si distribuisce negli stipendj gratuiti capaci di qualche diminuzione, chiara cosa è, che l’Erario del Principe [p. 32 modifica]avrà sofferto danno dall’accresciuto valore numerario delle monete. Ho già detto di sopra che i numerarj valori delle monete sono inclinati al crescere. Sarà tanto più forte questa inclinazione quando l’accrescimento porti una diminuzione della quantità reale dei tributi. Dunque una tariffa, che determini il valore numerario delle monete risparmierà all’Erario questo danno, il che sembra contrario alla tesi in fronte a questo capo stabilita.

Ma si osservi, che il danno dell’Erario in questa supposizione si deve meno attribuire alla libertà delle monete, che al cattivo regolamento dei tributi e degli stipendj. Non è egli più naturale e più giusto fissare gli stipendj e i tributi in monete effettive che in lire? Allora i cambiamenti dei valori numerarj non interessarebbero più nulla l’Erario del Principe. Dirà taluno, che certi tributi si riscuotono in picciolissime monete, e non si può a meno di fissare tante lire, tanti soldi, tanti denari per una tal porzione di terra, per una tale capitazione, una tale introduzione di merci, una tale consumazione ec. Rispondo, che adottandosi il sistema monetario, che proporrò in appresso svanirà questa difficoltà. Ma senza ricorrere a quello, può il Principe fissare un valore numerario alle monete che riceve pei tributi, e a quelle che dispensa [p. 33 modifica]agli stipendiati senza prescrivere i valori delle monete in commercio. Farà così una tariffa d’economia pel proprio uso, come la fanno i Negozianti per l’uso del commercio esterno, e conserverà a’ suoi tributi una quantità costante di monete. Penso però, che questa privata tariffa dovrebbe ristringersi ad una moneta sola delle più comuni, per esempio allo scudo effettivo d’argento, talchè essendo questo fissato dalla tariffa privata del Principe, per esempio, a sei lire, il valore delle altre monete tutte s’intenda per uso della regia Cassa così determinato, ch’abbia quel rapporto al valore di Cassa dello scudo, cioè a sei lire, che trovasi fra i valori correnti delle altre monete, ed il valor corrente dello scudo. La ragione di questo pensiero si è, che se volesse il Principe nella tariffa di sua privata economia determinare il valore di varie monete, essendo i rapporti delle medesime necessariamente variabili fra di loro, come ho mostrato nel Capo II. la tariffa privata del Principe, o si dovrebbe mutare continuamente, o non seguirebbe spesse volte i rapporti, che trovansi nei valori reciproci delle monete.

Ho mostrato, che dalla libertà dei valori numerarj in commercio non viene recato alcun danno all’Erario, quando siano ben regolati i tributi [p. 34 modifica]e gli stipendj. Fingiamo ora, che con una nuova tariffa venga accresciuto, o diminuito il valore numerario d’alcuna moneta relativamente alle altre, e vediamo quale profitto caverà l’Erario in questa seconda supposizione. Non vedo cosa possa altro sperare il Principe, che di accrescere la quantità delle monete nel suo Erario, o quando vengano pagati i tributi con quelle specie di monete, il cui valore numerario sarà stato scemato nella nuova tariffa, ovvero prevalendosi per pagare gli stipendj di quella specie di moneta, il cui numerario sarà stato dalla nuova tariffa innalzato. Ma facil cosa è prevedere, che tutti pagheranno i tributi con quella moneta, che avrà acquistato un numerario maggiore, e giammai con quella cui è stato diminuito: onde resteranno necessariamente deluse le speranze d’impinguare con un tal mezzo l’Erario.

Passiamo ora ad una terza supposizione, cioè che il Principe con nuova tariffa diminuisca in giusta proporzione il valore numerario di tutte le monete. Essendo i tributi e gli stipendj fissati in numerario si vede chiaramente, che la quantità vera de’ tributi e degli stipendj crescerà per quest’operazione, senza che cresca la quantità delle spese. Sia la somma de’ tributi 110. millioni di lire, quella dei salarj 55. millioni, ed altrettanti quella delle [p. 35 modifica]spese. Fingiamo che fosse valutato lo Zecchino 11. lire, e che per la nuova tariffa sia stato determinato a 10. e così tutte le altre monete in proporzione. Dopo questa tariffa non basteranno più 10. millioni di Zecchini per pagare i tributi, ma ce ne vorrà 11. Per pagare 55. millioni di salarj non basteranno più come prima 5. millioni, ma ci vorranno 5. millioni e mezzo. Ma si faranno egualmente con cinque millioni tutte le spese che si facevano prima. Resta adunque di profitto per l’Erario un mezzo millione di Zecchini. Questo profitto si potrà far ascendere anche a un millione intiero, diminuendo tutti i salarj nella medesima proporzione, in cui fu diminuito il numerario delle monete. Ma se per avventura la sola somma de’ salarj fosse eguale alla somma de’ tributi, sia a motivo del disordine delle Finanze, sia perchè fossero tutte le spese ridotte a forma di salarj, come avviene a que’ Principi, che danno ad impresa il mantenimento delle truppe, delle fabbriche, della propria casa ec., allora non vi sarebbe più alcun vantaggio nella diminuzione dei valori numerarj, ed ove gli stipendj superassero i tributi vi sarebbe una positiva perdita, a meno, che non si riducessero a minor numerario gli stipendj. Da questa esposizione si potrà facilmente conoscere, che tutto il [p. 36 modifica]preteso profitto dell’Erario non sarà mai cagionato, che indirettamente, dalla nuova tariffa, essendo effetto del metodo di regolare i tributi, e gli stipendj in valori ideali o nominali, e non in valori veri. Questa nuova tariffa non è dunque altro in fondo, che una nuova imposizione, richiedendosi per i tributi 11. millioni di Zecchini, quando prima non se ne richiedeva che 10. Quando la politica malvagia o ignorante disgiungeva l’interesse de’ Principi dal bene della Nazione, e metteva il Principe co’ sudditi in uno stato di sorda guerra, poteva essere plausibile il pensiero di palliare le nuove imposizioni colla monetazione. Ora che sanno i Sudditi, che non s’impongono loro nuovi tributi, che pei veri bisogni della Nazione, e che hanno tutta la confidenza nella bontà de’ loro Principi, non v’è d’uopo di simili sottigliezze rovinose alla Nazione ed al commercio, e si potrà francamente accrescere, quando bisogna, le imposizioni, senz’alterare i valori delle monete1.

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Coi medesimi principj, e con simili calcoli si mostrerà l’inutilità delle tariffe, ove per ultima ippotesi accrescessero il valore numerario proporzionalmente di tutte le monete. Sia la somma de’ tributi 110. millioni di lire, la somma delle spese 55. millioni, e quella de’ salarj altri 55. millioni. Lo Zecchino, che correva 10. lire sia dalla nuova tariffa innalzato ad 11., e così tutte le monete in proporzione. Avverrà, che con 10. millioni di Zecchini si pagherà tutta la somma de’ tributi, per cui si richiedevano prima 11. millioni. Si pagheranno parimenti i 55. millioni di salarj con soli cinque millioni di Zecchini, e non con cinque e mezzo come prima; ma le spese richiederanno, niente meno che prima, cinque millioni e mezzo, per quella ragione, ch’è stata abbastanza spiegata in addietro. Sarà dunque la totale uscita del Principe 10. millioni e mezzo di Zecchini, e l’entrata 10. soli millioni, onde avrà discapitato l’Erario d’un mezzo millione di Zecchini. Se però tutte le spese fossero regolate in forma di salario, ovvero la somma di tutti i salarj, nel più ampio significato di questa parola, eguagliasse i tributi, non vi sarebbe più discapito; se i salarj superassero i tributi, vi sarebbe un profitto proporzionale all’eccesso dei salarj sopra i tributi. Ma questo profitto non è [p. 38 modifica]altro in sostanza, che una diminuzione di quantità reale ai salarj. Potranno forse soffrire una tale diminuzione quelli che godono alti stipendj, pensioni ec., ma non la potranno soffrire coloro, che sono salariati appena per vivere, e principalmente i soldati, come ho mostrato di sopra; molto meno la potranno soffrire quelli, che sono incaricati di provedere armi, fieno, pane, vestiti alle truppe, a mantenere le fabbriche, le fortificazioni ec. Crescendo il numerario delle monete deve crescere il numerario di tutte le spese, e gli assegnamenti del numerario anteriore non baderanno più agl’impresarj. La violenza in questo genere non farebbe altro effetto, che far disertare i soldati, forzare i munizionieri, e gli altri impresarj a rifarsi della sottrazione del reale stipendio che loro vien fatta, sulla quantità e qualità delle merci e generi, ch’essi devono somministrare.

Evvi però un caso, in cui si può credere assai vantaggioso all’Erario l’accrescimento dei valori numerarj delle monete. Se la Corona avesse grossi debiti coi sudditi e cogli stranieri, crescendo il valore numerario delle monete si farebbe minore la reale somma degli annui interessi e del capitale. È però cosa difficile, che alcuno voglia, massime straniero, imprestare grosse somme ad interesse al [p. 39 modifica]Principe, e raguagliarle a’ valori numerarj, e non a specie effettive. Ma quand’anche fossero stati così mal’avveduti i creditori, il pagar loro poscia in così cattiva moneta sì il capitale, che gl’interessi non è altro, che pagar meno di quel che si deve. Un tale ripiego riguardo agli stranieri è pericoloso, perchè discredita chi l’adopra, talchè in un bisogno non troverà forse chi gli voglia imprestare denaro: riguardo ai sudditi può considerarsi come una nuova imposizione, la quale in vece d’essere compartita egualmente sopra tutti fosse caricata sopra i soli creditori del Principe. Quest’esempio non potrebbe a meno d’autorizzare i sudditi a pagare in simil maniera i loro creditori, che vuol dire defraudarli d’una porzione del credito, il che oltre il danno dei particolari interessati reca un grave pregiudizio alla Nazione, imbarazzando il commercio, ed introducendo una specie d’incertezza nella proprietà de’ beni, che si vuole in ogni Società bene organizzata tanto scrupolosamente prottetta. Ma non è mio scopo ricordar qui tutti i disordini d’un simil metodo, bastandomi avere spiegato, che il profitto dell’Erario, che sperasi da qualunque mutazion di valori fatta colle pubbliche tariffe, non è che un’illusione, ossia non è mai effetto diretto dei nuovi sistemi di monetazione, ma [p. 40 modifica]si riduce in ultima analisi ad una di queste tre cose, accrescimento di tributi, diminuzione di stipendj, fallimenti.

Dopo ciò che si è diffusamente spiegato in questo Capo non sarà d’uopo arrestarsi ad esaminare quelle operazioni di Zecca, con cui pensavano una volta d’arricchirsi i Principi, or migliorando, ora deteriorando il titolo delle loro monete, senza cambiarne il numerario valore. È cosa evidente, che migliorare il titolo d’una moneta, e diminuirne il valore numerario, e così pure deteriorare il titolo, ed accrescerne il numerario, non sono che una medesima cosa.

  1. Fu così bene conosciuta questa verità da alcuni Popoli, che i Normanni pagavano al Principe una tassa detta monetagium di tre in tre anni, acciocchè egli non alterasse le monete (Heinec. de Tut., & cura Mariti secun. princ. Jur. Germ. c. 7. §. 10.) e i Prelati di Francia offerirono a Filippo il bello nel 1303. la decima delle loro rendite a condizione, che nè lui, nè i suoi successori aumentassero il valore delle monete (le P. Daniel. Hist. de France).