Della architettura della pittura e della statua/Della architettura/Libro sesto – Cap. II

Libro sesto – Cap. II

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Della bellezza, et de lo ornamento, et de le cose, che da esse procedono, et de le loro differentie, et che egli si debbe edificare con ragioni vere, et che sia il padre, et lo alumno delle Arti.

cap. ii.


P
Ensano veramente, che la gratia, et la piacevolezza non derivi daltronde che da la bellezza, et da lo ornamento, indotti da questo, che e’ non sentono che si truovi alcuno tanto maninconico, tanto grosso, tanto rozo, et tanto villano, che non gli piaccino grandemente le cose belle, et che non vadia dietro, lasciate tutte le altre, a le più adorne, et che non sia offeso da le brutte, et che non scacci via le non ornate, et abiette, et che non si avegga del mancamento di qualunche cosa, et che non confessi, che gli manchi uno certo che, che se quella tale opera l’havesse, sarebbe più gratiosa, et più degna. Bisogna adunque scerre, et andar principalmente dietro a una dignissima bellezza, et coloro massimo, che vogliono, che le loro cose sieno grate. Quanto i nostri maggiori, huomini prudentissimi, stimarono che si dovesse haver cura a questa cosa, lo dimostrano si l’altre cose, si ancora le leggi, la militia, le cose sacre, et tutte le cose publiche. Veramente egli è cosa incredibile a dire quanto e’ s’affaticarono di farle ornatissime, come se gli avessino voluto, che e’ si fusse creduto, che levati di si fatte cose (senza le quali appena [p. 133 modifica]potrebbe stare la vita de gli huomini) gli apparati, et la pompa, elle sarebbono state come un certo che di sciocco, et di scimunito. Ne lo alzar gli occhi al cielo, et nel risguardare le maravigliose opere di Dio, ci maravigliamo più di lui, mediante le cose belle, che noi veggiamo, che mediante la utilità, che ne sentiamo. Ma perche vò io dicendo simili cose? La natura stessa de le cose, il che si puo vedere per tutto, non resta mai l’un dì più che l’altro di scherzare con lascivia, dietro al troppo piacere de le bellezze. Lascio l’altre cose indietro, et quel che ella sa nel dipingere i fiori. Che se simili bellezze si desiderano in cosa alcuna, l’edificio veramente è una certa cosa, che non può stare senza esse in modo alcuno, talmente che et coloro, che sanno, et gli ignoranti ancora non ne restino offesi. Che cosa è quella, che ne faccia muovere per una gran massa di Pietre mal formata, et male acconcia, se non, che tanto quanto ella è maggiore, tanto più biasimiamo la spesa gittata via? et vituperiamo l’inconsiderata libidine de le ammontate Pietre? L’haver satisfatto a la necessità è cosa leggiere, et di poco momento; l’haver havuto rispetto a la commodità, non è cosa gratiosa dove la bruttezza de l’opera ti offenda. Aggiugnesi che questa sola, de la quale parliamo, arreca non piccolo aiuto et a la commodità, et a la eternità. Percioche chi sarà quello, che nieghi, che non sia molto più commodo l’habitare in un edificio ben fatto, et adorno, che raccorsi dentro a muraglie brutte, et abbiette? O qual cosa si può fare da nessuna arte de gli huomini tanto stabile, che sia affortificata a bastanza contro all’ingiuria de gli huomini? Et la bellezza sola impetrerà gratia da gli huomini ingiuriosi, che e’ modereranno le stizze loro, et sofferiranno che non le sia fatto villania. Ma io voglio ardire di dire questo: Nessuno lavoro per nessun’altra cosa può giammai esser più sicuro da le ingiurie de gli huomini, et parimente illeso, quanto che per la dignità, et venustà de la sua bellezza. In questo si debbe porre ogni cura, et ogni diligentia, et a questo referirsi ogni spendio; di maniera che quelle cose, che tu farai, sieno et utili, et commode, et ancora principalmente ornatissime, et perciò gratiosissime, talmente che chi le risguarda habbia ad haver caro, che e’ non si sia fatta in alcuna cosa maggiore spesa, che in questa. Ma che cosa sia bellezza, et ornamento da per se, et che differentia sia infra di loro, forse lo intenderemo più apertamente con lo animo, che a me non sarà facile di esplicarlo con le parole. Ma noi per esser brevi la diffiniremo in questo modo, et diremo, che la bellezza è un concerto di tutte le parti accommodate insieme con proportione, et discorso, in quella cosa, in che le si ritruovano; di maniera, che e’ non vi si possa aggiugnere, o diminuire, o mutare cosa alcuna, che non vi stesse peggio. Et è questa certo cosa grande, et divina: Nel dar perfettione a la quale si consumano tutte le forze de le arti, et de lo ingegno, et di raro è concesso ad alcuno, nè ad essa natura ancora, che ella metta inanzi cosa alcuna, che sia finita del tutto, et per ogni conto perfetta. Quanto è raro (dice colui appresso di Cicerone) un bello Giovinetto in Atene. Intendeva quello scrutatore de le bellezze, che a coloro, ch’e’ non lodava, mancassino, o avanzassino alcune cose, le quali non si affaccendo a la somma, et intera bellezza, a potevano (s’io non m’inganno) acquistarsi per via de gli ornamenti con lisciarsi, et con il coprire se eglino havevano cosa alcuna brutta, o con pettinarsi, et pulirsi le cose più belle, accioche le cose meno gratiose offendessero manco, et le gratiose porgessero più diletto. Se questo si crederà cosi, sarà certo lo ornamento una certa luce adiutrice de la bellezza, et quasi uno suo adempimento. Mediante queste cose penso io che sia manifesto, che la bellezza è un certo che di bello, quasi come di se stesso proprio, et naturale diffuso per tutto il corpo bello, dove lo ornamento pare che sia un certo che di appiccaticcio, et di attaccaticcio, più tosto che naturale, o suo propio. Di nuovo ci restà a dir questo: Coloro che murano di maniera che voglino che [p. 134 modifica]le lor muraglie sieno lodate, il che debbono voler tutti i savii, costoro certo son mossi da vera ragione. Appartiensi a l’arte adunque il fare le cose con ragione vera. La buona, et vera muraglia adunque chi negherà che si possa fare se non mediante l’arte? Et veramente questa stessa parte che si rivolge circa a la bellezza, et circa l’ornamento, essendo la principale di tutte, non sarà gran fatto se ella harà in se alcuna potente ragione, et arte, che chi se ne farà beffe, sarà sciocchissimo. Ma e’ ci sono alcuni che non appruovano simili cose, et che dicono che ella è una certa varia openione, con la quale noi facciamo giudici de la bellezza, et di tutte le muraglie, et che la forma degli edifici si muta secondo il diletto, et il piacere di ciascuno, non si ristrignendo dentro ad alcuni comandamenti de la arte. Comune difetto de gli ignoranti è il dire che quelle cose, che non sanno loro, non sieno. Io giudico che e’ sia da levare via questo errore: non piglio già assunto, che io giudichi che e’ si vadia dietro ad esaminare lungamente, da quali principii venissero le arti, da quali ragioni fussero ordinate, et per quali cose crescessero. Non sia fuore di proposito, che il padre de le arti fu il caso, et il conoscimento: Lo alunno di esse fu l’uso, et l’esperimento, et che crebbono mediante la cognitione, et il discorso. Cosi dicon che la Medicina fu trovata in mille anni da mille migliaia d’huomini, e cosi l’arte del navigare, e quasi tutte l’altre arti essere cresciute da piccolissimi principii.