Della architettura della pittura e della statua/Della architettura/Libro sesto – Cap. I

Libro sesto – Cap. I

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DELLA ARCHITETTURA

di

leon batista alberti

libro sesto.


De la difficultà, et de la ragione de l'impresa de l’Autore: donde e’ raccoglie quanto studio, fatica, et industria egli habbia posta in scrivere queste cose.

cap. i


N
E cinque passati libri habbiamo trattato de disegni, et de la materia de le opere, et de la moltitudine de Maestri, et di quelle cose, che pareva si appartenessero a bene stabilire gli edificii publici, et privati, et i sacri ancora, et i secolari; di maniera che egli avessino a essere atti da poter reggere contro le ingiurie de tempi, et accomodati ciascun di loro a loro officii, secondo che ricercano i temporali, i luoghi, gli huomini, et le faccende, et ne parlammo con quella diligentia, quale tu puoi vedere in detti libri, talmente che nel trattare di simili cose non la desidererai molto maggiore. Con fatica, o Dio, più grande, che io certo alcuna volta, poi che havevo preso tale assunto, non harei forse voluto. Occorrevanmi certo continove difficultadi, et dello esplicare le cose, et del ritrovare i nomi, et del trattare de la materia, che mi sbigottivano, et mi facevano ritirare in dietro de la impresa. Da l’altro canto quella ragione che mi haveva inclinato a dare principio a l’opera, la medesima mi richiamava, et mi confortava a seguitarla. Percioche e’ mi sapeva male, che tante gran cose, et tanto eccellenti avvertimenti de gli Scrittori, si perdessino per la ingiuria de tempi; di maniera, che a pena un solo di si gran naufragio, cioè Vitruvio ci fusse rimasto; Scrittore veramente, che sapeva ogni cosa, ma per la lunghezza del tempo in modo guasto, che in molti luoghi vi mancano molte cose, et in molti ancora molte più cose vi si desiderano. Oltra di questo ci era ancora, che egli non haveva scritto molto ornatamente. Conciosia che egli parlava di maniera, che a Latini pareva che e" parlasse Greco, et a Greci pareva che egli parlasse Latino; Ma la cosa stessa nel dimostrarcisi fa testimonianza, che egli non parlò nè Latino, nè Greco; di modo che egli è ragionevole, che egli non scrivesse a noi, poiche egli scrisse di maniera, che noi non lo intendiamo. Restavanci gli esempii de le cose antiche ancora ne Tempii, et ne teatri, da le quali come da perfetti Maestri si potevano imparare molte cose; ma io le vedevo non senza mie lacrime consumarsi di giorno in giorno. Et vedevo coloro, che per aventura edificavano in questi tempi, andare più presto dietro a le pazzie de moderni, che s dilettarsi de la verità de le opere lodatissime. Per le quali cose, non era nessuno che negasse che questa parte de la vita, per dire cosi, et de la cognitione non fusse per spegnersi del tutto in breve tempo. Et però essendo le cose cosi, io non potevo fare che io non andassi pensando spesso, et più et più volte meco esaminando di descrivere dette cose. Et ne lo andare esaminando cose tanto grandi, tanto degne, tanto utili, et tanto necessarie a la vita de gli uomini, non giudicavo che e’ fusse da farsi beffe de le cose, che a me, che volevo scrivere, mi si facessino spontanamente incontro. Et pensavo che fusse [p. 132 modifica]officio d’huomo da bene, et studioso, lo sforzarsi di liberare questa scientia, la quale sempre i più savi Antichi stimarono assai, da la sua annichilatione, et rovina. Et cosi stavo in dubio, et non mi sapevo risolvere, se io tirassi dietro a la impresa, o pur me ne togliessi giuso. Vincevami molto al fine l’amore di tale opera, et la carità di tali studii, et a quel che non fusse stato a bastanza lo ingegno mio, sopperiva uno ardente studio, et una incredibile diligentia. Non era cosa alcuna in alcun luogo de le opere antiche che vi risplendesse alcuna lode, che io subito non andassi investigando se io da essa potessi imparare cosa alcuna. Andava adunque investigando, considerando, misurando, et dileguando con pittura ogni cosa, non ne lasciando alcuna indietro in alcun luogo, sino a tanto che io havessi conosciuto interamente, et posseduto tutto quello che da qualunque ingegno o arte in si fatti edificii fusse stato messo in opera . Et in quel modo alleggerivo la fatica de lo scrivere con il desiderio, et con il piacere de lo imparare . Et veramente che il raccorre insieme, et raccontare con dignità, et collocare con ordini ragionevoli, et scrivere con accurato stile, et mostrare con vere ragioni tante varie cose, tanto disuguali, tanto disperse, et tanto aliene da l’uso, et cognitione de gli huomini, era al tutto offitio di huomo di più qualità, et di maggior dottrina, che io in me non conoscevo. Non mi pento, et non mi dolgo punto di me stesso, se io ho pur conseguito quel che io haveva ordinato, che coloro cioè, che leggeranno habbino più caro, che nel mio dire io riesca loro più tosto facile che troppo eloquente. La qual cosa quanto sia difficile nel trattare simili cose, lo conoscono più facilmente coloro, che ne hanno fatta esperienza, che non lo credono coloro che non hanno esperienza alcuna. Et se io non mi inganno, le cose che noi habbiamo scritte, le habbiamo scritte di maniera, che non si negherà che le non sieno scritte secondo le regole di questa lingua, et intenderannosi ancora assai bene. Questo medesimo in quelle cose, che seguitano, ci ingegneremo di fare per quanto potranno le forze nostre. De le tre parti, che si aspettavano a tutte le sorti de gli edificii, accioche quelle cose, che noi murassimo, fussino accommodate secondo i bisogni, saldissime per durar gran tempo, et gratiosissime, et piacevolissime, espedite le prime due, ci resta a espedir la terza dignissima più che tutte l’altre, et molto necessaria.