Della architettura della pittura e della statua/Della architettura/Libro secondo – Cap. VII
Questo testo è completo. |
Leon Battista Alberti - Della architettura della pittura e della statua (1782)
Traduzione dal latino di Cosimo Bartoli (1550)
Traduzione dal latino di Cosimo Bartoli (1550)
Libro secondo – Cap. VII
◄ | Della architettura - Libro secondo – Cap. VI | Della architettura - Libro secondo – Cap. VIII | ► |
Delli Alberi ancora sommariamento.
cap. vii.
M
A per parlare di tutti (in questo luogo) sommariamente: Tutti gli Autori dicono che gli Alberi, che non fanno frutto, sono più saldi, et fermi, che quelli, che fanno frutto: et che i salvatichi non cultivati da mano, o da ferro, son più duri che i dimestichi; et Teofrasto dice che i salvatichi non cascano mai in infermità che li faccia seccare. I dimestichi, et quelli che fanno frutto, son sottoposti a gravissime infermitadi; et infra quei che fanno frutto, quelli che lo fanno più presto, che quelli che lo fanno più serotine; et i dolci son più deboli, che i forti; et infra li acuti, et aspri, pensano che siano più sodi quelli che fanno più di rado, et più acerbo il frutto. Quelli che fanno frutto de duoi anni l’uno, et quelli che sono del tutto sterili, hanno più nodi che quelli che fanno frutto ogni anno. Et di questi quanto ciascuno è più corto, tanto è più difficile; et gli sterili crescon più che i fertili. Et di più dicono che quelli che cresceranno allo scoperto senza essere difesi da alcun monte, o selva; ma agitati da spessi venti, et tempeste, saranno più fermi, et più grossi, ma più corti, et più nodosi che quelli che cresceranno infra due valli, o in luogo sicuro da i venti. Pensano ancora che gli Alberi nati in luoghi humidi, et ombrosi, sieno più teneri, che gli cresciuti in luoghi più aperti, et più asciutti: Et che quelli, che nascano diverso il vento tramontano, siano più atti, che quelli, che nascono verso Ostro. Et gettano via come sconciature gli Alberi, che nascono in luoghi contrarii alla loro natura, et quelli che nascono di verso mezo dì, son molto duri, ma si torcono nel midollo, nè son diritti, o uguali a mettersi in opera. Oltra di questo quelli che sono aridi per loro natura, et tardi al crescere, son più forti che quelli che non sono aridi, et che crescono presto: et Varrone si pensava che altri Alberi havessino natura di maschio, et altri di femina: Et che i legni bianchi fussero manco serrati, et più trattabili che gli altri, dove sia qual si voglia altro colore; et sono certo tutti i Legnami gravi più serrati, et più duri che i leggieri; et quanto uno è più leggieri, tanto è più fragile; et quanto sono più crespi, tanto sono più forti. Et a quelli a cui la natura hà dato che vivino più; gli hà dato ancora che tagliati, si corrompino più tardi. Ogni Legno ancora quanto manco hà di midolla, tanto è di più gagliarda, et robusta natura. Quelle parti, che sono più vicine alle midolle, sono veramente più dure che le altre, et più serrate, quelle che sono più vicine alla scorza, sono di più gagliardo nervo: Percioche e’ si tiene che ne gli Alberi si come ne gli animali, la scorza sia la cotenna; quello che è sotto la scorza, sia la carne; et quel che è intorno alle midolle, si tiene per le ossa: et Aristotile pensava che i nodi nelle piante fussero in cambio di nervi. Di tutte le parti del Legno, tengono per la più trista, l’humor che lo nutrisce, si per altre cagioni, si per essere molto sottoposto a tarli. Aggiugni a queste cose che quella parte de gli Alberi, ch’era (essendo essi ritti) volta a mezo giorno, sarà più arida che le altre, sottile, et estenuata: Ma niente di manco più serrata. Et da questo lato sarà la midolla più vicina alla scorza. Et quelle parti ancora che saranno più vicine al terreno et alle radici, saranno più gravi, che tutte le altre; et ne sarà segno che malagevolmente noteranno nelle acque, et la parte del mezo di qualunque Albero, sarà la più crespa. Et le vene sieno come si voglino, quanto più saranno inverso le radici, tanto più saranno avvolte, et piegate; tutte le parti da basso niente di manco si pensa che sieno più collanti et più commode che l’altre. Ma io truovo scritte dalli ottimi scrittori, alcune cose molto maravigliose: Percioche e’ dicono che la Vite supera la eternità de secoli. A tempi di Cesare in Popolonia (vicina a Piombino) si vedeva una statua di Giove, fatta di Vite, essersi mantenuta per infinità d'anni, incorrotta; et tutti dicono che e’ non è legno alcuno più eterno. In Arriana, Regione della India, son Viti tanto grosse, secondo che racconta Strabone, che duoi huomini abbraccieriano a gran pena il pedale, In Utica dicono esser durata una coperta di Cedro anni mille ducento settantaotto. In Ispagna nel Tempio di Diana, dicono esservi durate Travi di Ginepro, da ducento anni innanzi lo eccidio di Troia per insino a tempi di Annibale. Ma il Cedro hà certo natura maravigliosa se come dicono, e’ non tiene i chiodi. Ne Monti presso al lago di Garda è una sorte di Abeti che se tu ne farai vasi, non terranno il Vino, se tu non gli ugni prima con Olio. Hor basti insino a qui delli Alberi.