Della architettura della pittura e della statua/Della architettura/Libro nono – Cap. V

Libro nono – Cap. V

../Libro nono – Cap. IV ../Libro nono – Cap. VI IncludiIntestazione 18 novembre 2015 75% Da definire

Della architettura - Libro nono – Cap. IV Della architettura - Libro nono – Cap. VI
[p. 228 modifica]

Che tre sono le cose principali che fanno gli edifitii belli, et gratiosi, il numero de le membra, la forma, et il sito.

cap. v.


H
Ora ritorniamo a quelle cose che io promessi di dire, nelle quali consiste universalmente tutta la bellezza, et tutti gli adornamenti, o più tosto, da le quali è nata ogni bellezza, et ogni adornamento. Investigatione certamente difficilissima. Conciosia che qual si è l’una di queste cose che s’habbia da cavare, et da scerre da l’universal numero, et di la natura di tutte le parti, o habbiasi ella a compartire a tutte, con certo et giusto ordine, o pur si habbia a far tale, che congiunga et tenga insieme in una massa, et in un corpo più cose con buona unione, et stabile congiugnimento, al che cerchiamo noi in questo luogo alcuna cosa simile, egli è di necessità che questa stessa cosa che noi cerchiamo partecipi, et contenga in se de la forza, et quasi del nervo di tutte quelle, alle quali o ella si congiunge, o con esse si mescola; che altrimenti per la discordia, et per le inconvenientie combatterebbon’insieme, et rovinerebbono: il qual sceglimento, et la qual investigatione essendo sì nelle altre cose non molto pronta, nè molto espedita, sì ancora massimamente in queste cose, de le quali habbiamo a trattare, la più dubbia, et la più pericolosa di tutte, per havere in se l’arte dell’Architettura tante parti, et tante varie sorti [p. 229 modifica]di adornamenti, che qual s’è l’una di esse parti, come tu hai veduto, ha di bisogno che tu ne facci conto grandissimo. Ma noi secondo il costume nostro, per quanto potranno le forze del nostro ingegno, seguiteremo; non raccontando le cose per quella via, per la quale dal numero de le parti si cavi la vera cognitione del tutto: Ma comincieremo da quello che fa a nostro proposito, notando che cosa sia quella, che per sua natura faccia le cose belle. Siamo avertiti da buon Maestri antichi, et lo abbiamo detto altrove, che lo edifitio è quasi come uno animale; si che nel finirlo, et determinarlo bisogna immitare la natura. Andiamo dunque investigando onde nasca che ne’ corpi prodotti da la natura, alcuni sono bellissimi, et alcuni men belli, et alcuni brutti, et deformi. Egli è cosa manifesta, che in tutti quelli che sono tenuti belli, non son tutti i membri fatti a un modo, talmente che e’ non siano punto infra loro differenti; anzi conosciamo che egli è impresso, et infuso in quella parte massimo nella quale non si somigliano, un certo che, per il che se bene e’ sono dissimili, nondimeno noi gli tenghiamo l’uno et l’altro per gratiosi. Sarà alcuno che desidererà di havere una fanciulla, che sia di corporatura dilicata, et magretta, et colui appresso di Terentio anteponeva alle altre fanciulle quella che era di carnagione più soda, et più compressa; a te forse piacerà di havere una moglie che non paia strutta, come gli ammalati, nè anche talmente compressa di membra, che paia un contadinaccio tozzo da fare alle pugna. Ma vorresti che si trovasse in lei una convenevole forma, secondo che convenientemente si potrebbe fare, se si arrogesse alla prima quel che si potria levare, o torre alla seconda. Che dunque? per questa cagione che ti piacerà più questa che quell’altra, giudicherai tu però che l’altre non sieno belle, o gentili? No. Ma che questa ti piaccia più che l’altre, lo potette causare alcuna cosa, la quale non vò ricercare come ella si stia: ma il giudicare che tu farai, che alcuna cosa sia bella, non nascerà da la oppenione, ma da uno discorso, et da una ragione che harai dentro nata insieme con l’anima, il che si vede esser cosi; conciosia che ei non è nessuno che guardando le cose brutte et malfatte, non si senta da esse subito offendere, et non le habbia in odio. Donde ancora si desti, et onde venga quello conoscimento de lo animo, non ricerco io così profondamente. Ma consideriamo, et esaminiamo quel tanto che faccia a nostro proposito da le cose che per loro stesse ci si offeriscono. Conciosia certamente che nelle figure et nelle forme de gli edifitii, è un certo che di eccellente, et ben fatto naturalmente che in un subito sveglia gli animi, et si fà conoscere. Io credo certamente che la maiestà, la bellezza, et la dignità, et qual ti voglia simili altre cose, consista in quelle cose, che se tu le levassi, o le mutassi, diventerebbono in un subito brutte, et mancherebbono. Se noi ci persuaderemo questo, non ci parrà cosa lunga trattare di quelle cose che si possino levar via, accrescere, o mutare; et massimo nelle figure, et forme: conciosia che ogni corno è comporto di certe parti sue, et determinate; de le quali certamente se ne leverai alcuna, o la ridurrai che sia maggiore, o minore, o la tramuterai di luogo a luoghi non convenienti, ti avverrà, che quel che era bello, o stava bene in si fatto corpo, vi starà male, et sarà guasto. Per la qual cosa noi possiamo deliberare, accioche io non sia più prolisso nelle altre simili cose, che tre sono le cose principali, nelle quali consiste il tutto di quel che noi andiamo cercando. Il numero cioè, et quello che io chiamo il finimento, et la collocatione. Ma e’ ci è di più uno altro certo che, che nasce da tutte queste cose congiunte, et collegate insieme, per il quale tutta la faccia de la bellezza risplende miracolosamente, il che appresso di noi si chiamerà leggiadria; la quale certamente noi diciamo che è la nutrice d’ogni gratia, et d’ogni bellezza, et è l’officio de la leggiadria, et se li appartiene il mettere insieme i membri, che ordinariamente sono di natura infra loro differenti, di maniera che corrispondino [p. 230 modifica]scambievolmente l’uno allo altro al far la cosa bella. Di qui nasce, che quando o per la vista, o per lo udito, o per qual’altro modo, ei si rappresenta allo animo alcuna cosa, subito si conosce la leggiadria. Conciosia che naturalmente desideriamo le cose ottime, et con piacere a quelle ci accostiamo: ne si truova la leggiadria in tutto il corpo, o nelle membra, più che in se stessa, et nella natura, talmente che io dichiaro ch’ella è congiunta con l’animo et con la ragione, et hà larghissimo campo, per il quale ella può essercitarsi, et fiorire, et abbraccia tutta la vita et tutti i modi de gli huomini, et viengli per le mani la natura di tutte le cose. Tutto quello certo che produce la natura, tutto si modera secondo gli ordini de la leggiadria. Ne hà studio alcuno maggiore la natura, che il fare che le cose ch’ella harà prodotte, sieno perfettamente finite. Il che non verria fatto, se se ne levasse la leggiadria, conciosia che il principale consenso de le parti che opera, mancherebbe; ma sia detto di queste cose abbastanza. Le quali se son chiare abbastanza, possiamo haver deliberato in questo modo: Che la bellezza è un certo consenso, et concordantia de le parti, in qual si voglia cosa che dette parti si ritrovino, la qual concordanzia si sia havuta talmente con certo determinato numero, finimento, et collocatione, qualmente la leggiadria cioè, il principale intento de la natura, ne ricercava. Questo è quel che vuole grandemente la Architettura. Con questo si procaccia ella dignità, gratia, et autorità, et per questo è in pregio. Per il che conoscendo i nostri Antichi da la natura de le cose, che tutto quello che io hò racconto di sopra, era in fatto cosi, et non dubitando punto, che faccendosi beffe di simil cose, non poteva in modo alcuno intervenir loro di far cosa alcuna che fusse o lodata, o honorata, giudicarono che e’ bisognava che e’ cercassino di immitare la natura ottima artefice di tutte le forme, et per questo andorno raccogliendo per quanto possette la industria de gli huomini, le leggi, le quali ella haveva usate nel produrre le cose, et le trasportarono alle cose da edificarsi. Considerando adunque quel che la natura usasse circa il corpo intero, et circa qual s’è l’una de le parti, conobbono da primi principii de le cose, che i corpi non erano composti sempre di parti o membri uguali; per il che interviene che i corpi sono prodotti da la natura, alcuni più sottili, alcuni più grossi, et alcuni mediocri. Et considerando, che uno edificio era differente dall’altro, mediante il fine a che egli era fatto, et il bisogno a che haveva a servire, si come ne passati libri raccontammo, bisognava per questo che si facessino variati. La onde avertiti da la natura trovarono tre maniere di addornare le case, et gli imposono i lor nomi, cavati da quelle cose, de le quali o questi o quegli si dilettassino, o per avventura da le cose, secondo che le trovavano. Uno di questi fù più pienamente atto alla fatica, et al durar quasi eterno, il quale ei chiamarono Dorico; un altro più sottile, et piacevolissimo, et lo chiamarono Corinthio; et uno mediocre quasi composto dell’uno, et dell’altro, et lo chiamarono Ionico. Si che intorno a un corpo intero andorno esaminando cose simili. Dopo queste cose havendo considerato che quelle tre cose che noi raccontammo, conferivano molto, et massimo a conseguire la bellezza, cioè il numero, il finimento, et la collocatione, et come quelle tre cose si havessino ad usare, trovarono dal compensare le opere de la natura, cavati i principii secondo ch’io mi penso da questo. Percioche da esso numero conobbono la prima cosa che era di due sorti, cioè il pari et il caffo, et si fervirono dell’uno, et dell’altro, ma in un lato de l’uno, et in un lato de lo altro; imperoche nelli ossami de li edificii seguitorno la natura; cioè nel porre de le colonne, et de le cantonate, et simili, non le posono mai se non in pari, conciosia che tu non troverrai mai animal nessuno che stia fermo, o che vadia con i piedi in caffo. Ma i vani per il contrario non posono mai se non in caffo conciosia che egli è manifesto che la natura anchor ella hà fatto il simile, percioche alli animali fece ella uno orecchio [p. 231 modifica]di quà, et uno di là, duoi occhi, et due nare del naso ugualmente, ma nel mezo poi collocò un vano solo, et largo: et quello fu la bocca. Ma infra quelli numeri o pari, o caffi, ce ne sono alcuni che alla natura sono più famigliari che gli altri, et più celebrati appresso de savi, che gli altri: I quali sono stati usurpati da gli Architettori come loro peculiari, per questo conto, massimo che e’ par che gli habbino in loro un certo che, per il quale sono stimati degnissimi. Conciosia che tutti i Filosofi affermano che la natura da principio consiste in numero ternario; et il numero quinario quando io vò esaminando le tante cose, tanto varie, et tanto ammirabili, che osservano in loro il numero del cinque, o che sono discese dal numero quinario, come sono le mani de gli huomini, non senza ragione acconsento di dire, che sia cosa divina, et consegrata alli Dii de le arti, et a Mercurio principalmente: et è cosa manifesta, che Dio ottimo grandissimo si diletta grandissimamente del numero del sette, havendo egli poste in Cielo sette stelle erranti, et havendo voluto che dell’huomo sua ricchezza et delitie, il crearsi, il farsi, il crescere, et il confermarsi, et simili altre cose, si riduchino tutte, et habbino riguardo a questo numero settenario. Aristotile dice che gli Antichi non imponevano nome al figliuolo, che fusse lor nato se non in capo al settimo giorno, quasi che insino à quel giorno non fusse destinato alla salute. Conciosia che il seme nella matrice, et il fanciullo poi che è nato, portano grandissimo pericolo, sino al settimo giorno. De numeri in caffo celebrano ancora il nove, secondo il qual numero l’artifitiosa natura fece le spere del Cielo, et i Medici dicono ch’egli è cosa manifesta, che la natura si è contentata di usare, et di servirsi di una nona parte d’un tutto nelle cose grandi. Conciosia che il quaranta sia circa la nona parte di tutti i dì dell’anno secondo il corso del Sole; et Hippocrate dice che in quaranta giorni la creatura piglia la forma nel ventre de la gravida. Oltra di questo noi veggiamo che quasi in tutte le malattie gravi si torna alla sanità in capo a quaranta giorni. In simil tempo restano di purgarsi quelle che si sono ingravidate, se sono gravide di putto maschio, et poi ancora ch’elle haranno partorito un putto maschio, in capo a quaranta giorni cominciano a purgarsi di nuovo; et dicono che il putto da che egli è nato, mentre starà desto non riderà mai, ne mai gitterà lagrime se non in capo a quaranta giorni, ma che bene dormendo si è visto che fanno l’uno, et l’altro. Et questo basti de numeri in caffo. De numeri pari ci sono stati alcuni infra i Filosofi che dicono che il numero quaternario era consecrato alla divinità, et per questo hanno voluto che se gli presti, et aggiusti grandissima fede, et dicono che il numero del sei infra i rarissimi è molto perfetto, come quello che si fa di tutte le sue parti intere.


1. 1. 1. 1. 1. 1. 1. 2. 3. 1. 5. 2. 2. 2.
6 6 6 6
2. 4. 3. 3.
6 6


Et è cosa chiara, che lo otto ha una grandissima forza nella natura de le cose. Noi non veggiamo salvo che in Egitto, che chi nasce nello ottavo mese viva, anzi la madre che vi partorisce nell’ottavo mese, et se le muoia il parto, dicono che hà a morire ancor’essa, et che se il padre userà con la moglie nell’ottavo mese, diventerà il fanciullo pieno di scabbia, et harà la cotenna brutta, et scabrosa et molto schifa. Credeva Aristotile che il numero del X. fusse più perfetto di tutti gli altri forse per questo che e’ dicono che il quadrato suo si adempie dal ragunare insieme quattro continovati cubi. Si che da queste cose si mossono gli Architettori a servirsi di questi numeri, ma non hanno già passato [p. 232 modifica]quanto al numero pari, il quale ei destinarono a vani, il numero del X., et quanto a caffi, il numero del 9., et massimo ne Tempii. Hora ci resta a trattare del finimento. Il finimento appresso di noi è una certa corrispondentia di linee infra di loro, con le quali son misurate le quantità, che una è la lunghezza, l’altra la larghezza, et l’altra la altezza. La regola del finimento si caverà comodissimamente da quelle cose per le quali e’ si è conosciuto et veduto espressamente, che la natura ci si mostra maravigliosa, et da essere considerata. Et certamente io affermo più l’un di che l’altro il detto di Pitagora, che egli e simile a se in tutte le sue cose: cosi stà la cosa. Quei medesimi numeri certo, per i quali aviene che il concento de le voci appare gratissimo ne gli orecchi de gli huomini, sono quegli stessi che empiono anco et gli occhi, et lo animo di piacere maraviglioso. Caveremo adunque tutta la regola del finimento da musici, a chi sono perfettissimamente noti questi tali numeri: et da quelle cose oltra di questo, da le quali la natura dimostri di se alcuna cosa degna, et honorata: ma non andrò dietro a queste cose se non quanto sarà di bisogno al proposito de lo Architettore. Lasciamo adunque quelle cose che si appartengono a gli ordini di ciascuna voce, et a modi de Tetracordi. Ma quelle cose che fanno a nostro proposito, sono queste: Noi habbiamo detto che la armonia è una consonantia de le voci, suave a gli orecchi. De le voci ne sono alcune gravi, et alcune acute: la voce più grave viene da corda più lunga, et le acute da corde più corte: dal vario scompartimento di queste voci risultano varie armonie. Le quali armonie gli Antichi cavarono da la scambievole consonanza de le corde con certi numeri determinati. I nomi de le quali consonanze son questi: Diapente, cioè quinta, la quale ancor si chiama sesquialtera. Diatessaron, cioè quarta che si chiama sesquitertia, et dipoi Diapason cioè ottava che si chiama doppia, et Diapason Diapente cioè duodecima che si chiama triplicata, et Disdiapason cioè quintadecima che si chiama quadrupla. A queste aggiunsono il tuono il qual si chiama sesquiottavo ancora. Queste si fatte consonantie che noi habbiamo racconte, a volerle comparare alle corde, stanno in questo modo: La sesquialtera si chiama cosi, perche la corda maggiore contiene in se la corda minore intera, et la metà più, conciosia che in questo modo interpretian noi quel che gli Antichi chiamarono sesqui. Nella sesquialtera adunque alla corda maggiore si assegnerà tre, et alla minore due.


3 000 ) sesquitertia
2 00 )


La sesquitertia è quella che harà la corda maggiore lunga quanto la minore, et un terzo più: farai adunque la maggiore quattro, et la minore tre.


4 0000 ) sesquitertia
3 000 )


Ma in quella consonantia che si chiama Diapason, i numeri si corrispondono l’uno all’altro a doppio, si come è il dua a l’uno, et il tutto alla metà. Nella tripla, i tre medesimamente corrispondono allo uno, come il tutto alla terza parte di se stesso.


2 00 3 000
Diapason Dupla ) Tripla
1 0 1 0


Nella quadrupla il quattro corrisponde a essa unità, come il tutto corrisponde alla quarta parte di se medesimo.


4 0000 ) Quadrupla
1 0
[p. 233 modifica]Finalmente essi numeri musicali son questi, uno, dua, tre, quattro, et il tuono, si come io dissi, è quello, la corda maggiore del quale supera la minore, di una parte de le otto di detta minore.


1. 2. 3. 4. ) 8 00000000
Numeri nusicali ) 9 00000000,0 ) Tuono


Di tutti questi numeri si servono gli Architettori commodissimamente, presigli a duoi a duoi, come nel disegnare il mercato, le piazze, et gli spazzi scoperti, nelle quali case si considerano solamente duoi diametri la lunghezza, et la larghezza: ancora gli pigliano a tre a tre, et se ne servono nel disegnare il luogo da sedervi publicamente, et la sala del consiglio, et simili. Ne quali similmente fanno corrispondere la larghezza alla lunghezza, et all’una, et all’altra di queste vogliono che la altezza corrisponda a proportione conveniente.