Dell'uomo di lettere difeso ed emendato/Parte seconda/24
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24.
Apparecchio della materia, che chiamano Selva.
All’argomento trovato, alle parti disposte, vien dietro il comporre: che è impolpare l’ossa, e farne d’uno scheletro un corpo.
Ed eccovi su le prime un’ordinario errore di chi, non portando a tal lavorio altro che un foglio bianco, la penna, e il suo cervello, vuole in un tempo medesimo e Trovare e Disporre e Comporre, attendendo tutto insieme alle Cose, all’Ordine, e al Modo; come s’egli fosse un Sole, che per dipignere in una nuvola un’Iride, senza svario nel cerchio, senza disordine ne’ colori, non ha di bisogno che di mirarla, e con ciò stendervi il pennello d’un raggio, col quale in un momento la disegna e colorisce.
A costoro, mentre masticano la penna, mirano il tetto, e ronzando come Calabroni borbottano fra di sè, mettendo in carta principj senza fine, con trovarsi nell’ultimo della fatica da capo, quanto a tempo farebbe chi suggerisse all’orecchio per beffa e per avviso quel comunissimo assioma, che dice: Ex nihilo nihil! Voi pretendete, che vi piova oro dal capo, dove non ne avete miniera; e di più, che vi venga battuto in moneta di peso, e con impronta di legittimo conio: così in un medesimo tempo volete fare l’Alchimista, il Saggiatore, il Zecchiere, il Tesoriere, il Principe, ogni cosa: che appunto è la vera maniera per non far nulla. Ne igitur resupini, respectantesque tectum, et cogitationem murmure agitantes, expectemus quid obveniat1. Imaginatevi, che il lavorare un componimento sia fabricare una casa. Non basta aver pianta e modello, se mancano e pietre e calcina e travi e ferramenti. Dunque Sylva rerum et sententiarum paranda est: ex rerum enim cognitione efflorescere debet et redundare oratio2.
Chi non ha in capo una viva libreria raccolta con istudio di molto tempo dalle Storie sacre e profane, naturali e civili, da’ politici ammaestramenti, da’ Riti e Leggi antiche, da gravi e sentenziosi Detti di Savj, da Favole, da Geroglifici, da Proverbi, e, quello che vale sopra ogni altra cosa, dalla Filosofia naturale e morale, dalle Matematiche, dalla Giurisprudenza, dalla Medicina, e, quanto fa di bisogno, dalla Teologia; conviene, che da³ libri morti accatti e raccolga ciò, che a suo bisogno farà.
Poco importa aver concepito un nobile argomento, se, quando state per partorirlo, non avete mammelle piene di latte per nutrirlo; onde conviene, che di pura fame vi muoja fra le mani. Stasicrate, che volle scolpire Alessandro con fargli una più che gigantesca statua del monte Ato, non s’avvide, che la città che disegnava mettergli in una mano, perchè non aveva d’attorno campi ove seminare, inabitabile riusciva. A questo prima d’ogni altra cosa pose l’occhio Alessandro. Delectatus enim (dice Vitruvio3) ratione formæ, statim quæsivit, si essent agri circa, qui possent frumentaria ratione eam civitatem tueri. E inteso che no, rifiutò con un cortese soghigno l’offerta del male avveduto Scultore. Ut enim natus infans sine nutricis lacte non potest ali neque ad vitæ crescentis gradus perduci, sic Civitas, etc. Non altrimenti, qualunque suggetto si prenda, se non ha di che nutrirsi, non può crescere nè mantenersi; ma come germoglio nato nelle secche arene dell’Arabia deserta, appena sorto da terra, in uno stesso manca d’umore e di vita.
Perciò accortamente fanno quegli, che, prima di risolversi ad un’argomento, mirano se v’è o se hanno onde possano trarre materia bastevole a compirlo. Così i pratici Architetti, dice Sant’Ambrogio, ne’ disegni di tutte le fabriche mettono i primi pensieri in cercare onde possano prendere tutta la luce, che per rischiarare ogni parte abbisogna4: Antequam fundamentum ponat, unde lucem ei infundat explorat; et ea prima est gratia, quæ si desit, tota domus deformi horret incultu.
Dunque convien’aver conoscimento e pratica di molti libri; e giudicio, non basta buono per iscegliete, ma ottimo ci vuole per applicare le cose che si truovano; sì che, dove bisogna, con ingegnosa e pellegrina maniera, esprimano ciò, che a voi torna in acconcio di dire. E in questo, certissima osservazione è, che ognuno raccoglie per sè ciò che al genio suo (a cui sempre è conforme la maniera del dire) si confà e adatta. E sì come neminem excelsi ingenii virum humilia delectant et sordida, magnaTum enim rerum species ad se vocat et extollit5; così v’ha di quelli, che lasciano i diamanti col Gallo d’Esopo, e, come se avessero il cervello d’ambra gialla, non sanno tirare a sè altro che vili festuche di paglia. Così da’ fiori v’è chi colga solo la vista, chi solo Podore, altri l’imagine disegnandoli, altri le acque stillandoli; ma le Pecchie ne cavano il mele, e mele tutto d’una dolcezza ė d’un sapore, benchè da fiori di natura e di sapore diversi lo colgano. Lo stesso avviene ne’ libri, prati d’erbe e di fiori odorosi, per pascolo degl’ingegni. V’è chi da essi non cava altro che solo la vista nel diletto di leggerli; altri qualche spirito di buon’odore, per isvegliare il cervello, e confortarsi l’ingegno. Vi son di quegli, che vi fanno erba’a fasci, cogliendo alla rimpazzata ciò che prima lor viene alle mani; di quegli, che con più scelta raccolgono solamente fiori per tesserne corone e ghirlande. Alcuni spremono sughi, altri cavano acque. Pochi da una gran moltitudine di saggetti fra loro diversi sanno raccorre mele d’uno stesso sapore, applicando le cose in maniera, che tutte dican l’istesso, el che vi sia il diletto della varietà, e non vi manchi l’unione del senso.
Queste diverse maniere di scegliere e d’applicare vanno dietro al giudicio; e il giudicio seguita il genio, chè ciascheduno ha di favellare, chi in uno stile e chi in un’altro, giusta l’idea della sua mente. Perciò le cose che da’ libri si cavano, si posson dire esser come le rugiade, che, se cadono in seno ad una conchiglia, (per credenza d’alcuni ) si mutano in perle, se sopra un fracido tronco, diventano funghi.
Ma nell’adunar materia per formarne un componimento, avverto per ultimo, che può essere di non piccol danno così l’aver troppo come il non aver nulla. Non s’ha ad essere sì scarso in raccorre, come se și volesse che l’opera, che ne ha ad uscire, fosse più magra d’un’Aristarco d’un Fileta, d’uno scheletro vivo; sì che le si contino l’ossa, e le si veggano tutti i corsi delle vene, le fila de’ nervi, le disposizioni de’ muscoli, i moti delle arterie, e poco meno che l’anima. Nè all’incontro s’ha ad esser prodigo, come se si pretendesse formare un’uomo sì corpulento, che paresse, anzi che uomo, un’otre. Chi ammassa di soverchio roba, se non è magnus Deus6, come gli antichi chiamavano l’Amore per essere stato ordinatore del Caos, non ha come disporla per modo, che in tanta turba non nasca confusione.
In oltre, dal soverchio raccorre avviene, che, scelto il più bel fior delle cose, c’incresca oltre modo gittare come inutile il rimanente, che sarà a gran misura più dello scelto; parendo non virtù di buon giudicio, ma vizio di prodigalità, perdere, insieme con tante cose, la fatica e il tempo che si spesero in raunarle. Perciò, mentre tutto piace, e a tutto si cerca luogo, s’empiono i componimenti, come da gl’ingordi il ventre, con più gola per irangugiare che calore per digerire: e quindi dalla copia de’ corrotti umori nasce lo sconcerto de’ corpi, lo sfinimento delle forze, la pallidezza, e cento mali. Idem igitur (disse il Moral7) in his, quibus aluntur ingenia, præstemus; ut quæcumque hausimus non patiamur integra esse, ne aliena sint, sed coquamus illa. Così ci accorgeremo, che alle composizioni, come a’ corpi, non si dee dare quanto vi può capire, ma sol quanto possono cuocere e digerire.
Ma trovato l’argomento, disposte le parti, raunata la materia, e dispensata a suo luogo, si cominci a comporre.