Dell'entusiasmo delle belle arti/Parte II/Conclusione
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dell’eternità.
CON-’T’ali furono gli uomini rari, dai quali 1’ u-* mano genere ebbe gloria, e grandezza in ogni secolo, e in ogni gente. Tali i saggi, i maestri, gli eroi, tali i poeti, e i filosofi primi, che primi insieme legislatori, e benefattori degli uomini furono riconosciuti. Ecco la loro storia in succinto ( i ).
Gli ( i ) Sylvcstrts hormines sacer interpresque Deorum Creai bus, & ■vieti’, feedo deterrai: Orpbeus, Diclus ob hoc lenire li grès, rabidosque leones; DiBus ©■ Arnphion Thcbanm conditor arcis Saxa movere sono te-studinis, prece blanda Ducere quo iellet: fv.it k<ec sapientin quondam Publica privai is secernere, sacra profanis; Concubitu pro/ubere vago, dare jura maritis, Oppida muliri, leges incidere Ugno!
Sic bonor, & nomen divinis vati bus, atque Carminibus venit: post hos insigms Homerus &c.
Vedi la bella riordinazione della poetica Gli uomini da principio selvaggi, e barbaci vivevano in preda alla tirannia delle brutali passioni, dell’errore e dell’ignoranza.
Sor^e un genio a portare tra loro in una mano la fiaccola della verità, con che illumina quella notte, li trae dalla schiavitù, rimette in trono, e in libertà la ragione; nell’altrà mano colle dolci catene dell’eloquenza, e del canto tragge a se i cuori, gli unisce co’ vincoli del bisogno, del piacere, dell’industria, e della spontanea fatica. Poco a poco son popolati i diserti, vi concorron capanne, vi sorgon villaggi, e di uno in altro, di padri in figli, ed in nipoti concordi, le solitudini, e le paludi fanno di popoli molti una sola famiglia, che ha per casa un’ampia città. Tutti allora dimandano leggi, for.Tjan costumi, innalzano templi, eleggor. sovrani, ma questi son padri, i lor sudditi figli, e questi tra loro fratelli, e tutti Orazio stampata in Roma 1777., benché tradotta dal dotto ed ingegnoso autore non poeticamente. Quanto sarà più bella in quell’or« «ime, e in istile di poeta ?
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- idConclusione« irai genio Ior creatore sono rivolti, coihe a padre, maestro, legislatore, magistrato, e il fanno spesso lor nume. Al suo cenno tutto ha vita, ed è in moto. Ecco intanto si^ spargono ad arginar l’acque, a coltivare 1« terre, a condurre le gregge; si musine il latte, si tonde la lana, si raccolgono frutta, e messi. La notte non tutta fe in ozio, eh» alcuni seguono i giri degli astri, fissano i» punti del cielo, misurano i moti, ed i tempi, e prevengono le stagioni. Assicurata la vita, provveduto al bisogno, si trovano le delizie. 11 marmo respira, le tele sono ani-.>; mate, i versi, il canto accompagnan le dan- * ze innocenti, e tramandano le memorie degli!
eroi della patria; un uomo solo tien pendente dalla sua bocca una gran moltitudine, e ]a volge, ove vuole: così li ritragge dal vizio, li invita alla virtù, insegna loro a dar del superfluo per riceverne dal necessario; quindi li guida a cavar la miniera’ per facilitar i segni dei prezzi, a fabbricar navi per trasportarsi lontano, ed unirsi a tutti i climi, a tutti i beni della terra.
Lo stesso genio diviene il re degli altri coll’ Conclusione.i»i coi!’autorità dell’entusiasmo, dell’eloquerVza, della virtù benefica, e quell’albero, o sasso, da cui perora è il più legittimo trono, onde regge, e provvede i suoi volontari vassalli, che dietro lui s’armano alla difesa della patria, corrono a versar il sangue per Jei, tanto docili, e mansueti alla sita voce, quanto feroci nel lor valore; ed egli giugne a persuader gl’¡stessi nemici alla pace, a intimorirli, e soggettarli con patti giusti, e a minacciare insino i conquistatori, e dominatori, se divennero ingiusti co’ tempo; m* nel mezzo a’ suoi benefizi l’ingratitudùie, l’avarizia, e le altre furie, che mai non si arrendono del tutto, rivolgonsi controdi lui, e fan tumulti, e tessono insidie a suo danno. Ei non si turba, le guarda dall’alto fremer sotto a’suoi piedi, e colla forza delli innocenza, e della virtù le calpesta (1)Quando poi nulla giova a domarle egli cede tranquillo, e ritirasi o muore senza- ri-’ mor( i ) Nota decima seconda.
/ ItsConclusione* morsi. Socrate oppresso bee la cicuta, nè s{ lamenta, Temistocle tentato d’infedeltà s’av» veler.a piuttosto, che tradire la patria. Scipione accusato trae seco il popolo a ringra.
ziare gli Dei, e va in esilio spontaneo.Tut» li portano seco la virtù, e seguon sempre 3 far bene agli stessi nemici, insegnandola nelle disgrazie più bella, e più costante, e !a,.
sciandone per sola vendetta i tardi rimorsi e la vergogna a lacerare coloro, che armati di ¡pregiudizi, sedotti da false guide, eida zelo jnascheraro odiaron la luce alcun tempo, e poi disingannati la riconobbero a lor dispet» io, vider tolti gli errori, e cambiato il lor secolo, la verità, e la ragione a nuova vita tornate da quegli stessi, che furon lor vit- time, e che or volendosi indarno, e troppo ^ tardi richiamare alla vita si pongono sugli 9 pltari (i).
Chi fl ( l ) Ecce spcEìaculum Dso dìgnum vir for.
t/s cum mala fortuna compositus!
Seneca disse sublimemente; ed io l’ho veduto cogli occhj miei non d’un sol uomo nè di i Chi sulla storica verità volesse fare il ritratto del genio co’proprj lineamenti da noi osservati dovrebbe così concepirlo.
Un uomo non giovane, ancor fresco, e robusto con occhi ardenti, che scende di cielo tra rai di luce. Febo, e Minerva lo seguono a fianco, ha in mano fiaccola accesa, che stende verso la terra. Il fuoco, e lo splendore di questa fa uscir dai boschi gli uomini incolti, stendendo a lui le mani; egli lor sorridendo gl’investe della sua luce, e porge loro vincoli d’oro; mentre le due Deità 1’ una offre la lira, e il compasso, dopo l’altra, che dà le leggi in un libro, e bilance. Già cominciano alcuni ad arare la terra, guardando in lui tratto tratto, a temprar metalli, a fabbricar navi; altri dipingono e scolpiscono in. un luogo, ove già sorgono case, templi e città. Fuggono da un lato la mentii pochi verificato, e non per breve tempo e sino all’estremo. Ben altri che Seneca de^ gno era d’ammirare un cotale spettacolo. menzogna, l’ignoranza, l’ozio, ed i vizj, scoccando dietro le spalle le freccie a ferirlo. La verità, e la ragione gli insegue; lasciando rotte quà, e là le catene, onde furono avvinte.
Fine della seconda parte.