Del veltro allegorico di Dante/XXXIX.
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XXXIX. Verso la metá dell’anno 1309 giá nel giovinetto Can della Scala cominciavano ad apparire le prime scintille del suo valore. Collegatosi egli con Franceschino Malaspina, recossi con alcuni dei Buonaccolsi a Parma in soccorso di Giberto di Correggio per guerreggiare i guelfi delle circostanti cittá (settembre ió). Ma Bernardino da Polenta si era nuovamente unito a costoro, e in nome della Chiesa romana con parte degli Estensi assediava Ferrara, la quale cadde in mano degli assalitori: Clemente V ne diè il vicariato al re Roberto di Napoli (1310). Meno felici furono le armi di Uguccione della Faggiola contro i fiorentini a Cortona (febbraio io): egli nondimeno riportò lode di coraggio e la rotta non indeboli la sua dominazione in Arezzo. Finalmente Arrigo VII, composti gli affari di Alemagna, debellati i conti di Carinzia e di Vittemberga, fermò il piede in Losanna, ove accorsero gli ambasciadori dei signori e delle cittá italiane: Lapo degli Uberti sosteneva le parti dei ghibellini esuli di Firenze. Al primo romore della venuta di Arrigo, Dante parti di Francia; fosse ito a Losanna o altrove per inchinarglisi, certamente non fu egli ultimo a salutarlo. E, riveduti i suoi compagni di esilio, cominciò pubblicamente a scrivere o ad operare in lor nome, non tralasciando talora d’impiegare il suo nome particolare, come nella lettera che innanzi la venuta di Arrigo ei drizzò ai due re d’Italia Roberto e Federigo, e ai senatori di Roma, ai duchi, ai marchesi, ai conti ed ai popoli tutti. Annunziava, che giá il re dei romani affrettavasi alle nozze d’Italia, e che a tutti avrebbe conceduto il perdono. E poiché infino al giorno di questa lettera, Clemente V si era mostrato favorevole ad Arrigo, il poeta dimenticò di avere un di riputata simoniaca l’elezione di quel pontefice, né omise di esortare le genti ad onorare il vicario di Pietro: vicina essendo l’ora in cui le potestá della Chiesa e dell’imperio avrebbero terminato le pene d’Italia, e lui cogli altri esuli ristabilito nelle loro cittá.
Ma i fiorentini travolsero così utili consigli e questa tanto giusta speranza, quando pervennero in Firenze gli oratori di Arrigo (luglio 3). Chiesero questi ricetto alle truppe dell’imperio, ed onori al re dei romani allorché venisse in Italia: cessasse tosto la guerra che ardeva tra i fiorentini e la cittá di Arezzo, cui presedeva Uguccione della Faggiola. Risposesi, non dovere Arrigo patire che in Italia barbare genti stanziassero: si sarebbe deliberato altra volta intorno alle rimanenti domande. Roberto di Napoli riscaldava siffatte superbie dei fiorentini; e poco stante si recò fra essi di Avignone (settembre 30), ove si era fatto signore dell’animo di Clemente V. Da indi in lá il papa non si governò che col piacer di Roberto, posta dall’un dei lati ogni amicizia pel re dei romani, cui nondimeno spedi legato Luca del Fiesco cardinale, fratello di Alagia Malaspina: questo fu ciò che l’Alighieri disse, aver Clemente l’alto Arrigo ingannato (Parad’. XVII, 82). E dopo la morte del papa il poeta rinnovò le accuse antiche di simonia (Farad. XXX, 148). Intanto Clemente V dichiarò vicario in Romagna Roberto di Napoli (ottobre), che giá era vicario in Ferrara, il quale Roberto fe’ mettere in ceppi Scarpetta degli Ordelaffi, quantunque avesse conceduto asilo ai bianchi ed ai ghibellini toscani, che in quella provincia vivevano rifuggiti.