Del veltro allegorico di Dante/XXX.
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XXX. Mentre i Malaspina gli davano siffatti agi, Uguccione della Faggiola si preparava tacendo a piú vasta impresa. I fiorentini che da cinque mesi avevano indarno assediato Monte-Accianico, usciti della speranza di averlo per forza di armi, lo comprarono dagli Ubaldini e da Geri figlio del giá Ugolino da Feliccione (ottobre 22). Ne andarono indi a guastare le terre di Tano Ubaldini e di suo figlio Francesco nei gioghi di Carda e di Apecchio, non lungi dai domini dello stesso Uguccione; il quale né si riscosse, né giudicò maturo l’oprare. Di lui non rimangono in quell’anno che notizie di fatti domestici, dai quali nondimeno derivarono conseguenze pubbliche: sua nipote Chiara o Alta-Chiara degli Onesti, figlia di Giovanna della Faggiola, sposò Ribaldo conte di Carpigna; suo fratello Federigo si ascrisse con solenne rito nella badia del Trivio alla famiglia camaldolese (novembre 24).
Piú minaccioso, per nuovo pericolo di guerra, sopraggiunse l’anno 1307. Avevano gli errori di fra Dolcino da Novara eccitato non piccola sedizione in Lombardia: ma preso per lame, fu egli arso vivo (marzo 25); e il legato Cardinal degli Orsini, libero dalla paura di quei turbamenti, si rivolse a punire i guelfi ritrosi di Bologna e di Lucca e di Firenze. Congregò adunque in Romagna i ghibellini e bianchi della contrada, e coll’aiuto di Scarpetta degli Ordelaffi, eletto nuovamente capitano dei ghibellini della provincia, pose in punto numeroso stuolo di armati: maravigliando gli uomini di vedere un cardinale sospingersi contro coloro che dicevansi guelfi. E Federigo Feltrio anch’ei seguitò il cardinale. Dall’altra parte, Malatestino dell’occhio e i sanesi campeggiarono contro i! legato a favore di Lucca e di Firenze (maggio). Il cardinale disceso in Arezzo, pervenne di quivi nel Casentino a Romena: intanto i sanesi recarono danni gravissimi al paese d’intorno ad Arezzo in Val di Chiana ed in Val d’Ambra. Per questo fatto ei pubblicò gravi scomuniche a danno di Siena (settembre 16), che sbigottita ottenne perdono e fu da esso ribenedetta. Scarpetta degli Ordelaffi affrontossi alcuna volta con Malatestino: il successo fu dubbio, e senza prò allungossi la guerra. Infine la costanza dei fiorentini la terminò: e si cadde l’animo al cardinale, che, tralasciata la fazione, ritornò in Avignone alla corte del papa, onde avvisare i mezzi per rinnovare le offese contro Firenze. Ma le mene degli ambasciatori di questa furono da tanto, che al cardinale venne tolta la legazione: di che grave dispetto ebbero in Italia i ghibellini ed i bianchi, levatisi dapertutto a pubblicare che il papa ottenuto avea la sedia da Filippo il bello, simoneggiando. Né Dante si astenne da siffatti rimproveri, e minacciò Clemente V che l’inferno avrebbelo dopo Bonifazio albergato fra i simoniaci (Inf. XIX, 82-87). Queste cose poté l’Alighieri scrivere in Lunigiana, e piú facilmente di poi quando il papa ebbe disapprovato la guerra del Cardinal degli Orsini: essendo in balía del poeta l’inserirne alcune ove piú fossegli tornato a grado nell’Inferno, che non per anco avea veduto la luce.
L’Alighieri non era stato lungi da quella guerra. Non cosí gli fu noto in Lunigiana il proponimento del cardinale, reso grazie ai Malaspina, venne in Romagna, ove il chiedevano gli affari della sua parte: qui nella qualitá di segretario di Scarpetta degli Ordelaffi lo pongono in questo anno fino al seguente gli storici di Forli, sulla fede non incerta delle antiche scritture, quantunque ora disperse. Né sará increduto di ciò chiunque attentamente voglia farsi ad esaminare i quattro canti dell’Inferno dal vigesimo settimo al trigesimo, i quali sembrano destinati a non parlare se non della Romagna e degli uomini che guerreggiarono a favore o contro del cardinale. In quei canti, oltre l’episodio pertinente a Guido di Monte Feltro (Inf. XXVIII), si leggono l’ammirabile descrizione dello stato della provincia, qual’ella era nel 1300 (Inf. XXVII, 37-54), e le varie lodi degli Ordelaffi (Inf. XXVII, 43-45) o dei Polentani (Inf. XXVII, 40-42) e i discorsi di Piero da Medicina; il quale, rimpiangendo il dolce piano di Lombardia (Inf. XXVIII, 7475), e toccato dal recente caso di fra Dolcino (Inf. XXVIII, 55-60), rammenta la tirannia ed i tradimenti del guelfo Malatestino (Inf. XXVIII, 76-90). Deplora poscia il poeta i mali estivi di Val di Chiana (Inf. XXIX, 47), ove nella scorsa está i sanesi aveano combattuto i bianchi: luoghi allora si tristi, come oggi son lieti. E crucciato riprende i sanesi della lor vanitá, non dubitando punto di paragonarli coi francesi, che teneva per vanissimi (Inf. XXIX, 125-132), e che intanto gli sembrarono superati dalle stoltezze della famosa brigata sanese detta la godereccia, della quale parlerò nelle Istorie. Cosi, leggendo il poema, da per ogni dove si conosce l’orma delle passioni e delle ire di Dante: ma non si comprende perché, trascorsi vent’otto anni dalla punizione di maestro Adamo da Brescia, l’Alighieri avesse voluto attribuire il principale odio di quel delitto ad Alessandro conte di Romena (Inf. XXX, 76-78), con cui avea familiarmente vivuto nella guerra contro Firenze. Forse Alessandro parteggiò coi fratelli Guido e Aghinolfo contro il cardinale, allorché questi giunse a Romena.