Del veltro allegorico di Dante/XXXI.
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XXXI. Partito il cardinale degli Orsini, la guerra tacque in Toscana, e continuò per alcun tempo in Romagna (1308); donde si apprese d’intorno al ferrarese, al parmigiano ed alla Liguria. Guido III da Polenta giá vecchio e il decrepito Malatesta di Verrucchio aveano lasciato il peso dei pubblici affari, l’uno ai suoi figli Bernardino ed Ostasio, l’altro al crudele Malatestino dell’occhio. Ferocemente questi nuovi signori odiavano gli Ordelaffi, ed erano gelosi fra loro. La morte di Azzone VIII di Este (gennaio 3), cui Dante di molti vizi ed accusa (Da vulg. eloq. lib. I, cap. 12) e deride (ibid. lib. Il, cap. 6), accese fra i successori di lui cotanto fiera discordia che alcuni fra essi posero Ferrara in potestá di Clemente V e della Chiesa romana. Giberto di Correggio, vinto dai guelfi ai quali era stato infedele, fu costretto ad uscire di Parma coi ghibellini (marzo 26). Mantova era il piú fidato rifugio di costoro, grazie ai Buonaccolsi. Cane Grande, pervenuto all’anno decimo settimo con solenne pompa era chiamato a parte del governo di Verona da suo fratello Alboino: l’altro loro fratello Giuseppe reggea la badia di San Zeno, inteso unicamente a darsi piacere o ad arricchire i due suoi figli naturali Bartolommeo ed Alberto. Signoreggiavano in Genova Branca Doria ed Opicino Spinola; e frequente incursione contro essi facevano gli esuli Fieschi, parenti di Alagia Malaspina. In questo mentre (maggio 1) mori Alberto di Austria imperatore, trafitto da un suo nipote: ciò che accrebbe il rigoglio alle fazioni d’Italia. Franceschino Malaspina rapido accorse in aiuto del cognato Giberto, e il rimise in Parma (giugno 28): meno avventurosi gli altri suoi congiunti del Fiesco assaltarono Genova (agosto 20), e furono aspramente percossi dallo Spinola e da Branca Doria. Intanto i romagnuoli con miglior consiglio tornarono alla pace interrotta dalla spedizione del Cardinal degli Orsini; Bologna, Imola, Faenza, Forli, Cesena, Rimini e Bertinoro, spettatrici della guerra che ardea fra gli Estensi a cagion di Ferrara, si congiunsero nuovamente con amichevoli patti: e Scarpetta degli Ordelaffí cessò dall’otficio di capitano.
Allora cessò il poeta da quello di segretario. Ritornato a Padova, ove la cura del figlio avealo richiamato, recossi a Verona pieno della fiducia che avesse quivi a godere dell’antico favore quale nei tempi del gran lombardo. Ma l’autoritá dalle mani dell’indolente Alboino era passata nel giovinetto Can Grande, il quale non vagheggiava per anco se non le cose di guerra: e, sia che i tre Scaligeri avessero avuto poco benigno riguardo nell’Alighieri, sia ch’egli avesse oltre il dovere sperato, non tardò Dante a lasciar Verona per ritornare in Lunigiana: se solo, se accompagnato dal figlio, s’ignora. Nel viaggio potè da Mantova divertire a Reggio, nella quale si sa che il ricevè in casa e l’ebbe caro Guido dei Roberti di Castello, cui la schietta sua natura e l’indole ingenua meritarono il nome di semplice lombardo.