Del rinnovamento civile d'Italia/Documenti e schiarimenti/VII
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VII. Memoriale della società federativa italiana ai ministri sardi
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VII
memoriale della società federativa italiana
ai ministri sardi
(Dal Risorgimento, 13 settembre 1848).
Eccellenze,
I membri della societá nazionale testé fondata per promuovere e condurre a termine la confederazione italiana, presentandosi al cospetto vostro come privati interpreti della pubblica opinione intorno ai bisogni urgenti e ai piú gravi interessi della patria comune, credono di far cosa grata al generoso animo vostro e di porgere ossequio all’alto grado onde foste investiti dal principe. Egli è proprio degli Stati liberi e della civiltá provetta che l’azione governativa risulti dall’armonico consenso del potere esecutivo col senno dei piú; tanto che le risoluzioni di quello siano l’adempimento dei voti di questo e mettano, per cosi dire, in opera il pensiero della nazione. E a niuno meglio s’addice l’essere esecutori del pubblico volere che a voi, eccellentissimi signori, le cui diritte intenzioni e lo zelo patrio son da tutti riconosciuti, e che foste sortiti dalla provvidenza ad essere il braccio di quella monarchia popolana e civile, la quale oggi fra noi incomincia non solo a bene e ad onore d’Italia ma eziandio (ci giova almeno sperarlo) a salutevole esempio per tutta Europa.
Venendo al vostro cospetto schietti e liberi espositori di ciò che si pensa e si desidera universalmente, noi siamo lungi dal supporre che il comune desiderio dissenta dai vostri consigli. Anzi ci gode l’animo di poter riconoscere espressamente il contrario; ci gode l’animo di poter confessare che le idee da voi significate nel vostro programma si accordano con quelle di tutti i buoni italiani. E noi veniamo appunto per attestarvi questa concordia, per dichiararvi che la vostra professione di fede politica è quella di tutta la penisola. Posti nelle regioni private della societá come voi occupate le altezze del potere, noi siamo forse i testimoni piú idonei dei sentimenti comuni e gl’interpreti piú autorevoli di una veritá che dee giungere dolcissima e confortevole al vostro cuore; cioè che il vostro pensiero è quello d’ Italia e che il petto di piú di venti milioni d’uomini risponde unanime alle vostre parole.
Qual è infatti, Eccellenze, il fondamento della vostra politica se non il principio supremo dell’assoluta autonomia d’Italia e il fatto compiuto, non meno importante, dell’unione contratta fra le provincie settentrionali di quella in un solo regno? Ora la pubblica opinione vuole del pari la conservazione di questi due diritti e colloca in essi la base del nostro Risorgimento. Per quanto abbia care le libere istituzioni, essa crede che sottostiano alla indipendenza e alla unione nazionale; giacché una nazione può essere forte e potente, ancorché non sia libera, ogni qual volta sia unita e abbia la signoria di se stessa, e quando è forte e potente, non può indugiare il miglioramento degli ordini interni e l’acquisto delle sue franchigie. Laddove gli Stati forniti di queste, ma privi di autonomia e di legami reciproci, possono rappresentare le membra disperse, non mica il corpo di una nazione. Che se l’unitá rigorosa manca all’Italia e non è ottenibile nelle sue presenti condizioni (il che vien consentito da tutti gli uomini ragionevoli), una lega politica de’ suoi vari Stati può supplirvi, purché sia tutelata da un regno potente che stringa in un sol fascio le parti boreali di essa e le protegga dagl’impeti esterni. Considerata per questo rispetto, l’unione stabilita fra il Piemonte e i ducati colle provincie lombardovenete è non solo un patto altamente nazionale, ma il fatto piú importante per la redenzione italiana che sia avvenuto ai nostri giorni ; imperciocché senza di esso e le libertá interne e la confederazione dei vari Stati e l’indipendenza medesima non sortirebbero lo scopo proposto, quando tutti questi beni sono incerti e precari senza un forte presidio che li mantenga. Dal che si deduce che la fondazione del regno dell’alta Italia è l’atto piú legale e legittimo che immaginar si possa, non solo pel mirabile accordo del principe, del parlamento e dei popoli, che procedendo per le vie piú regolari e giuridiche concorsero a sancirlo, ma eziandio e principalmente per la sua intrinseca opportunitá e ragionevolezza, come quello che non si può disgiungere dai supremi interessi della nazionalitá italiana. Quindi esso si dee stimare definitivo e inviolabile; giacché i popoli, che sono onnipotenti per migliorare le proprie sorti, non possono nulla per peggiorarle, e la volontá loro, che ha forza di suprema legge quando si conforma alla natura delle cose ed al pubblico bene, perderebbe la sua prerogativa, se loro si opponesse; se, in vece di avvalorare i vincoli della fratellanza e i propugnacoli della autonomia nazionale, rinnovasse le divisioni antiche e riconducesse la patria comune a quello stato di debolezza che è da tanti secoli l’unica fonte delle sue sciagure.
Nutrendo questi concetti, i buoni italiani non possono separare la considerazione della patria dai riguardi dovuti a quell’uomo, a cui molti di noi sono stretti per debito di sudditanza e tutti per obbligo di gratitudine. Quale è infatti il titolo che da due anni l’Italia unanime e riconoscente dá a Carlo Alberto? quello di liberatore della penisola, di vindice della sua indipendenza, di fondatore di quel regno settentrionale che dee presidiarla dalle aggressioni forestiere. Per questi vanti il re nostro sovrasta alla folla dei precessori e dei coetanei nei privilegi della potenza; per essi si è reso ammirabile al suo secolo e il suo nome passerá fregiato di gloria unica alla piú tarda posteritá. Le idee dell’unione e dell’autonomia italica essendo, per cosi dire, incarnate nella sua persona, l’onore di questa è inseparabile dal mantenimento di quelle, la salute della patria è indivisa dalla fama del principe. Non si possono violare od offendere menomamente le prerogative della nazione senza ingiuria e fellonia verso il monarca che tolse a redimerla, e che cadrebbe dall’alto seggio di splendore in cui si è collocato se la sua impresa non fosse condotta a compimento. Tanto che il debito dei buoni sudditi non si può in questo caso disgiungere da quello dei buoni cittadini; e niuno piú di voi, eccellentissimi signori, è atto a sentire l’importanza di questo vincolo, quando niuno vi supera nella caritá della patria e nella devozione verso il principe.
Tal è lo stato universale dell’opinione non solo in Piemonte ma nelle altre provincie italiche, alle quali non pochi di noi appartengono; onde si credono in obbligo di attestarvi un fatto necessario al compimento delle vostre intenzioni. Imperciocché i governi eziandio migliori possono poco senza l’appoggio dell’opinione pubblica, ma sono onnipotenti quando vengono da essa avvalorati. Corrono da alcuni giorni romori sinistri sulle condizioni proposte dalle potenze mediatrici fra noi e l’Austria, e si afferma da molti che tali condizioni offendano il fatto compiuto dell’unione e il principio dell’autonomia italica. Quando ciò sia vero, noi teniamo per fermo che le dette potenze siano per modificare le proprie risoluzioni, ogni qual volta si persuadano che esse contravvengono al fermo volere degl’italiani. Il contrario non si può supporre, trattandosi di nazioni cosi savie e cosi generose come la Francia e la Gran Bretagna; sovrattutto se si considera lo scopo che si propongono, il quale si è di pacificare l’Italia e d’impedire che le armi e le discordie della penisola partoriscano una guerra europea. Ma il rimedio sarebbe vano, se la pace proposta offendesse il nostro onore, distruggesse i nostri diritti, annullasse i nostri desidèri, le nostre speranze e gli sforzi eroici di due anni, frutto di tanti sudori e di tanto sangue; come quella che, invece di produrre la quiete desiderata, aggiungerebbe la guerra civile all’esterna, metterebbe in rivolta e in tempesta le varie provincie, preparerebbe infallibilmente la rovina della monarchia italiana e delle nostre instituzioni. Eccovi, eccellentissimi signori, le considerazioni che renderanno efficaci e potenti le vostre parole al cospetto di tutta Europa, mostrandole avvalorate da quella opinione pubblica che oggi signoreggia i governi e decide sovranamente della sorte delle nazioni.