Del principe e delle lettere (Alfieri, 1927)/Libro primo/Capitolo IX

Capitolo IX

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Capitolo Nono

Che gioverebbe al principe di estirpar le lettere affatto, potendo.

Se un solo principe vi fosse su questo globo, o se nessun altro governo vi fosse che il principesco; o se qualche isola cosí ben guardata vi fosse, da cui nessun uomo uscire, né alcuno entrar vi potesse, credo che in questi tre casi, il principato potrebbe con suo manifesto vantaggio proscrivere ogni lume di lettere e ogni qualunque libro che non insegnasse il servire. [p. 122 modifica] Non si può mettere in dubbio che l’uomo che si trova soggetto non vuole per natura obbedire, se non il meno ch’ei può; e cosí quello che si trova sovrano, vuol comandare il piú ch’egli può. Al principato dunque gioverebbe moltissimo la totale cecitá e ignoranza dei sudditi tutti; né mi par questa una proposizione che abbisogni di prove. Ma dico di piú: che in un tale stato di cose, la ignoranza perfetta dei sudditi gioverebbe al principe assai piú che non possono nuocergli nello stato presente i tanti lumi che a noi pare d’avere. E di quanto asserisco ne trovo la prova nei fatti. Malgrado questi nostri tanti lumi, malgrado che da molti di noi ben si sappia, che ogni autoritá illimitata non può avere altra base che la nostra debolezza, e non mai l’altrui forza, poiché nessun uomo ne ha tanta in se stesso da poter tutti sforzare, ogni giorno pure, e ad ogni capriccio da noi ciecamente si obbedisce tacendo. Al contrario, nei paesi di perfetta ignoranza, l’autoritá assoluta vien riputata o il diritto divino, o privativa di quella tale stirpe, o necessaria o inerente alla natura dell’uomo; e quindi ogni fantasia del dominante viene senza mormorare accettata come giusta inviolabile e sacra legge. Certo è che per gli animi volgari piú queta e secura cosa riesce il comandare a chi non dubita punto se obbedire si debba; ma questo prezioso dubbio, trasmesso alle nazioni moderne europèe per via dei libri antichi, non si può da nessun principe con niuna forza estirpare del tutto. Ed in fatti, per quanto siano mai state perseguitate o si perseguitino le lettere e i letterati, non si potrá però mai annichilare un Tacito; e questo solo è piú che bastante per rivelare agli uomini ogni segreto dell’arte principesca. Mi pare dunque chiarissima cosa che il tentare d’impedire a mezzo ogni seme di vera letteratura non sia né prudenza, né ragione, né astuzia, nel moderno principe. Nel mostrare egli di molto temere, ciò che l’effetto e l’esperienza debbono avergli insegnato oramai, che poco si dée temere da chiunque lo sa deviare, il principe non accresce di nulla la propria sicurezza; ma bensí in molto maggior dose si va egli procacciando in tal guisa e l’odio e il disprezzo di tutti. [p. 123 modifica]

Maometto secondo, nell’impadronirsi d’Alessandria, fece ardere tutti i libri raccolti dai Tolomei, come inutili per chi sapeva obbedire, e dannosissimi per chi nol sapeva. Ma, molti secoli innanzi, quegli stessi Tolomei regnando assoluti in Egitto; molti secoli dopo, Lodovico decimoquarto e assai altri principi, regnando assoluti in Europa, premiarono pure ed onorarono infiniti scrittori. Ora io domando: Que’ Tolomei in Egitto, questi Luigi, o Carli, o Franceschi in Europa, volevan eglino esser meno obbediti che quel Maometto? nol credo; ma stimavano essi che alla obbedienza dei sudditi, o niente, o pochissimo nuocessero e gli scrittori ed i libri.

Né i principi nostri, in ciò credere, s’ingannavano punto, visto i moderni tempi ed i costumi europei. Questi nostri costumi che ogni cosa a mezzo ci dánno, che coll’educazione indeboliscono sempre a metá la natura, e colla metá della rimanente natura corrompono e annichilano spesso quanto avrebbe operato la educazione; questi stessi costumi dai quali non può andare esente il principe, poiché vi è nato egli pure, lo costituiscono un ente che non si accorda mai con se stesso. Ed in fatti, egli riunisce contraddizioni massime e perenni, egli vorrebbe e non vorrebbe, egli è feroce ed umano, despota e privato; e mille altre cose miste e contrarie tutte fra loro; da cui nondimeno sempre ne risulta l’intero nostro obbedire e tremare; e il non esser noi, per dir vero, né egiziani né turchi, ma né tampoco romani, né greci.