Del coraggio nelle malattie/XXIV.
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XXIV.
Temo di abusare dell’altrui sofferenza coll’estendermi ancor più oltre in questo argomento. Le poche linee gettate bastino a farne comprendere la sua importanza, e l’estensione che gli si può dare. Quindi io conchiudo che il coraggio sia una qualità dell’animo, di cui non può l’ammalato esserne privo senza probabilità di ulteriori discapiti. Tutte le qualità che in lui si vorrebbero, restano qualità impotenti, se questa pure non vi si unisce. Al contrario la qualità della forza dell’animo, vale a dire del coraggio, ella sola porta seco necessariamente tutte le altre, e tutte le rende efficaci, o supplisce ella per tutte.
Non mi si riprenda, se paja a taluno, che io voglia d’ogni ammalato far un eroe, giacchè dal vero coraggio sorge il vero eroismo. Vi ha egli occasione più grande e più gran bisogno di esserlo, che per la difesa e per la salvezza de’ proprj giorni? Regge egli il paragone tra il fine, cui mire l’uomo di Stato o di Guerra, o qualunque altro, e il fine, cui tende l’infermo? Se nel primo è indispensabile l’eroismo, quanto più non se l’ha ad augurar nel secondo?
Che dicasi esser difficile in ogni infermo stabilire questa prerogativa, io non potrò opporvimi. Tocca agl’infermi stessi, e ai Professori giudiziosi, e a chi può svellere le prave abitudini e fornir gli animi di migliori principj, tocca, diss’io, l’esser penetrati di simile verità, e togliere, o almeno scemare siffatta difficoltà.
Rimane trattanto inconcussa la massima che l’ammalato che si sia fatta sua la virtù del coraggio, possiede la virtù la più eroica e della maggior conseguenza, ed è al grado di far fronte alla sua infermità e di superarla, assai meglio dell’ammalato che sia codardo e di debole o niuno spirito.
Lo che più facilmente ancora se lo comprende, qualora si rifletta che cotal coraggio da noi non si considera come solamente parte della Medicina così detta aspettante, ma come parte potissima eziandio della operante.
Per riguardare la medicina come operante, non è di mestieri che ella impieghi un medicamento, tale propriamente chiamato, nè un ajuto meccanico o chirurgico; ma egualmente si merita questo titolo, allorchè si serve d’un soccorso morale, se questo soccorso è capace di produrre nello stato fisico dell’ammalato un cambiamento qualunque. Simile proposizione suggerita dalla ragione è quella che tra gli altri dottamente comprovò già tempo il cel. Gaubio 1 co’ suoi sermoni Accademici, e che diciferarono poi, non ha guari, i valorosi signori Voulonne2 e Planchon3 nelle loro cel. Memorie coronate nell’Accademia di Dyon, ed il signor Falconer4 nella sua dissertazione coronata dalla Società di Medicina di Londra. „La classe dei soccorsi (dicea il suddetto Signor Voulonne), che la Morale può alla Terapeja somministrare, è pressochè sconosciuta. Per venire in chiaro, sarebbe d’uopo esaminare con aggiustatezza quale spezie, e qual grado di mutazione produca cadauna passione in sulla macchina. Intanto che s’attende che dei genj capaci di osservare ci dieno dei lumi sufficienti per sì importante oggetto, ella è probabile cosa che il pregiudizio di combattere le malattie coll’armi usitate sia per continuar a trionfare. Un consulto medico che s’aggiri soltanto sopra gli ajuti morali, viene a tacciar d’ignoranza il savio Professore che lo dà, e che è cotanto onorato di non voler sopraccaricare un ammalato di medicamenti in que’ casi, ove essi medicamenti sono evidentemente o inutili, o dannosi„.
Ai voti del surriferito Voulonne, anzi del Pubblico, corrispose tra gli altri il mentovato Falconer nella citata dissertazione; ma non dubiterei di affermare che meglio ancora ci avrebbe corrisposto il ch. mio Cugino e Maestro A. Pasta, se a termine avesse potuto condurre l’Opera sua, da lui per tanti anni studiata, e da lui promessa in varj degli scritti suoi, e meritamente poi da me encomiata nello spirito che5 diedi della sua medicina. Ma la di lui morte ne ha precorso il compimento. L’argomento era fatto famoso: egli era de morbis sine materia, de iis videlicet qui nello intercedente humore gignuntur6.
FINE.
- ↑ De Regimine mentis quod medicorum est. Serm. II. Accademici.
- ↑ Memoire ec.
- ↑ Le Naturisme ou ec.
- ↑ Sopraccit. De l’influence des passions sur les Maladies du corps humain.
- ↑ Lo spirito della Medicina del cel. Andrea Pasta, tratto da varj suoi scritti, e dal suo esercizio medicinale. In Bergamo dalla Stamperia Locatelli 1790.
- ↑ Ognun vede che doveva esser d’un ordine di mali, ne’ quali l’animo ci ha una gran parte e a produrli e a discacciarli. Dovevamo dunque avere un Trattato Medico-Morali da far epoca in Medicina. Diffatti io serbo un fascio grossismo di materiali mss. di osservazioni, di citazioni e di documenti da esso lui raccolti dalle annotazioni dell’annosa sua pratica, e da una moltiplicità indicibile di Autori, i quali materiali servir dovevano alla costruzione di questa insigne Opera. Da tale ammasso, scritto tutto in idioma latino, scintillano, per così esprimermi, infiniti raggi di una profonda erudizione, e di una dottrina tutta nuova in un argomento nuovo e importantissimo. Nel suddetto Spirito della sua Medicina io ne pubblicai una prefazione da esso abbozzata, che può far fede dell’elevatezza dell’assunto suo, e del pregio de’ suoi sentimenti. Ella è in latino, perchè appunto in latino aveva divisato che fosse cotal Opera, sì per farla conoscere a tutto il mondo medico e letterario, sì per altre ragioni che qui non torna raccontare. Se le mie occupazioni me lo permetteranno sono tentato di trarre un dì dai sopramenzionati materiali almeno le prima linee di tutta quest’Opera, e con esse farne un prospetto più compiuto che si possa mai, il quale lusingomi che dal Pubblico possa essere molto aggradito, siccome già da varie parti me ne vien dato l’eccitamento
Dei pensieri generali dell’Autore su tale materia ne abbiamo varj, sparsi qua e là ne’ suoi scritti, e ne abbiamo anzi alcuni brevi sermoni, composti quali in latino, e quali in italiano; e questi or inchiusi in qualche suo Consulto Medico, or mandati a piccolo saggio a’ suoi Amici, e Corrispondenti, or intrecciati nel suo Dizionario intitolato: Voci, e Maniere di dire ec., or altrove: ma sono tutti di poco momento, che direi membri staccati d’un corpo grande, che intero ci macchinava di poter finalmente dar alla luce.
Anzi aggiungerò, che questi istessi pezzi conviene che non affatto adeguassero il suo gusto e criterio, per quello che siccome egli bramava d’aver in pronto qualche sua medica produzione da presentare, com’era suo dovere e come a me stesso a viva voce comunicava, ai celeberrimi Accademici di Norimberga, in corrispondenza e in segno di riconoscenza dell’aggregazione spontanea che avevan essi fatto di lui alla loro Accademia, qualche anno prima della di lui morte; così poich’egli ha mancato a quest’obbligo e insieme al suo desiderio, si può conghietturare, che i succennati pezzi li giudicasse o non lavorati con quella maestria che era sua propria, o non ancor compiuti, o a tutt’altro destinati che ad esser sottoposti agli occhi di così illustri Suggetti.
Di più per mezzo mio gli fu ricercato nell’istesso anno che è passato a miglior vita, dai signori Fratelli Reycends Librari notissimi, abitanti in Milano ed in Torino, qualche suo parto Medico da stampare relativamente al tema sopraindicato, dappoichè infinita era la fama e l’espettazione del Pubblico circa siffatto lavoro di A. Pasta. E per mezzo mio fu loro risposto, che nulla ei teneva di ridotto a termine sopra il consaputo argomento, e che ne momento che gli fosse riuscito di compiere qualche composizione di questa natura, volentieri l’avrebbe loro ceduta per darla alle stampe.
Tutto ciò a me piacque di far noto, affinchè sappiasi da ognuno, che qualunque scritto che intorno spargasi di questo Autore sopra i sovraccennati morbi sine materia ec., non è altrimenti l’Opera, che A. Pasta avesse ordita, e da tutti fatta attendere con quella brama che dovea provenire dalla giusta estimazione, in che egli era tenuto; e sappiasi ancora che io appoggiato alle suddette riflessioni oserei dire, che qualsivoglia dissertazione o discorso postumo di questo Scrittore, ai medesii morbi concernente, debba riguardarsi come manchevole dell’approvazione dell’Autore (lo che fra’ Letterati è troppo osservabile, malgrado anco che ci ritrovino qualche pregio) e che anzi comunque fosse reso pubblico, all’onore pregiudichi di quella prevenzione, che comunemente avevasi della prefata Opera, come di un’Opera veramente classica, e la più luminosa e distinta d’uno de’ migliori Medici del secolo.