Del coraggio nelle malattie/XXIII.

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Non si nomina chirurgìa senza che non si pensi ad un’arte, ove non solo il valente Professore, ma il paziente ancora che gli si mette tra le sue mani, si suppongono necessariamente guerniti del più deciso coraggio. Del primo ne siano ognora certi, del secondo alle volte per altro se ne dubita. Il dolore compagno sempre delle operazioni di quest’Arte prestantissima, sbigottisce al solo immaginarselo. Non sempre si può stringere a forza l’ammalato e sottoporlo ai ferri del chirurgo: non v’ha che il coraggio che ve lo determini. [p. 96 modifica]L’ill. Moore1 cercò un mezzo meccanico di diminuire il dolore delle manovre di chirurgía; ed a me pare che miglior mezzo ancora se l’abbia dal non mentito coraggio. Se ne vede l’uomo talvolta così compreso, che espone di per sè stesso la gamba, la mano all’istrumento pronto a reciderla, e non getta un grido, una lagrima nel perder parte di sè. Deriva questo eroismo dal carattere; ma se lo può ritraere eziandio da una energica riflessione e volontà, che o venga insinuata da saggia persona, o la si generi dall’anima piena di ragione, e di virile ferocità.

Per quanto abbisogni la medicina di coraggio ne’ suoi infermi, ancor più ne esige la chirurgía. Quando il chirurgo è al possesso dell’arte sua, non è in certo [p. 97 modifica]modo che alla metà della sua carriera, perchè deve essere al possesso anco dell’arte di piegar a suo talento l’animo de’ suoi malati per sottometterli di buona voglia e di buon coraggio alle sue provvide intraprese. Senza questa seconda parte ogni cura ordinariamente è imperfetta, l’attacco è sempre forzoso; la manifattura non succede con quella scioltezza e con quel garbo che si dèe, e il frutto è per lo più inferiore.


  1. Metodo di prevenire o diminuire il dolore in molte operazioni chirurgiche ec. Traduzione Picinelli.