I.

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Prefazione II.

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DEL CORAGGIO

NELLE

MALATTIE.



I.


Il coraggio è il sentimento il più nobile e il più potente in tutte le azioni e in tutti i bisogni degli uomini, ed è il più necessario negli ammalati.

Qualunque definizione che se ne dia, sarà sempre inferiore all’idea che se ne forma al solo nominarlo. Si desidera negl’infermi la speranza, la fiducia, la docilità, e simili affetti; ma son essi sempre deboli in confronto del coraggio, o sono almeno inefficaci se dal coraggio stesso non ne ricevono e forza, e aumento, e sostegno.

[p. 2 modifica]Il coraggio è nel morale ciò che nel mondo fisico è il moto. Questo crea, annichila, conserva, vivifica il tutto, sicchè senza di esso moto il tutto è morto: pressochè lo stesso fa nel nostr’animo il coraggio, ma in guisa che qualsivoglia sua azione si comunica al corpo sotto diverse relazioni, e con diversi effetti.

Egli è quello che meno increscevole ci fa riescire la molestia de’ mali; che ci procaccia la placida sofferenza delle egritudini, e la imperturbabile espettazione onde esse corrano i necessarj loro stadj; che anima la resistenza alla moltiplicità de’ sintomi morbosi; che avviva le secrezioni, e le escrezioni e le crisi; che corrobora i movimenti e le operazioni di tutto il sistema solidario; che accresce la forza a’ rimedj, e la condiscendenza alle prescrizioni del Professore curante „Tutto si unisce a sostenere il malato fino all’orlo del sepolcro, quando lo spirito ha [p. 3 modifica]forze bastanti per reggersi nelle calamità del corpo„ come si espresse energicamente il cel. Zimmermann1.

G. G. Rosseau2 disse che il corpo reso fievole infievolisce l’animo. Come dunque ne’ morbi sperar il coraggio, o sia quel maschio vigore dello spirito, che secondo questo Autore dipende dal buon essere e dal vigore del corpo? Se così è, replicherei, giacchè l’arte nostra tutta è rivolta a riparare agli sconcerti del corpo, come non può ella cercare de’ mezzi di provvedere anco all’altro, essendo certissimo che dal sollievo e dal ristoro di questi, suole il corpo esso pure ritrarne dell’avvantaggio?

Le facoltà di questi due enti, comunque si riguardino, non sono sempre collegate in un tale rapporto fra loro, che [p. 4 modifica]non possano essere frequentemente tra loro distinte, e suscettibili di diverse impressioni e mutazioni. Benchè veggiamo talvolta esercitare il corpo un impero dispotico sopra l’anima; pure questa non gli è sempre schiava. Sono troppo celebri i casi di chi nel corpo hanno tormenti e disagi, e serbano un’anima ferma e serena. La religione ce ne dà innumerabili esempj; la filosofia stoica non conosce che sì fatta legge: l’uomo imperterrito ne’ veri guai fisici si ritrova in tutto l’orbe; e i Restituti, e i Tassi, e i Cardani, e gli Scarron3, maltrattati nella loro macchina e tranquilli nel sofferire, li veggiam tratto tratto e da per tutto.

Dunque vi ha in natura il mezzo di staccar quasi la sensazione proveniente dal corpo, ovvero di resisterle in maniera da non averne discapito, anzi di più [p. 5 modifica]da fornirsi di una tal robustezza d’animo, che vaglia non solo a rintuzzare il cruccioso senso, ma a riportare ancora sulle stesse fisiche moleste cause e moderazione, e regolamento, e fuga delle medesime.

Perocchè in quella maniera che le malattie precedenti dall’animo, che sono pur molte e troppo note a’ Professori, non sono per la massima parte altrimenti superabili, che dall’animo stesso mutato e riformato; così ragion vuole che l’animo medesimo sia egualmente potente a prestar quasi un ajuto al corpo, di qualunque male ci sia travagliato. E se v’ha mutazione, o sia affezione d’animo, la quale universalmente giovi in pressochè tutte le peripezie corporali, e sia sopra ogni altra desiderabile e proficua, ella è appunto quella che rimonta l’animo su d’una certa forza e grandezza, per cui nè temiamo il malanno, nè ci dogliamo, o se [p. 6 modifica]il temiamo, e ci dogliamo, lo facciam senza avvilirci e senza soffocar quell’interna voce, che di continuo ne avvertisce che è d’uopo ne’ mali essere magnanimi e resistenti, vale a dire coraggiosi per disporci meglio a ricevere un migliore stato.

Chi voglia di tutto ciò saperne le ragioni, difficilmente ne otterrà l’intento, nè io sono da tanto di potergliele dimostrare: anzi sul bel principio confesso di non saperle „e quel superbo e mal inteso rossore (sclamò in simile proposito il ch. Padre Soave4) deve egli tenerci dal confessare candidamente di non sapere quello che non sappiamo?” A me basta accennare ciò che succede nell’uomo ammalato, e di darne qualche spiegazione, che a me paja la meno improbabile „L’Autore della natura, scriveva il [p. 7 modifica]cel. Saint-Evremont5, non ha voluto che noi potessimo conoscere ciò che siamo; dopo avervi inutilmente meditato si trova che è saggezza il non meditarvi di più, e il sottomettersi agli ordini delle cose, o sia della Provvidenza” . L’osservazione duqnue de’ fatti è quell’unica che può aversi e che ne può regolare.

Si osserva costantemente che il coraggio è in proporzione della passione che si prova. Più essa è forte, più s’ingrandisce il coraggio. Dunque la passione del maggior nostro bene temporale, qual è la esistenza e la conservazione di noi stessi, se è incomparabilmente più forte d’ogni altra, dèe anco il coraggio, da lei o per lei suscitato, al fine cui ella tende, essere più pronto, più consegente, e più forte che per qualunque altro scopo. Ministro esso, per così dire, di siffatta passione [p. 8 modifica]diviene il germe producitore della intima vivacità, e insieme la susta la più valida che porti gli ordigni della macchina corporea a un tuono della miglior resistenza contro ai dolori, ai pericoli, ed alla morte istessa.

Le grandi geste operate dagli eroi colla scorta di questo eccellente sentimento, insorto dalle passioni or dalla gloria, or dell’interesse, or dell’emulazione, or delle scienza, saranno sempre meno belle e meno laudabili delle azioni operate col mezzo del medesimo, nato dalla passione più naturale e più viva della salute e della vita. Se ai prefati eroi sfugga il coraggio, voi le vedete senza attività languire dove si sono arrestati, nè più oltre avanzare alle gloriose lor mete. Così l’uomo infermo, che sente il bisogno e l’instinto e la passion di guarire, languisce miseramente in questi pensieri, in queste voglie, in questa passione, se non gli [p. 9 modifica]si unisce quel fuoco animatore che accende e rinforza cotali interne affezioni, e che le tien animate nel contrastare all’inimico, cioè all’indisposizione.


  1. Esper. lib. III, cap. 8, pag. m. 86.
  2. Les Pensées ec. Part. I, art. Médecine.
  3. Ved. Zimmermann loc. cit.
  4. Loc. cit.
  5. Oeuvres.