Degli edifizii/Libro secondo/Capo X
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Traduzione dal greco di Giuseppe Compagnoni (1828)
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CAPO X.
Giustiniano ristaura Antiochia da Cosroe abbattuta;
la fortifica, e l’adorna.
Cosroe, barbaro re, senza riguardo nè al giuramento, con cui avea sottoscritta pace perpetua, nè alle somme di denaro, che per quella pace avea ricevuto, invidiando a Giustiniano Augusto l’acquisto con felice guerra fatto dell’Africa e dell’Italia, volle, piuttosto che stare alla fede del giuramento, seguire il suo furore; e colta l’occasione, in cui la massima parte dell’esercito romano era in occidente, invase le terre dell’Impero, recando egli medesimo la nuova del suo arrivo, poichè i Romani della spedizione de’ nemici non aveano avuta notizia veruna. Ora le città da Cosroe prese Giustiniano fortificò ed abbellì in maniera, che tutte oggi più che dianzi felici, niun timore hanno delle rovinose aggressioni de’ barbari, e sono pienamente sicure dalle loro insidie.
Tra le prime è da contare Antiochia, ora detta Teopoli, assai più forte e più bella per di lui opera divenuta, di quello che fosse per lo innanzi. Le sue mura prima erano più ampie, e comprendevano un vastissimo spazio, in cui erano e campagne coltivate, e fin anche altissime rupi: per lo che essa era esposta a molte insidie. Adunque egli la restrinse, quanto propriamente occorreva; nè più le sue mura cingevano uno spazio vuoto, ma solamente la vera città; e la parte inferiore delle mura, ove essa estendevasi non senza pericolo, perchè essendo posta in terreno molle, e pel troppo circuito non custodita, levò affatto; e la città convenientemente ivi raccolse e chiuse. Il fiume Oronte poi, che con lunghi giri la bagnava, costrinse a lambirne le mura, avendovi mutato corso; e condottolo per un alveo a quelle vicino, il pericolo tolse di mezzo che dalla soverchia estensione le veniva, e l’Oronte seguitò a farle riparo come in addietro. Ivi ancora nuovi ponti edificati sul fiume, questo alla città congiunse a modo, che avendolo allontanato assai dagli usi degli abitanti, venne a restituirlo al primo letto. Insiememente la cima piena di precipizii ecco come fortificò. Sulla vetta del monte, che chiamano Orocassiade, eravi una rupe, fuori bensì, ma però prossima al muro, e sorgente ad eguale altezza: il che faceva che si potesse senza difficoltà espugnare. E per questa via infatti Cosroe avea presa Antiochia, come a suo luogo narrai. Giaceva dentro le mura uno spazio ingombro di alti e rotti scogli, e gli alvei de’ torrenti per tal modo rompevano gli scoscesi sentieri, pei quali si viene di là, che ben si vede come quel luogo non dovea aver nulla di comune colla città. Egli adunque lasciati da banda quegli scogli, la cui vicinanza dava aperta comodità di occupare la città da quella parte, deliberò di piantare le nuove mura lungi dai medesimi, avendo per esperienza conosciuto quanto fossero stati mal’ accorti coloro che da prima l’aveano così fabbricata. Oltre ciò spianato il suolo, che dentro il recinto era pieno di aspri rialti e di precipizii, ne rendè facile la salita non ai soli pedoni, ma eziandio e a cavalcanti, e ai carri; e fabbricò bagni e serbatoi d’acqua in quegli scogli entro il circuito delle mura, e un pozzo fece scavare in ciascheduna torre; e la pristina aridità del luogo sparì mediante la copiosa provvigione d’acqua piovana.
Conviene poi anche dire quanto egli fece intorno al torrente che dai vicini monti discende. Due scoscesi monti soprastanno alla città, attaccati insieme. Uno di questi è detto Orocassiade, l’altro Stauri; nel luogo, in cui terminano, congiungonsi in un bosco; e un alveo v’è interposto, che riceve un torrente formatosi dopo le piogge, e chiamasi l’Oropnitte, il quale venendo da alto scorreva oltre le mura, e quando si gonfiava molto, spargendosi pei rioni della città recava danni grandissimi agli abitanti. Ora Giustiniano Augusto trovò a tal danno il rimedio. D’innanzi al luogo prossimo all’alveo, per cui il torrente portavasi alle mura, fece alzare una grossa chiusa, che fu condotta dall’alveo fino all’uno e all’altro monte; e ciò perchè quel torrente non ispingesse più oltre i turgidi suoi flutti, ma ivi raccolto ristagnasse. La chiusa avea finestre, e per quelle l’artefice la obbligò a lasciar passare l’acqua in modo da insensibilmente soprastare, e non più così rapidamente spingersi, come in addietro, contro le mura in tanta mole, ed inondare per conseguenza, e rovinar la città; ma dovesse dolcemente e placidamente passare, e spargersi per canali aperti a condurre le acque divise, ovunque gli antichi abitanti le aveano destinate.
Di questa maniera Giustiniano Augusto provvide alle mura di Antiochia, la quale rifabbricò dopo ch’era stata dai nemici messa tutta in fiamme. Fu gran rovina quella, chè distrutto o portato via tutto, della incendiata città non rimasero che i mucchi qua e là sparsi di rottami, a modo che gli Antiocheni non potevano più conoscere in che luogo fosse dianzi stata la casa di ciascheduno. Giustiniano adunque fatte raccogliere tutte quelle rovine levò di mezzo le tristi reliquie dell’incendio patito da ciascheduno nel suo particolare; e non sussistendo più nè portici, nè atrii colonnati, nè vie distribuite, nè quartieri, e non sapendo nissuno ove piantar la sua casa; l’Imperatore si fece sollecito di far trasportare lungi dalla città i rovinacci; e sgombrato il suolo, e l’aria da ogni impedimento, primieramente selciò tutta la città con grosse lastre; indi vi piantò portici e fari, i rioni tutti tagliò con vie; vi fece condurre acquidotti, fonti, ed emissarii; e vi eresse teatri, bagni, ed altri pubblici edifizii di ogni specie: con che rendè bella, gloriosa ed invidiabile quella città. Poscia chiamato un grosso numero di artefici, diede modo a ciascun abitante di fabbricarsi la casa con maggiore facilità e prestezza. D’onde è venuto, che se Antiochia era stata prima splendida e magnifica, più splendida e più magnifica fosse di poi. Ivi pure inalzò alla B. Vergine un tempio assai ampio, la cui bellezza e sontuosità io non sono atto ad esprimere, e vi aggiunse considerabili rendite. Una chiesa similmente fabbricò all’arcangelo Michele di singolare grandezza; e provvide pure agli ammalati poveri, assegnando a parte sì a’ maschii che alle femmine particolari stanze, ed officii, e quanto occorre per la loro guarigione. Nè minor cura si prese pei pellegrini, che ivi capitassero, per un certo tempo provvedendo ai loro bisogni.