Degli edifizii/Libro secondo/Capo IX
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Traduzione dal greco di Giuseppe Compagnoni (1828)
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CAPO IX.
Dopo Zenobia, la città di Sura, posta presso l’Eufrate, avea mura sì deboli, che non potè resistere a Cosroe nemmeno mezz’ora, e in un momento venne in potere de’ Persiani. Fu di questa Giustiniano, come di Callinico ristauratore, cingendola tutta di validissime mura, e di contromuro, sicchè in avvenire possa sostenere gli assalti dei nemici.
Nella contrada dell’Eufrate v’ha un tempio dedicato a Sergio, santo di grande rinomanza, dagli antichi tanto venerato, che chiamarono quel luogo Sergiopoli. L’aveano cinto di una piccola muraglia, bastante a trattenere i Saraceni di quelle parti nel primo loro impeto; se avessero voluto violarlo, poichè non sono fatti i Saraceni per assaltare luoghi murati; e per ciò quella muraglia contro d’essi bastava, quantunque debolissima, e fatta di terra. Quel tempio poi era anche illustre per le molte offerte, e per la sacra suppellettile. Le quali cose prese avendo Giustiniano in considerazione, cinse il luogo di mura fortissime, e lo provvide di acqua, avendone raccolta gran quantità in opportuni serbatoi. Vi fece inalzare ancora case, portici, ed altri edifizii, quali sogliono adornar le città; e vi pose un presidio ad opportuna difesa. E di fatti avendo Cosroe, re dei Persiani, bramosissimo di conquistare la città, posto ad essa l’assedio con grande esercito, per la saldezza delle fortificazioni fu obbligato a ritirarsi senza alcun costrutto.
Con egual cura prese a fortificare tutte le altre città, e i castelli posti alla estremità di quella regione, Barbalisso, Neocesarea, Gabula, Pentacomia, che è sull’Eufrate, ed Europo; ed avendo trovato che le mura d’Imeria, in parte fatte provvisionalmente, e poco stabili, in parte di pura terra, e senz’acqua per chi vi stava, e per ciò oggetto pe’ nemici di riso; demolì tutto, e poscia con forte pietre riedificò in largo ed alto quanto conveniva; e presso le fortificazioni costruì cisterne, che empì di acque piovane, e postavi guarnigione, fece di quel luogo, siccome or veggiamo, una piazza forte. Le quali cose chi consideri, e valuti tutte le altre opere fatte da Giustiniano Augusto, dovrà certamente dire, che per beneficare egli ebbe l’imperio, pensando Dio continuamente alla salute de’ Romani.
Oltre queste cose avendo egli saputo che Jeropoli, città principale di quella regione, era aperta a chiunque volesse rovinarla, colla sua prudenza la conservò. Chè avendo essa dentro le sue mura uno spazio vuoto, e perciò senza custodia, quella più larga ed inutile ampiezza restrinse, serrando le mura quanto bastava agli usi necessarii; e la ridusse in tale condizione, che omai diventò una delle più forti città. Di più fece ad essa altro benefizio. V’ha in mezzo della città una sorgente perenne di acqua dolce, la quale ivi forma un largo stagno, utilissimo alla città nel caso che nemici l’assediassero; ma nulla necessario in tempo di pace, introducendovisi acqua da di fuori in gran copia. Ma col processo del tempo, avendo gli abitanti goduto di lunghissima pace, nè stati mai nel caso di sentir bisogno di aver l’acqua sicura, aveano trascurata quella sorgente e quello stagno, essendo così fatti gli uomini, che nella felicità non pensano alle disgrazie che possono sopraggiungere. Quello stagno adunque si era lasciato empiere d’immondizie; ed ivi erano soliti a nuotare, a lavare panni, e qualunque altra cosa, e a gittarvi eziandio ogni sporchezza.
Nella regione dell’Eufrate erano ancora altri castelli, come Zeugma, e Neocesarea, borghi di puro nome, cinti di muraglie che più a catapecchie potevano appartenere, che a luoghi di qualche importanza: sicchè lo stato di essi dava a’ nemici tutto il comodo di superarli impunemente; e tanta n’era inoltre l’angustia, che non potevano contenere presidio, nè dar luogo a chi avesse dovuto difenderli. Giustiniano Augusto cinse Zeugma e Neocesarea di vere mura, dando a queste la debita grossezza ed altezza, e con ogni conveniente opera fortificandole. Onde giustamente ora si chiamano città, e dai tentativi de’ nemici sono sicure.