Dalle dita al calcolatore/III/2
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2. La scrittura
La lingua degli Egizi è affine alle lingue semitiche (ebraico, arabo). La scrittura, sotto forma di geroglifici, appare standardizzata fin dai tempi della 1ª dinastia (3000 a.C.). È quindi contemporanea o di poco posteriore ai più antichi reperti di scrittura mesopotamica. Forse l’idea di scrittura ha avuto un’origine comune in seguito agli scambi commerciali già intensi; va riconosciuto però che quella egizia si è evoluta in modo autonomo.
La scrittura geroglifica, secondo rimpaginazione, può essere letta in senso verticale dall’alto in basso, oppure orizzontalmente. In questo caso, la direzione è bustrofedica (“che gira come il bue che ara”): se una riga procede da sinistra a destra, la successiva va letta da destra a sinistra. Il lato dal quale iniziare la lettura si individua osservando in quale direzione guardano le figure di persone o di animali impiegate nella scrittura: se lo sguardo è rivolto verso destra, si legge da destra verso sinistra.
L’uso dei geroglifici (“incisioni sacre”) a scopo celebrativo, su un supporto rigido, fa sì che le forme rimangano pressoché identiche nel corso dei secoli. Tuttavia, parallelamente al geroglifico viene elaborata una forma corsiva rapida, detta “ieratica”, cioè sacra, usata nei testi religiosi, letterari e negli affari. Si traccia scrivendo da destra verso sinistra. Dal 700 a.C. fino al periodo romano si afferma una grafia corsiva detta “demotica”, cioè popolare, perché usata dalla popolazione colta per la corrispondenza privata, gli affari e la letteratura. Per la scrittura in corsivo si usano fogli di papiro, ma anche schegge di pietra e ostraca (cocci, frammenti di vasi d’argilla), pelli, stoffe e tavolette di legno. Per scrivere si usa l’inchiostro rosso e nero, a mezzo di penne ricavate da una cannuccia appuntita, o con un pennello.
Naturalmente, nell’arco di tre millenni la parlata si evolve e, sebbene in ritardo, ciò si riflette nei documenti scritti: a partire dal XVI sec. a.C. entrano nell’uso comune molte parole straniere; in tempi più recenti è rilevante l’influenza esercitata dalle comunità greche. Si estende anche l’uso della scrittura: dalle epigrafi e dalle iscrizioni funerarie si passa ad usarla anche per contratti di affitto, di compravendita, racconti mitologici, storie fantastiche, testi liturgici.
Originariamente, i geroglifici sono pittogrammi. In un successivo stadio evolutivo, ogni raffigurazione viene usata per il suo valore fonetico. L’insieme di questi fonemi concorre a formare la parola voluta, così come oggi si fa con i rebus. Va precisato che il valore fonetico riguarda solo le consonanti. Le vocali che noi attribuiamo ai testi egizi sono del tutto convenzionali, e non abbiamo la certezza che la nostra ricostruzione della parola corrisponda alla parola originaria. Per esempio, se noi avessimo “CRT” potremmo inserire vocali a piacimento e formare: carta, corte, creta, carota, ecc. Per dare un’indicazione più precisa, possiamo disegnarvi accanto una carota; ciò non toglie che, a distanza di millenni, pur riconoscendo l’esatto suono delle tre consonanti e l’oggetto rappresentato (la carota), sia quasi impossibile ricostruire l’esatta “dizione”. Qualche problema di “ricostruzione delle parole” devono averlo avuto anche gli Egizi. Infatti, dopo aver scritto i segni consonantici della parola, per evitare false interpretazioni, vi giustappongono una figura significativa. Se i dubbi interpretativi riguardano uno degli elementi della parola, anche ad esso viene aggiunto un segno che ne determina la lettura corretta.
La scrittura consonantica non è una bizzarria degli Egizi. Sia pure con “alfabeti” diversi, anche gli Ebrei e i Fenici hanno una scrittura siffatta. I più antichi libri della Bibbia sono scritti così. Le vocali vengono aggiunte in tempi successivi.